Il processo di Norimberga del Comunismo
“Superando i crimini individuali, massacri puntuali, circostanziali, i regimi comunisti hanno, per basare il loro potere, eretto il crimine di massa in vero sistema di governo”, scrive Dyéphane Courtois nella sua introduzione a “Il libro nero del comunismo”.
E’, in 770 pagine, l’opera di un collettivo di storici che egli ha diretto, la cui prima parte, dovuta a Nicolas Werth, è da sola, sotto il titolo di “Uno stato contro il suo popolo”, una storia molto completa dell’URSS. Le altre pi descrivono, sempre sotto l’angolo dei crimini e del terrore, l’attività del Komintern verso la rivoluzione mondiale, il destino dell’”altra Europa”, quella dell’Est, la specificità dei comunismi asiatici “tra rieducazione e massacri” e, infine, le modalità e le derive del sistema nel Terzo Mondo, in America latina, a Cuba, in Etiopia, in Angola, in Mozambico, in Afganistan.
In rapporto ai libri fondamentali sul terrore comunista degli storici come Robert Conquest o Martin Malia e degli scrittori come il “Tutto scorre” di Vasilij Grossman e l’”Arcipelago Gulag” di Aleksandr Solgenitsin, l’analisi è dunque qui portata a al livello mondiale, con una informazione, per quanto io ne possa giudicare, solida, anche se essa è talvolta succinta quando si lascia il mondo dell’Est. In compenso, sulla Polonia e sulla Jugoslavia, essa è notevole.
Nella sua requisitoria introduttiva, Sttéphane Courtois sottolinea che la definizione del crimine contro l’umanità del nuovo Codice penale francese, che prende di mira “la pratica massiccia e sistematica di esecuzioni sommarie, di rapimenti di persone seguiti dalla loro scomparsa, dalla tortura o da atti inuimani, ispirate da motivi politici, filosofici, razziali o religiosi ed organizzate in esecuzione di un piano concertato contrariamente ad un gruppo di popolazione civile” si applica a questo tipo di crimini commessi “sotto Lenin, soprattutto sotto Stalin, e poi nei Paesi a regime comunista ad eccezione (sotto beneficio d’inventario) di Cuba e del Nicaragua”.
Partendo da lì, si pongoo due questioni: Innanzitutto, come lo riassaume Stéphane Courtois, lo storico è abilitato ad usare nozioni giuridiche come quella del crimine contro l’umanità ?
“Non sono esse troppo cariche di valori, suscettibili di falsare l’obiettività dell’analisi storica ? “ Egli vi risponde che, se non è “questione di ritorno alle concezioni del XIX secolo in cui lo storico cercava più di giudicare che di comprendere, al cospetto di immense tragedie umane provocate da certe concezioni ideologiche e politiche,, (egli) non può abbandonare ogni principio di riferimento ad una concezione umanistica”. E di invocare Jean-Pierre Azema o Pierre Vidal-Naquet, a proposito dei crimini nazisti o dei loro complici.
La seconda questione è più vasta e tocca i limiti dell’inchiesta.La formulerò così : Quale che sia la loro ampiezza, questi crimini giustificano una storia separata ? Separata dalla storia globale del comunismo, ma anche, poiché crogiolo fu alla partenza, separata dalla storia del fascismo e del nazismo ?
Sul primo punto, la risposta di Stéphane Courtois è che, in effetti, la storia dei regimi e dei partiti comunisti “non si riduce a quella dimensione di terrore e di repressione”, ma la sua giustificazione è che “il terrore è stato, sin dall’origine, una delle dimensioni fondamentali del comunismo moderno”. D’altra parte, che “i crimini del comunismp non sono stati soggetti ad una valutazione legittima e normale tanto dal punto di vista storico quanto dal punto di vista morale”.
E’ vero, come l’ha mostrato “Il passato di un’illusione” di François Furet, chehe l’accesso alla realtà dei regimi comunisti è stato impedito, lungo tutto un secolo, da ogni sorta di complicità. E, sia detto di sfuggita, occorre congratularsi con gli autori di aver saputo affrontare i problemi del “ritorno forzato in URSS dei prigionieri sovietici” trrovandosi ad ovest, dopo il 1945, ed evocare, a questo proposito, il libro di Georges Coudry, “I Campi sovietici in Francia”, per le edizioni Albin Michel, edito nel 1997, che riaprì un dossier troppo occultato. Tuttavia, il secondo giudizio sull’assenza di valutazione dovrebbe essere almeno sfumato. Senza parlare dell’”Arcipelago Gulag”, in un lavoro fondamentale, pubblicato nel 1990, giusto prima dell’apertura degli archivi, lo storico statunitense Richard Pipes, in “La Rivoluzione russa”(1993), scriveva già :”Il terrore è in Francia l’esito della rivoluzione e in Russia il punto di partenza (…). Il terrore rosso forma sin dall’inizio un elemento essenziale del regime”.
