Il positivismo giuridico… una delle cause del trionfo del totalitarismo
Tocchiamo un importante argomento per quanto riguarda l’apologetica filosofica e anche quella storica. Cercheremo di conoscere una delle cause del trionfo del totalitarismo politico contemporaneo: il cosiddetto positivismo giuridico, ovvero la negazione del diritto naturale. A dimostrazione del fatto che una volta che si abbandona il riconoscimento di Dio, e quindi della verità oggettiva, le conseguenze sono nefaste in tutti i campi …anche in quello politico.
Che cosa è il positivismo giuridico
Il positivismo giuridico afferma che non c’è altra legge se non quella positiva (cioè posta dallo Stato), l’unica legge è quella scritta. Insomma, non c’è altra legge che la legge dello Stato. Il che vuol dire che ciò che conta è solo la conformità a tale legge. Dunque, è del tutto legittimo quel governo che si afferma attraverso le procedure dell’ordinamento giuridico, indipendentemente dalle sue decisioni. Attenzione: il positivismo giuridico afferma che bisogna conformarsi alla legge positiva, non necessariamente alla legge giusta. Ciò che conta non è il contenuto della legge, ma la sua forma.
Il pensiero di Hans Kelsen
Il maggior rappresentante del positivismo giuridico è l’austriaco Hans Kelsen (1881-1973). Hobbes aveva detto che la legge non è fatta dalla Verità, ma dall’autorità (“Non veritas sed auctoritas facit legem”). La legge è tale non perché dica cose vere e giuste, ma semplicemente perché è la legge, perché ha la forza di farsi rispettare e perché c’è qualcuno che la impone. Ebbene, questa concezione della modernità giunge a compimento nel pensiero di Kelsen. Egli afferma che l’ordinamento giuridico sarebbe una sorta di costruzione a gradini: al vertice vi sarebbe una norma fondamentale, la quale ordina l’obbedienza al potere costituito ed effettivo. Il Pensatore austriaco non dice: al “potere gusto”, ma solo al “potere costituito ed effettivo”. “Costituito” vuol dire “in vigore”, “effettivo” che “sa farsi valere”. Secondo Kelsen, a partire da questa norma fondamentale dovrebbe essere costruito, a seconda di una serie di giudizi ipotetico-deduttivi, tutto l’ordinamento delle leggi fino ad arrivare alle norme più elementari. Kelsen, dunque, afferma che il sistema delle norme ha la sua chiave di volta in una norma la cui validità non è a sua volta fondata da una norma superiore, e non è dunque posta da un’autorità, ma viene presupposta come “norma fondamentale”. Per Kelsen il diritto è pertanto concepito come una tecnica sociale di tipo formale, che regolerebbe i rapporti fra i soggetti mediante norme alle quali non è conferita alcuna validità extra-giuridica (cioè metafisica, metastorica e metapolitica), ma solo quella del loro potere coercitivo di implicare, per certi comportamenti, sanzioni corrispondenti. Su queste basi si sviluppa anche la dottrina kelnesiana dello Stato, il quale viene identificato con l’ordinamento giuridico. Il pensatore austriaco ritiene che la costituzione giuridica internazionale debba essere prevalente sulle costituzioni statali. Ma non solo. Ciò che è ancora più importante è il fatto che egli sostituisce alla sovranità dello Stato la norma giuridica positiva, che deve ovviamente escludere qualsiasi riferimento metafisico, il che vuol dire –come abbiamo già detto- la perfetta identificazione tra Stato e diritto. Per Kelsen solo la norma positiva è importante. Tutto deve inchinarsi dinanzi ad essa.
Il positivismo giuridico e l’arbitrio totalitario
E’ evidente quanto il positivismo giuridico sia una legittimazione dello Stato totalitario moderno: l’importante non è se una legge sia giusta o meno, ma solo se sia promulgata; per cui anche leggi assurde, ma conformi sul piano procedurale, devono essere rispettate. L’essenza dello Stato totalitario è il principio di totalità (da ciò il suo nome), ovvero non ci può né ci deve essere altra istanza al di sopra dello Stato. Lo Stato è tutto. Sul piano giuridico: non può essere ammessa altra giustizia se non quella di un tribunale dello Stato. Per capire quanto il contributo del positivismo giuridico sia stato determinante al trionfo del totalitarismo moderno, facciamo questo esempio: il nazionalsocialismo andò al potere attraverso libere elezioni e il regime totalitario si affermò secondo regole democratiche. Ad un certo punto avvenne che il Parlamento tedesco votò per non più votare, delegando al governo la funzione legislativa. A livello procedurale fu tutto legale; tanto è vero che al Processo di Norimberga gli imputati cercarono di difendersi affermando di aver solo obbedito alle leggi dello Stato. Costoro, infatti, erano senz’altro nel segno della legalità, ma non certo della giuridicità. Pio XII disse in un suo discorso alla Sacra Rota del 13.11.1949: “Il semplice fatto di essere dichiarato dal potere legislativo norma obbligatoria dello Stato, preso solo e per sé, non basta a creare un vero diritto (…). Doveva venire lo Stato totalitario d’impronta anticristiana, lo Stato che, per principio o almeno di fatto, rompeva ogni freno di fronte a un supremo diritto divino, per svelare al mondo il vero volto del positivismo giuridico (…). Noi tutti siamo stati testimoni del modo come taluni, che avevano agito secondo questo diritto, sono stati poi chiamati a renderne ragione dinanzi alla giustizia umana (…). E’ stato osservato come, secondo i princìpi del positivismo giuridico, quei processi avrebbero dovuto concludersi con altrettante assoluzioni (…). Gli imputati si trovavano, per così dire, coperti dal ‘diritto vigente’.” La differenza tra legalità e giuridicità è molto importante per capire il positivismo giuridico. Quest’ultimo –come abbiamo già detto- segna la separazione tra legalità e giuridicità. Il positivismo giuridico ha preteso ridurre il diritto alla legge e la legge alla norma. Con questa duplice riduzione ha ridotto la legge alla sanzione. E, riducendo la legge alla sanzione, ha affidato la legge al potere di chi ha la forza di imporre una determinata norma. Il positivismo giuridico e il relativismo etico (questo al primo necessariamente conseguente) ci fanno capire non solo la tragedia del totalitarismo, ma anche l’inefficacia di tante istituzioni formalmente democratiche e intenzionate a rifarsi ad oggettivi princìpi di giustizia. Ricordiamo una celebre espressione di papa Giovanni Paolo II, tratta dall’enciclica Centesimus Annus (n.46): “Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia.” Ciò vuol dire che, intendendo per valori ciò che è metafisicamente fondato, un’istituzione, anche se democratica, ma incapace di riconoscere la legge naturale oggettiva, inevitabilmente si trasforma in totalitarismo.