“Il postino”, un film che non aveva niente per divenire un successo mondiale di Alfredo Saccoccio
“Un piccolo postino italiano incontra un poeta cileno in un’isola mediterranea.” Quando Michael Radford ha letto questo laconico riassunto nella rivista specializzata americana “Variety”, alcune settimane prima dell’uscita del suo film negli Stati Uniti, ha detto a Massimo Troisi : “Ebbene, mio vecchio, nessuno andrà mai a vedere ciò…” Un anno più tardi, Il postino” ha fatto esplodere i numeri del box-office. Questa abbastanza modesta coproduzione (4 milioni di dollari di budget), realizzato da un britannico con un attore italiano ed uno francese (Philippe Noiret) pressappoco sconosciuti oltre atlantico, ha raccolto più di venti milioni di dollari di incassi negli Stati Uniti (dieci volte di più di quello che si considera generalmente un successo per una pellicola straniera) e 60 milioni di dollari nel mondo intero… Il film, una commedia drammatica, di 113’ minuti, ha avuto una “nomination” per l’Oscar per la migliore pellicola (semplicemente, non quello per il miglior film straniero) e vinto quello per la migliore musica, attribuito a Luis Enrique Bacalov. Una di quelle divine sorprese come accadono raramente e che Radford tenta di spiegare : “E’ un film che fa ridere e piangere… Che piace alle persone semplici come agli intellettuali… Non è un film spettacolare, speeddy… Le persone oggi hanno senza dubbio bisogno di spettacoli di questo genere. Un film di contemplazione…” Un film che parla di poesia, ciò che è francamente audace per i tempi che correvano. “Questo successo è un malinteso. Facendolo, mi interrogavo. Mi rassicuravo dicendomi : questo film, tu lo fai per te e tanto peggio se non è popolare. Ed è un film popolare !” Questo successo, egli lo deve, e lo sa, al formidabile attore italiano Massimo Troisi, suo amico, suo eterno rimorso anche. Troisi morì, esattamente dodici ore dopo la fine delle riprese, a quarantuno anni, per una di quelle debolezze cardiache di cui soffrono spesso i bambini delle famiglie povere. Massimo era figlio di operai di S. Giorgio a Cremano, cittadina situata alle falde del Vesuvio. Egli era divenuto l’erede della tradizione popolare degli attori napoletani, un comico uscito dalla commedia dell’arte, che egli ha adattato al teatro, alla televisione e al cinema. Troisi era una “vedette” nazionale in Italia. “Ricomincio da tre” (1981), che egli ha scritto, realizzato e recitato, lo spinse al primo rango della nuova generazione italiana. Ettore Scola lo utilizzò, a più riprese (“Che ora è “, 1989, “il viaggio di Capitan Fracassa”, 1990). La sua reputazione era pari a quella di Roberto Benigni, ma egli restò tuttavia invidioso del successo internazionale che valse a quest’ultimo suo ruolo in “Down By Law”, di Jim Jarmusch, un film del 1986 delicatamente onirico. Michael Radford deve tutto a Troisi. E tuttavia, in una certa maniera, l’ha ucciso. L’ombra dell’attore ossessiona il film e il cuore del regista. Da lungo tempo Troisi e Radford volevano lavorare insieme, ma non trovavo il soggetto adeguato. Radford, dopo “Una storia d’amore” (1983) e “Orwell 1984” (1984), adattamento del romanzo di Orwell, con Richard Burton, che impersona un funzionario malvagio che conserva un barlume di umanità, aveva subìto un cocente insuccesso con “Sulla strada di Nairobi”, nel 1987. Dopo egli non scriveva che dei soggetti, interrogandosi su se stesso e il cinema. E’ Troisi che gli portò, un giorno, un romanzo di uno scrittore cileno, Antonio Skarmeta, “Une ardente patience” (Seuil), che raccontava la storia del poeta cileno – e premio Nobel – Pablo Neruda e di un giovane postino ausiliario, Mario Ruoppolo, modesto, quasi analfabeta, incontrato nel corso del suo esilio italiano nell’isola di Lipari, agli inizi degli anni Cinquanta : la nascita di un’amicizia improbabile, nata dalla poesia. Essi decisero di fare un film. Troisi era malato. Il suo cuore era spossato. Massimo aveva consultato ed una sola soluzione si presentava a lui : il trapianto. Egli si interrogava : “Gli attori recitano con il cuore. Che sentimenti avrei io con il cuore di un altro?” Massimo sapeva anche che rischiava di restare sul tavolo operatorio. “Dunque abbiamo cominciato a girare”, racconta Michael Radford. “Dopo tre giorni, egli mi ha chiesto come lo trovavo. Gli ho detto : formidabile ! Se fossi