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Il poeta Teocrito di Siracusa si suicidò o fu strangolato?

Posted by on Lug 25, 2018

Il poeta Teocrito di Siracusa si suicidò o fu strangolato?

Teocrito era un poeta di grande pregio, ma amava la satira così tanto da non conoscerne i limiti. Forse fu proprio questa sua passione a portarlo alla morte. Potrebbe essere paragonato a un moderno comico, che con estro e finezza prende di mira i politici di turno.

In realtà si sa pochissimo di questa geniale figura. Sarebbe nato intorno al 310 a.C. a Siracusa.

Probabilmente trascorse l’infanzia e l’adolescenza nella città natale, dove entrò nella stretta cerchia della corte del potente tiranno Gerone, figlio illegittimo del nobile Ierocle e discendente di Gelone, tiranno siracusano del V secolo a.C. Teocrito esalta la figura del potente nell’idillio XVI, in cui tesse le lodi di Gerone per ringraziarsene i favori.

Ma non era uomo da rimanere ingabbiato: aveva sete di conoscenza e viaggiò molto, giungendo persino ad Alessandria, dove trovò un ammiratore illustre nella persona di Tolomeo II Filadelfo re d’Egitto, figlio di Tolomeo I e di Berenice. Il re, niente affatto incline alla guerra (le imprese militari le lasciava ai suoi generali), era uomo pacifico, amante delle arti, e accoglieva pregevoli letterati e artisti famosi. Tra questi appunto il siciliano Teocrito, del quale divenne il mecenate.

In quel periodo Alessandria era animata da un vivace dibattito culturale che vedeva due schieramenti contrapposti: da un lato i sostenitori del poema tradizionale di tipo omerico e dall’altro i fautori di un nuovo modo di concepire la letteratura e la poesia, che doveva essere caratterizzata dalla brevità dei componimenti, dall’erudizione e dalla cura formale. Nella disputa Teocrito prese le difese di quest’ultima corrente.

Viaggiò ancora per fare infine ritorno in patria, dove però trovò la morte. Nella sua terra importò la moderna tecnica del mimo, con esilaranti scenette che ironizzavano sull’ambiente borghese. A quei tempi questi tipi di spettacoli, per così dire “leggeri”, venivano presentati in occasione di festività religiose. Teocrito rappresentava generalmente scorci di vita quotidiana, vicende di gente comune, mimi anche volgari. Tutti ridevano, fino a quando non alzò il tiro prendendosela persino con il figlio di Gerone di Siracusa. Quando corse voce che Teocrito prendeva in giro anche la famiglia del tiranno, non ebbe scampo! Per tale ragione pare che sia stato strangolato.

Tuttavia la morte del poeta mimo rimane un mistero, tanto da entrare nella leggenda. Ci sono però due versi nell’Ibis di Ovidio che potrebbero essere riconducibili a questo drammatico epilogo:

Come al poeta siracusano è stata serrata la gola,

così alla tua anima, con un laccio, sia chiusa la via.

Del resto Teocrito non temeva nemmeno gli dèi, come scrive ancora Ovidio:

Teocrito siracusano, poeta che parlò male di Giove e di Diana,

impazzì al punto che impiccarsi volle”.

Ci sono molti dubbi che si sia suicidato per impiccagione. E’ più probabile che sia stato costretto a mettersi una corda al collo per l’accusa di vilipendio.

(Enzo Di Pasquale – Misteri della Sicilia)

Contro l’amore non c’è

rimedio alcuno, Nicia,

né unguento né polvere – io credo – lieve,

dolce farmaco.

Da te, persino l’anima mi farei bruciare, 

persino l’occhio, che amo più di tutto

mi tufferei da te, ti bacerei la mano

e bianchi gigli ti porterei

e il fragile papavero dai petali scarlatti.

Imparerò a nuotare

così saprò perché

vi è dolce abitare negli abissi.

Il lessico Suda attribuisce a Teocrito una serie consistente di opere e, più precisamente: i poemetti Figlie di ProitosSperanze ed Eroine, inoltre inniepicedicarmi melicielegiegiambi ed epigrammi. Di questa vasta produzione oggi si sono conservati:

  • 30 carmi (noti anche col termine “idilli”, di cui 8 sono spuri);
  • 22 epigrammi;
  • un carme figurato(la Zampogna o lo Zufolo[3]);
  • 5 esametri di un’opera perduta intitolata Berenice[4]citata anche da Ateneo.[3]

La parte più consistente e che certamente raggiunge i più alti risultati artistici è la serie degli Idilli.