Precisato ciò, è vero che il punto di vista universale adottato qui permette di approfondire le fonti di questo terrore, a volte nella tendenza a far prevalere un darwinismo sociale e nella violenza propria della storia russa illustrata da Netchaiev. La conclusione di Stéphane Courtois, “Perché?”, mette ugualmente in evidenza il ruolo giocato dalla guerra intensa, totale, senza precedenti, che dilagò dopo il 1914. “Ma perché, sola in Europa, la Russia ha conosciuto un tale cataclisma ?” La risposta è : “Luomo che impose questa violenza come impose al suo partito la presa del potere è Lenin.” Lo stesso Courtois sottolinea che tanto Hitler ha lasciato le macchie della repressione a dei subalterni,quanto Stalin “ne è l’iniziatore e l’organizzatore”. E “il fatto che Stalin si sia impegnato deliberatamente nella via del crimine contro l’umanità come mezzo di governo” rimanda, secondo lui,la dimensione propriamente russa del personaggio ed anche osseto del Caucaso, ciò che è forse andare un poco lontano, benchè il qualificativo figura nella poesia celebre di Mandelstam, che fece mandare il poeta in un gulsg.
Questa ricerca della specificità è descritta dettagliatamente, con la cura voluta, nello studio di Nicolas Werth, che riprende in esame, alla luce degli archivi, la continuità dei massacri ( di quello degli operai di Astrakhan,, anteriore a quello dei marinai di Kronstadt, fino al vero genocidio di classe condotto contro i kulaki, ossia i russi, poi accentuato dalla carestia in Ukraina, nel Kazakhstan e nel Caucaso del Nord. Le cifre prese in esame conducono a sei milioni di morti, di cui quattro in Ukraina, se in compenso quelli del Gulag lo sono al ribasso, come Jean-Jacques Marie l’aveva già segnalato nel suo”Stalin”.Quello che contesta Jacques Rossi nel suo “Manuale del Gulag, dizionario storico”, che pensa che gli archivi della polizia politica sono stati falsificati. Giovane francese poliglotta, Jacques Rossi, agente del Komintern, fu gettato a ventotto anni, e per vent’anni, nelle prigioni e nei campi di concentramento di Stalin. Il suo “Manuale” è una vera e propria “Summa” di osservazioni e di ricerche, un’enciclopedia vivente del sistema, esteso ai paragoni con lo zarismo.Se si percepisce meglio ormai come i “cicli di violenza sono nel cuore della storia sociale ancora largamente da scrivere dell’URSS”, la conclusione di Nicola Werth mostra che le ultime inchieste tendono a rendere complessi i punti di vista della sovietologia e a mettere in causa “la percezione di un disegno concepito, domato e inscritto nel lungo termine”.Diciamo che la storia è in procinto di riprendere i suoi diritti sui segreti, sull’ideologia e sulla passione.,
Ciò mi conduce al problema di fondo che pone ai miei occhi questo “Libro nero”: quello di saper se si può trattare dei crimini del comunismo indipendentemente dalla storia europea, almeno fino al 1945.
François Furet fu impedito dalla morte di scriverne la prefazione, ma la rivista “Commentaire”,dell’autunno 1997,rivela la sua corrispondenza, nella primavera dello stesso anno,con lo storico tedesco Ernst Nolte, “Sul fascismo, il comunismo e la storia del XX secolo”. Il Furet scrive : “La sola maniera profonda di affrontare lo studio delle due ideologie e dei due movimenti politici inediti che sono apparsi all’inizio del nostro secolo, il comunismo marxista-leninista e il fascismo, sotto la sua duplice forma italiana e tedesca, consiste a prenderli “ insieme” (sottolineato dal Furet), come le due facce di una crisi acuta delle democrazia liberale, sopravvenuta con la guerra del 1914-1918.”
Egli aggiungeva, in risposta alla tesi di Nolte, che fa del fascismo una risposta al bolscevismo : “La storia parallela del bolscevismo e del fascismo, che credo necessaria all’intelligenza del XX secolo europeo, non deve offuscare la specificità delle loro passioni e quella dei loro crimini, inseparabile da quello che li fa essere, ciascuno, quello che sono : se se no come si potrebbe rendere conto delle intenzioni degli attori?”
“Il libro nero del comunismo” mette in luce la specificità delle passioni e dei crimini del comunismo e lo stato delle nostre conoscenze sull’argomento. Esso chiama in questo modo questa storia parallela che Furet giudicava indispensabile e che è più che mai di attualità.
Alfredo Saccoccio