Il primo scritto in italiano: i Placiti Cassinesi
I primi documenti, quattro testimonianze giurate, che attestano l’uso del volgare italiano sono i placiti cassinesi risalenti al X. sec., registrati tra il 960 e il 963. Si tratta di una questione relativa ad alcune terre appartenenti ai monasteri benedettini di Capua, Sessa Aurunca e Teano.
Una lite tra i benedettini e un feudatario locale, certo Rodelgrimo d’Aquino, era sorta sui confini di proprietà del monastero di Montecassino (distrutto dai saraceni nell‘885). Il giudice Arechisi, sentiti tre testimoni, diede ragione all’ordine religioso accettando la tesi secondo la quale un appezzamento di terra era stato occupato ingiustamente da un contadino che prestava servizio per conto del piccolo feudatario.
Furono redatte quattro pergamene di argomento simile e chiamate placiti relative alle proprietà dei monasteri di Capua, Sessa Aurunca e Teano nei principati longobardi di Capua e Benevento. I quattro passi in volgare sono i seguenti:
“Sao ko kelle terre, per kelle fini ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti“ Capua, marzo 960
“Sao cco kelle terre, per kelle fini que tebe monstrai, Perogoaldi foro, que ki contene, et trenta anni le possette“ Sessa Aurunca, marzo 963
“Kella terra, per kelle fini que bobe mostrai, sancte Marie è, et trenta anni lo posset parte sancte Marie“ Teano, luglio 963
“Sao cco kelle terre, per kelle fini que tebe mostrai, trenta anni le possette parte Sancte Marie“ Teano, ottobre 963
* Per la traduzione si vada alla fine dell’articolo
Questa formula che si ripete corrisponde ad altre formule simili ma scritte sempre in latino. E’ la prima volta che tali formule vengono registrate in volgare anche se l’atto notarile verrà redatto in latino. I testimoni erano dei chierici che conoscevano il latino ma si era reso necessario far comprendere il contenuto a quanti erano coinvolti in questa storia. L’introduzione del volgare, perciò, fu un fatto necessario poiché non tutti quelli che erano parte in causa in vicende simili avevano una buona conoscenza del latino.
I placiti cassinesi sono testimonianza di documenti giurati preparati dai giudici con un linguaggio cancelleresco scritto con una sintassi complessa. La loro stesura non fu frutto di improvvisazione bensì di una prassi comune con l’eccezione della lingua volgare al posto del latino. Fino al Duecento, comuque, il latino rimarrà la lingua ufficiale trattandosi della lingua della cultura ma sempre più spesso il volgare si diffonderà fino a sostituirsi (grandi precursori ne furono Dante, Petrarca e Boccaccio).
Nei placiti cassinesi conosciamo i nomi dei protagonisti. Al già menzionato giudice Arechisi, si affianca quello dell’abate del monastero di Montecassino, Don Aligerno. E΄ l’abate che sostiene che le terre appartengono al monastero per diritto di usu capione. I tre testimoni sono Teodomondo, diacono e monaco, Mari, chierico e monaco, Gariberto, chierico e notaio. Saranno gli ultime tre a giurare di fronte a Rodelgrimo, il feudatario locale, ponendo la mano sul documento prodottto. Il giuramento sarà pronunciato e scritto in una ligua compresa non solo dal monaco benedettino ma anche dai testimoni e dalla parte avversa. L’atto del notaio, invece, è scritto in latino come di regola.
Paride Vallarelli
* A seguire la traduzione dei placiti cassinesi:
So che quelle terre per quei confini che qui sono cotenuti le possedette per trent‘anni anni la parte di San Benedetto. Capua, marzo 960
So che quelle terre, per quei confini che ti mostrai, furono di Pergolardo, e qui sono contenuti e per trent’anni li possedette. Sessa Aurunca, marzo 963
Quella terra per quei confini che a voi mostrai è di Santa Maria e per trent’anni la possedette la parte di Santa Maria. Teano, luglio 963
So che quelle terre per quei confini che ti mostrai per trent’anni le possedette la parte di Santa Maria. Teano, ottobre 963