Idilli

Gli Idilli (in greco anticoΕδύλλια[5]. Il nome indica il tipo di componimento, di estensione relativamente breve e ambientazione arcadica; in seguito, il termine assumerà per antonomasia il significato attualmente attribuitogli. Sono una raccolta di 30 componimenti in esametri; di questi solo 21, in dialetto dorico e di breve estensione, sono sicuramente attribuibili a Teocrito. Esiste anche il frammento di un XXXI idillio su papiro.[3] Questi gli idilli conservati:

  1. Tirsi, o il canto
  2. Le incantatrici
  3. La serenata(è un monologo pronunciato da un capraio)
  4. Pastori
  5. Capraio e il pecoraio
  6. I poeti bucolici
  1. Le Talisie 
  2. I bucoliasti(spurio)
  3. I bucoliasti(spurio)
  4. I braccianti o i mietitori

 

  1. Il Ciclope 
  2. L’amato
  3. Ila
  4. Eschine e Tionico
  5. Le Siracusane, o le donne alla festa di Adone
  6. Le Grazie, o Ierone
  7. Encomio di Tolomeo
  8. Epitalamio di Elena
  9. Il ladro di miele(spurio)
  10. Il pastorello(spurio)
  11. I pescatori(spurio)
  12. I Dioscuri
  13. L’amante(spurio)
  14. Il piccolo Eracle
  15. Epillio di Eracle(spurio)
  16. Lene, o Baccanti
  17. Ecloga(spurio)
  18. La conocchia
  19. I Paidikà(canto d’amore omosessuale)
  20. II Paidikà(canto d’amore omosessuale)

Si tratta, dunque, di un’opera dal contenuto vario: un gruppo tratta d’argomento bucolico, genere di cui Teocrito è ritenuto l’inventore; un altro è costituito dai cosiddetti mimi, cioè scene e dialoghi di vita quotidiana; altri sono di argomento mitologico (epilli); vi è un inno ai Dioscuri, la cui peculiarità è la presenza di una sticomitia di tipo tragico; altri infine contengono spunti ed accenni personali e sono generalmente ritenuti spuri. Teocrito iniziò probabilmente la composizione degli Idilli in seguito al primo viaggio, fatto a Cos, e decise di continuare nella sua opera dopo aver assistito al dibattito ad Alessandria, iniziato da Callimaco, sull’importanza della nascita di un nuovo genere che abbandonasse gli schemi classici, più propriamente omerici, e che si facesse portatore di un nuovo metodo di composizione, caratterizzato dalla brevitas e dal labor limae.

Epigrammi

Dei 25 epigrammi tramandati nell’Antologia Palatina sotto il nome di Teocrito, 22 figurano, disposti in ordine metrico[6] nei principali manoscritti degli Idilli. Risulta difficile sceverare quali siano autenticamente teocritei, anche se essi mostrano stile e temi tipici degli idilli, come nei primi 6 della raccolta; ad essi si affiancano epigrammi funebri[7], dedicatori[8], dediche a poeti strutturate come epigrafi tombali o di statue[9]. Chiude la raccolta un epigramma autocelebrativo, che con orgoglio rivendica l’originalità del poeta:

Altri è quello di Chio, ma io, Teocrito, che scrissi queste cose,
sono uno dei tanti siracusani,
figlio di Prassagora e dell’illustre Filina:
non seguii mai la Musa altrui”

Zampogna

Nel XV libro dell’Antologia Palatina, tra vari epigrammi di tematica inusuale, è stato tramandato un componimento figurato, attribuito a Teocrito sulla base del nome del dedicatario, Simikidas, pseudonimo che egli usa nelle Talisie. La Zampogna è così intitolata dalla forma dei versi. Infatti, i versi di questo poemetto sono disposti a coppie, ciascuna di una sillaba più corta della precedente, e il metro va da un esametro ad un dimetro catalettico. La soluzione di questo indovinello figurato, ricchissimo di giochi di parole, è il flauto di un pastore dedicato a Pan da Teocrito.

La ragione più forte per dubitare dell’attribuzione di questo straordinario tour-de-force a Teocrito è che il flauto dell’epoca del poeta siciliano sembrerebbe essere stato rettangolare, i tubi essendo di uguale lunghezza, con la differenza di tono garantita da otturazioni di cera.