stato meno categorico, forse avrebbe rinunciato a proseguire. Ma egli era veramente eccezionale. Ed io ne avevo bisogno per fare il film. “ le riprese andavano ad essere eccessivamente penose. Troisi non può lavorare che per due ore ogni giorno e la maggior parte del tempo seduto. Philippe Noiret, che tiene il ruolo del poeta, è costretto spesso a recitare da solo. Bisogna adattare il soggetto allo stato della salute dell’attore campano, fare numerose modifiche.” “Quando si è infine terminato, aggiunge Radford, ho creduto che tutto andasse bene ormai. Quando egli si sarebbe recato a Londra per subire il suo trapianto cardiaco, è morto l’indomani. Ho avuto allora un’attitudine non molto britannica : ho pianto, ho urlato, gli ho parlato, l’ho abbracciato… Poi, il montaggio è stata una celebrazione. Certo, una parte della famiglia di Massimo è convinta che sono stato io che l’ho ucciso. Certo, avrei potuto rinunciare a fare il film. Avrei potuto dirmi che il cinema non è la guerra, che non vale una vita. Ma io non mi sento più colpevole. I milioni di spettatori che hanno visto il film, che ne sono stati felici, che hanno scoperto Massimo, scacciano i miei sensi di colpevolezza.” Dopo “Il postino” ( la sorpresa del 1994), Michael Radford è divenuto una star. “Ho anche dei fans che girano attorno al mio albergo ! “ “Il postino”, dice egli, ha cambiato la sua vita. Hollywood gli ha aperto i suoi studi. Egli sa che deve questa gloria al figlio di una famiglia di modesti operai campani, “Forse, si interroga, per un’ultima volta, non ha avuto egli la forza di lottare con me?” per cambiare il triste epilogo di questo film notevole, una sorta di favola insulare, che possiede quella indefinibile scintilla magica, che è un puro gioiello di umanità e di talento, un capolavoro di tenerezza e di umorismo malizioso. Luis Enrique Bacalov, Oscar della musica Luis Enrique Bacalov, argentino, più italiano degli italiani, che voleva essere pianista virtuoso, giunse al cinema quasi per caso. Per fortuna : a sessantadue anni, egli ha ricevuto un Oscar per la musica de “Il postino”. Luis ha scritto musiche per Federico Fellini (“La città delle donne”, 1979), per Pier Paolo Pasolini (“Il Vangelo secondo Matteo”, 1964), per Ettore Scola o ancora, in Francia, per Diane Kurys (“Coup de foudre”, 1983). L’esperienza de “Il postino” l’ha profondamente segnato : “Ho compreso subito, dice Luis, che era un film importante, inusuale. E non solo a causa della presenza così particolare di Massimo Troisi. C’era una certa delicatezza di ripresa e di sentimenti a cui noi non siamo più molto abituati.” Luis Enrique Bacalov ha composto una musica “per esprimere un elemento supplementare di simpatia e di solidarietà, da parte del poeta latino-americano (per questo l’influenza del tango) verso quell’umile postino. Come se la musica sortisse dall’anima anche di Neruda e prendesse il piccolo postino, per guidarlo e farlo divenire un uomo compiuto”, lui che ha avuta la sfortuna di nascere su un’isola che non vive che di pesca e di detestare la pesca, la cui gioia è grande quando apprende che è ingaggiato come postino nel villaggio vicino. Il suo lavoro si limiterà a servire un solo indirizzo . quello di Pablo Neruda, il poeta cileno in esilio. Neruda si lascia, poco a poco, sedurre da questo ammiratore entusiasta che egli, in partenza, trovava invadente. Una forte amicizia nasce tra i due uomini. Neruda comunica a questo giovane l’amore per le parole e il senso del loro ordinamento. Egli lo aiuta anche a conquistare la donna che ama e che potrà presto sposare, la bella Beatrice (Maria Grazia Cucinotta), di cui si improvvisa il Dante. Una storia molto semplice di un incontro paradossale, quello di un intellettuale e di un bravo postino e, più lontano, quella di un’iniziazione e di una scoperta. L’uomo semplice si apre alla poesia, alla “metafora” e a un altro mondo rasentando quello che potrebbe essere l’ alter ego del poeta Pablo Neruda. Tra colui che attende e colui che riceve si tessono curiosi legami che il film tenta di ridisegnare. E’ questo che ne fa il suo valore: un piccolo soffio fresco e confortante di sensibilità e d’amicizia vera. Tanto più straziante in quanto l’interprete, Massimo Troisi, è morto poco dopo le riprese. Come per sottolineare di una lacrima nostalgica questa avventura profonda ed immobile.
Alfredo Saccoccio