IL REGNO DELLE DUE SICILIE NON ERA POVERO
Un Saggio sul Regno delle Due Sicilie prima dell’Unità italiana: la società, la ricchezza, l’industria. La vita nel Regno delle due Sicilie.
I documenti contenuti in questo lungo articolo mettono “a nudo”, volenti o nolenti, i mali profondi e la divisione in due delle popolazioni italiche fra Nord e Sud. Il “lombrosismo” discriminante, che teorizza l’arretratezza del sud preunitario, ad uso della propaganda massonico-liberale, promossa a tutt’oggi dall’attuale governo come “autonomia differenziata”, è diffuso nei vari livelli della società e in tutte le istituzioni dello stivale. La propaganda si oppone alla verità, e solo dopo un secolo e mezzo sappiamo della massiccia partecipazione della massoneria alla costruzione unitaria e, conseguentemente, alla “costruzione” della manipolazione ideologica del regime. “L’obbedienza” ad essa, è diffusa in tutti gli ambiti occupati dai “settari” sia a nord che a sud, in particolare nelle università, nelle scuole, negli enti pubblici sotto il falso nome di “codice etico” ed è l’obbedienza propria di quei funzionari dello Stato più interessati a servire il loro padrone politico che la verità.
Tra le “verità” nascoste si annovera il principale crimine politico del Risorgimento, la violazione del diritto internazionale, il cosiddetto ius gentium, regolatore dei rapporti tra gli stati, teorizzato alla fine del ‘600 da Hiug van Groit (italianizzato in Grozio) nella sua opera De iure belli ac pacis del 1625. Grozio affermò, nel cap. XVII dei Prolegomena, la validità del diritto internazionale (ius gentium) sul diritto naturale (dictatum rectae rationis), teoria che, ancora nel 1860, regolava i rapporti tra Stati europei.
L’aggressione dell’esercito piemontese, poi italiano, al Regno due Sicilie fu una delle tante violazioni dei fondamenti enunciati da Grozio. Fondamenti giuridici e filosofici che non vennero rispettati né nel 1860, né successivamente. La conclusione, in fondo all’articolo, completerà più ampiamente altre considerazioni finali.
Al lettore rivolgo l’invito a riflettere sulla reale situazione internazionale di allora, mettendo a confronto la guerra di Crimea del 1853-56, con all’attuale conflitto Russia-Nato in Ucraina.
Alla metà dell’800 il pacifico Regno delle Due Sicilie aveva intensificato i rapporti politici, commerciali e culturali con la Russia, attivi da decenni (con certezza dal 1827), esportando ed importando attraverso i due stretti: Dardanelli e Bosforo.
In Russia i porti di attracco della Marina Commerciale Napolitana erano Pietroburgo, Riga, Berdiansk, Marianopoli, Odessa, Tangarog e Galatz (Moldavia).
Al contrario il Piemonte di Cavour, in mano alla famiglia di finanzieri Rothschild (soci della Banca privata Nazionale degli Stati Sardi dal 1852), per aggredire la Russia spediva, a bordo della pirofregata Governolo e di altre sei navi, un contingente militare detto Corpo di spedizione Sardo in Crimea, unendosi alle truppe delle altre nazioni sotto il generale britannico Lord Raglan, comandante in capo. Il contingente militare piemontese (bersaglieri compresi) con un effettivo di 18.058 militari, tornò a casa con il poco consolante risultato di 4.458 uomini deceduti per malattie (si tace sui morti o malati per i gas tossici anglo-francesi), 52 per incidenti, 3 per suicidio e 32 caduti in combattimento (i). Ne perirono più per incidenti che in combattimento, nonostante i testi di storia stranieri raccontino di una guerra di Crimea molto cruenta. Il contingente, al comando di Alfonso La Marmora, Giovanni Durando, Enrico Cialdini ed altri, fu sottoposto, nel rango militare, ad Inghilterra e Francia. Gli stessi capi militari che il Piemonte inviò nel 1855 alla guerra di Crimea contro la Russia, furono poi spediti nel 1860, come sgherri, ad aggredire militarmente il Regno delle due Sicilie passando dalle Romagne e dalle Marche.
“L’Italia è un’espressione geografica”.
Il 2 agosto 1847 lo statista austriaco Klemens Von Metternich scrisse, in una nota inviata al conte Dietrichstein, la frase «L’Italia è un’espressione geografica». Questa affermazione venne “realizzata” e “confermata” dopo la guerra, non dichiarata, al regno borbonico.
Nel 1860, con la conquista manu militari del Regno delle Due Sicilie, si teorizzarono e si crearono due Italie, una al nord una al sud, divisione che permane tuttora con il sud colonia del nord. Sono passati 163 anni dalla dis-unità italica ma ancora, oggi prevale la versione “voluta” dal regime ottocentesco. Questo di per sé testimonia, casomai ce ne fosse bisogno, che non c’è mai stata l’unità e che è stato necessario costruire molte menzogne per nascondere le verità: il falso storico, che mentiva sull’unità precostituita da nazioni estere nel passato, fa comodo al “sistema” Italia che continua a mentire tutt’oggi, facendo leva su presunti valori risorgimentali di “nazione”, mentre vige invece la totale dipendenza dagli USA, che impone la presenza di missili nucleari sul nostro territorio.
