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Il problema della devastazione dello spazio vitale

Posted by on Feb 7, 2017

Il problema della devastazione dello spazio vitale

Lo spazio vitale, come dice la parola, è una necessità vitale, ciò sia a livello individuale che come specie. Questo problema, dunque, va esaminato, a mio avviso, da due angolazioni: da un lato come riduzione dello spazio vitale dovuto sia all’esplosione del numero di esseri umani sulla Terra, sia all’uso indiscriminato del territorio; dall’altro, va visto a livello individuale come riduzione del nostro spazio vitale come persone, e non solo come spazio vitale fisico, ma oppure mentale, sentimentale e via dicendo.

Partiamo dal primo aspetto. Un tempo lo spazio vitale era tantissimo, gli esseri umani pochi in una Terra sostanzialmente libera, però con un grave ostacolo: occupata da animali che potevano essere potenzialmente competitori per le risorse alimentari. E non certo “tutti” gli animali, ma solo alcuni, pochi, specifici: altri mammiferi, di solito, e mammiferi superiori. L’uomo ha dunque lottato contro i lupi, gli orsi, ha imposto i suoi bovini su quelli selvatici, come l’uro, l’ultimo esemplare del quale si estinse nel XVII secolo, anche se parte minima della sua discendenza parrebbe in qualche modo esser finita in qualche specie bovina tuttora esistente.

Poniamo una data d’inizio della competizione: quando l’agricoltura si sviluppò, perché fino a quel tempo la competizione era molto minore. Si potrebbe fare l’obiezione: e l’allevamento? Anch’esso riduce lo spazio vitale delle altre specie! Se è estensivo e se è bovino in particolare, non altri tipi di allevamento. Per esempio, per i pastori mongoli e turchi il lupo era “buono”, mentre per tutti gli agricoltori è sempre stato “cattivo”, per ovvi motivi di concorrenza di spazio vitale[1]. Altro momento “topico” di tale occupazione dello spazio vitale è stato la nascita della città, che non è possibile senza l’agricoltura. La città nasce sostanzialmente come tempio, e non come mercato.

Le civiltà agricole, stanziali, cittadine si espandono. I limiti della terra selvaggia diminuiscono senza posa, come tendenza generale, pur tra mille fasi di espansione e contrazione delle civiltà.

Tutto ciò ha segnato la storia dell’umanità gravi disastri son sempre avvenuti, disboscamenti e conseguenti crisi, l’estrazione di elementi metallici potenzialmente inquinanti, come il piombo, provocò crisi, anche d’inquinamento, nell’antica Roma, e via dicendo. Ma rimanevano sempre vaste zone libere, dove la natura si rafforzava. L’impressione è che il potenziale istruttivo dello spazio vitale, che la specie umana ha sempre avuto, si giocasse allora sempre in un fenomeno di bilanciamento con il mondo naturale. Oggi si ha invece l’impressione che qualcosa si sia definitivamente rotto. Come si è giunti a questo? Il punto di caduta è stata la Rivoluzione industriale ed il fenomeno noto come la “recinzione dei campi” che avvenne nell’Inghilterra della fine del XVIII secolo: allora la terra fu recintata non tanto per farvi campi a iosa, ma perché era sede di “risorse” da mettere a frutto per la produzione industriale. L’agricoltore ha comunque, piaccia o non, una relazione più positiva con lo spazio vitale, che usa, ma sa che ha dei limiti. Con la recinzione della terra, lo spazio vitale diventa un luogo chiuso, completamente staccato da qualsiasi legame con la seguente produzione industriale. Sono “materia prima” senza forma né importanza. Oggi noi sappiamo che i prodotti che usiamo nella vita quotidiana usano materiali e risorse che provengono da qui o lì, ma il legame tra prodotto e risorsa di partenza è nullo. Questa scissione è alla radice del fenomeno che vediamo, lo spazio vitale può essere devastato, esso è un’origine nel senso che una cassaforte bancaria lo è per un ladro, non nel senso che la terra lo è per l’agricoltore, niente lega le due dimensioni.

Se le risorse venissero dalla Luna, nulla cambierebbe alla radice.

Fatto questo passaggio, unito con l’esplosione del numero di esseri umani sulla Terra, lo spazio vitale è stato ridotto ad un ritmo così rapido da essere quasi consumato, ormai.

Veniamo all’altro aspetto, apparentemente non legato, quello del nostro, personale, spazio vitale, anch’esso quasi annullato.

Ma tra le due cose vi è parallelismo.

In effetti, la stessa società che ha così tremendamente, rapidamente compresso e ridotto lo spazio vitale mondiale, ha ridotto tantissimo lo spazio vitale di ogni individuo in se stessa, come società, dietro l’apparenza di un’amplificazione sia degli stimoli, sia delle apparenti possibilità.

In realtà, siamo una società dallo spazio ridotto, e non solo perché le città odierne sono una sorta di bubbone mostruoso, una concrezione di strutture minerali che occupano spazi sempre più grossi e sono sempre più occupate da un’umanità persa e povera, sostanzialmente disparata e disperata.

In realtà, lo spazio ridotto principale è quello mentale. Così come vi fu in Inghilterra la recinzione dello spazio concreto, ciò cui assistiamo oggi è la recinzione dello spazio mentale, l’occupare l’attenzione. Nessuno, oggi, salvo viva in luogo davvero remotissimo, è al riparo dalla pubblicità e dalla sua invadenza, cosa ignota nei secoli precedenti.

Lo scopo è oggi quello di catturare l’attenzione.

Chi cattura l’attenzione è il vincente nella gara della globalizzazione. E tale regola vale allo stesso modo per l’epoca della crisi della globalizzazione stessa: non è cambiato nulla di sostanziale, solo che il processo di globalizzazione, da espansivo, è divenuto implosivo (come J. Baudrillard docêbat illo tempore[2]).

Cosa fare in questa situazione.

Come prima cosa, occorrerebbe liberare lo spazio mentale, il proprio spazio mentale, dalla “colonizzazione” di queste forze che si assicurano l’attenzione.

Occorre liberare la propria attenzione, come prima cosa.

Il resto viene dopo, necessariamente. Ma, mancando quest’anello, anche in presenza di tutto il resto, non vi sarà nulla. Oggi ognuno è il suo principale controllore.

Non è necessario un controllore esterno.

Ogni liberazione dello spazio vitale, anche planetario, parte dalla liberazione dello spazio mentale dell’attenzione individuale.

Andrea A. Ianniello

 

[1] Cfr, Jiang Rong, Il totem del lupo, Mondadori Editore, Milano 2007 (http://www.librimondadori.it/libri/il-totem-del-lupo-jiang-rong#9788804571902).

[2] Cfr, Introduzione di P. Bellasi in J. Baudrillard, Dimenticare Foucault, Cappelli Editore, Bologna 1977, sottocapitolo 1968-1977: dall’esplosione all’implosione, pp. 12-24. 1977 … Praticamente l’anno prossimo (articolo dell’ottobre del 2011 per “Il Picchio”, su cui poi, per vari motivi soprattutto economici, non trovò posto perché “Il Picchio” smise di picchiettare proprio e rivisto quest’anno, il 2016).

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