Il piatto di carne che sta sparendo. E una delle ultime osterie di Napoli dove mangiarlo
In tante regioni italiane per braciola si intende la fetta di carne (maiale, manzo, vitello) cotta alla griglia: il nome, derivato da brace, non lascia spazio a fraintendimenti. Eppure, se a Messina ci propongono le braciole dobbiamo essere preparati all’incontro con uno spiedino di involtini di carne di vitello ripieni di pangrattato, aglio, prezzemolo, pecorino e caciocavallo stagionato, cotti alla brace. In Calabria invece le braciole, in dialetto vrasciole, sono le polpette di carne, di patate o di melanzane. A Napoli, invece, la braciola è un grande involtino di carne di maiale, farcito con prezzemolo, aglio, pinoli, uva passa, pecorino o parmigiano, e cotto insieme al ragù.
In Italia c’è braciola e braciola
C’è stato un tempo in cui nessun pranzo della domenica napoletano avveniva senza il leggendario ragù, una casseruola di sugo rosso di pomodoro che sommergeva diversi pezzi di carne di vitellone (scanello, girello, fesa o sottocoscia) cotti per otto ore in un soffritto di lardo e cipolla, insieme a salsiccia, polpette e braciole, usato sia come condimento della pasta (ziti o candele), sia come secondo.
La braciola napoletana nella storia letteraria
Le ricette del ragù (nella sua versione basica, con i soli pezzi di carne di vitello) e della braciola, entrambe prettamente identitarie, fanno una delle loro prime comparse letterarie nel volume Cucina Teorico-Pratica, pilastro della gastronomia partenopea, pubblicato nel 1837 da Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino e discendente dalla stessa famiglia nobile del più famoso Guido. Nella seconda edizione del ricettario, datata 1839, l’autore aggiunge l’appendice Cusina casarinola co la lengua napolitana, Cucina casalinga in lingua napoletana, dove raccoglie numerosi piatti popolari che vanno ad accompagnare quelli più aristocratici, molti di ispirazione francese, presenti nella prima stesura.
Una ricetta napoletana che oggi non si trova quasi più
Secondo alcune fonti la braciola ha origini nella cucina francese e sarebbe stata portata a Napoli dai cuochi borbonici. La diffusione di questo involtino di maiale è andata lentamente perdendosi nelle cucine dei ristoranti della città, rimanendo però una tradizione ben salda, custodita soprattutto dalle generazioni più anziane, nel pranzo casalingo della domenica.
La storia del ristorante Amici Miei a Chiaia
Nonostante la lenta scomparsa dai menu, la braciola resiste ancora in pochissime realtà ristorative di Napoli. L’abbiamo trovata in carta alla trattoria Amici Miei, a due passi dalla stazione Chiaia della nuova Linea 6, inaugurata a luglio, progettata da Uberto Siola e arricchita dalle opere del regista Peter Greenaway. Nato nel 1977, quindi prossimo a festeggiare i suoi primi 50 anni, il ristorante Amici Miei è stato aperto da Amedeo Baldini che ha voluto dedicare l’insegna agli amici più intimi, con cui si confrontava sulla cucina. Oggi il locale è affidato ai suoi figli: Lucia e Renato ai fornelli, e Dora in sala.
Un ristorante di sola carne prima delle steakhouse
“Siamo qui dal 1977: i primi a promuovere, in città, una cucina di sola carne, la nostra proposta all’inizio era guardata con diffidenza, oggi ci sono tante steakhouse. Il nostro ristorante è storico, ma soprattutto è accogliente: si respira un’aria di casa, ha un’anima, non è asettico e freddo come questi format recenti. Abbiamo carni di diversi animali che prepariamo con tanti metodi di cottura, tra cui la brace a carbone. Osserviamo la stagionalità e cuociamo alla brace anche le verdure, i funghi, i carciofi, il radicchio” racconta Dora a CiboToday.
La ricetta della “signora” braciola napoletana di Amici Miei
Della loro braciola napoletana è molto orgogliosa: “Ci piace proporre le ricette tradizionali perché fanno parte della nostra storia: forse siamo l’ultimo salotto napoletano a proporre la braciola. La prepariamo con la locena di maiale, che viene tagliata a fette, un po’ battuta, farcita con pinoli, uva sultanina, prezzemolo, aglietto e parmigiano. Avvogliamo la carne a mo’ di grande involtino e la leghiamo con lo spago. La brasiamo in padella e poi la cuociamo nel ragù. Perché la braciola si sfilacci c’è un segreto: non va cotta troppo perché altrimenti si secca. Il ragù cuoce otto ore, la braciola va tolta dopo due. Si leva lo spago e si serve con il sugo del ragù che è molto saporito perché viene fatto con i pezzi di vitello, la salsiccia, le polpette e la braciola di maiale. Una volta si metteva anche la tracchia, cioè il grasso, oggi non si può più perché sono tutti a dieta” sospira giocosamente la responsabile della sala.
Cristina Rombolà
fonte
La storia e la ricetta della braciola napoletana di carne
https://www.cibotoday.it/citta/napoli/ricetta-braciola-napoletana-carne-amici-miei.html
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