Poetica e poesia di Teocrito

Teocrito è considerato il meno artificioso e il più spontaneo dei poeti ellenistici. Certo c’è in lui un sentimento più vero e immediato, un amore più genuino per la vita agreste, ma questa spontaneità è a volte solo un’impressione, dovuta alla brevità e leggerezza delle poesie, alla scelta dagli argomenti, alla rappresentazione di un mondo cittadino o borghese, della vita quotidiana vista con realismo, dei sentimenti analizzati soprattutto nelle sfumature, nelle pene e tristezze d’amore.

Teocrito è in realtà un poeta dotto e il suo amore per la natura è più riflesso che spontaneo, cioè è nostalgia di un mondo ormai soffocato dalla vita convulsa della città, è un mondo di pastori che ad un tratto abbandonano il linguaggio rozzo e parlano con finezze e citazioni dotte. Tuttavia le descrizioni vaste e serene, il realismo, la vivacità dei caratteri umani, il buon gusto, la raffinatezza e il senso della misura nell’idealizzazione della natura salvano Teocrito dal manierismo e ne fanno un poeta vero.

L’idillio VII, intitolato Talisie, è divenuto celebre perché in esso Teocrito racconta della propria investitura poetica, facendone il suo manifesto programmatico.

Un gruppo di amici tra cui Simichìdas (dietro il quale si nasconde la persona di Teocrito) si sta recando in città sull’isola di Cos per prendere parte alla festa delle Talisie. Durante il tragitto vengono avvicinati da un pastore-cantore di nome Lykìdas (un membro del cenacolo poetico che si raccoglieva intorno a Filita di Kos) Dopo un agone poetico nel quale Simichìdas canta un elogio dell’amore efebico e Lykìdas canta il mondo pastorale, quest’ultimo cede il proprio bastone a Simichìdas; dietro a questo atto si nasconde l’investitura poetica di Teocrito. M.Puelma ha messo in luce il tono fortemente omerizzante con cui viene introdotta la figura di Lykìdas. Il personaggio è infatti caricato di una misteriosa aura soprannaturale e risulta essere per metà divino e per metà pastore. Da un lato la sua epifania ricorda molto quella delle divinità olimpiche in Omero dall’altro viene descritto in maniera realistica nell’abbigliamento. Il Gow ha rintracciato in questo ritratto una somiglianza con l’investitura esiodea del prologo della Teogonia spiegando che l’aureola del “divino” posseduta da Lykìdas è funzionale all’investitura poetica stessa.

La fortuna di Teocrito fu immensa. Virgilio s’ispirò a lui nella stesura delle Bucoliche; egli infatti riprese da Teocrito soprattutto i contenuti e gli aspetti bucolici, stravolgendone però la forma e la presentazione. Ma troppo spesso gli imitatori caddero nell’artificiosità (come l’Arcadia settecentesca) creando un mondo di damerini travestiti da pastori.

Note

  1. ^Cioè l’apice della propria carriera poetica.
  2. ^Che morì nel 270 a.C.
  3. ^ab c Luciano Canfora, Storia della Letteratura Greca, Laterza, 1989, p. 485.
  4. ^probabilmente un carme in onore della moglie di Tolomeo Filadelfo
  5. ^Dal greco εἰδύλλιον, poemetto, letteralmente quadretto, diminutivo di εἶδος, immagine.
  6. ^prima quelli in distici, poi quelli in metro vario
  7. ^VII, IX, XV, XVI, XX, XXI, XXIII.
  8. ^VIII, X-XIV, XXIV.
  9. ^XVII-XIX, XXII.

Bibliografia

  • Serrao, Problemi di Poesia Alessandrina. I. Studi su Teocrito, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1971.
  • Gallavotti, Theocritus quique feruntur Bucolici Graeci, Roma, Accademia dei Lincei, 1973 (la migliore edizione critica di Teocrito e dei bucolici minori).
  • Teocrito, Idilli, a cura di M. Cavalli, Milano, Oscar Mondadori, 1991.
  • Teocrito, Idilli e Epigrammi, intr., trad. e note di B. M. Palumbo Stracca, Milano, BUR, 1993.
  • W. Bulloch, La poesia ellenistica. Teocrito, in Letteratura Greca Cambridge, Milano, Mondadori, 2007, pp. 275-302.

fonte

http://siciliastoriaemito.altervista.org/il-poeta-teocrito-di-siracusa-si-suicido-o-fu-strangolato/teocrito/

 

 

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