Il Sud è colonia interna mentre, allo stesso tempo, il Nord finge ipocritamente di non essere a sua volta colonia di altre nazioni estere. Il nocciolo del problema è nella fitta rete di logge e sette dedite a culti esoterici stranieri. Le carbonerie di allora, trasformate nelle odierne massonerie, gestiscono anche gli apparati dello stato, i governi, il ministero dell’istruzione con i suoi indirizzi pedagogici, le università, gli istituti di storia, tutto il “carrozzone” dei 40 musei del Risorgimento, i mass media (televisioni, giornali, riviste, ecc…), banche, attività finanziarie, amministrazioni pubbliche. Nel Regno i carbonari, “settari”, massoni che cospiravano politicamente in segreto contro la monarchia venivano incarcerati e processati, anche le associazioni dedite all’illecito.
Tra loro gli esuli politici napoletani Settembrini, Spaventa, Poerio, ed almeno altri sessanta noti alle cronache giudiziarie dell’epoca. Un discorso a parte andrebbe fatto per i “settari”, massoni siciliani, come Crispi, La Farina ed altri, transitati poi in parlamento e ai governi.
In questo viaggio alla riscoperta di un Regno delle Due Sicilie, ricco, industrioso e produttivo, partiamo proprio dalla parte più sana: le finanze e la ricchezza posseduta.
Fu il Sole 24 ore del 17 marzo 2011, un giornale che non è certamente meridionalista, a dare una spiegazione, chiara per tutti, della feroce aggressione piemontese al Regno due Sicilie: nel 1859 il debito pubblico del Piemonte del primo ministro Cavour aveva raggiunto l’insostenibile percentuale del 565,42%.
Alle casse dell’indebitato Piemonte, cui non rimaneva altro che la bancarotta, vennero invece in soccorso i vecchi trimalcioni della finanza, i filantropi, i colonizzatori di lungo corso, i massoni albionici che, dopo aver “incamerato” le pingui ricchezze degli altri stati, evitarono il dissesto finanziario piemontese il cui di debito pubblico aveva raggiunto la somma di un miliardo centoventuno milioni e rotti. I vecchi filantropi dell’alta finanza anglo-americana si assicurarono il debito e la gestione delle future finanze di tutti i sette ex-stati preunitari. Inoltre, la detta filantropica finanza in un colpo solo divenne unico finanziatore del nuovo Stato monarchico e unico controllore della classe politica che di volta in volta fu al governo.
Francesco Saverio Nitti.
Presidente del Consiglio dei ministri del Regno d’Italia, più volte ministro, economista, politico, saggista. Liberale cattolico, professore di scienza delle finanze e diritto finanziario presso l’Università di Napoli, Nitti fornì i dati finanziari dai quali emerse la reale motivazione dell’aggressione militare del Piemonte e il furore unificatore dei suoi ministri.
La ricchezza circolante del conio in oro e argento, pari a 443,2 milioni, da sola avrebbe costituito una solida garanzia per il debito pubblico del Regno delle Due Sicilie, che ammontava a 411,5 milioni.
I metalli preziosi del conio furono uno dei bottini da traslocare nelle casse piemontesi dai ministri liberali. L’ingente patrimonio monetario borbonico costituiva oltre il 60% della ricchezza reale circolante di tutti gli altri Stati della penisola messi insieme.
La “vulgata” storica ha raccontato e racconta la versione falsa e menzognera dell’arretratezza del Regno due Sicilie, che viene imposto con la damnatio memorie, plastica dimostrazione della disunità e delle due Italie.
Nel 1860 il Regno delle Due Sicilie, uno Stato autonomo e sovrano riconosciuto come tale da tutti gli Stati europei, subì contemporaneamente l’aggressione militare, politica ed amministrativa piemontese. Finita la guerra militare, con la resa dei borbonici a Gaeta, iniziò la guerra delle popolazioni civili contro l’invasione manu militari sabauda. La resistenza politica e popolare del primo decennio, chiamata spregiativamente “brigantaggio”, fu una seconda feroce Vandea repressa con distruzioni di interi paesi, scontri armati, uccisioni, caccia all’uomo con “taglione”. Alla fine del primo decennio le vittime civili furono non meno di 300.000 tra scontri, esecuzioni sommarie e fucilazioni; 160.000 furono, invece, i deportati civili ai lavori forzati nei lager del centro nord e della Sardegna. Ad essi si aggiunsero decine di migliaia di incarcerati nelle prigioni liguri e piemontesi e molte migliaia di garibaldini e di soldati del disciolto Esercito Meridionale. Per attuare le drastiche misure repressive i funzionari, i sindaci e i prefetti, vennero nominati da Torino ed i precedenti amministratori furono rimossi o arruolati dal nuovo regime massonico liberale. Con l’annessione, dopo un plebiscito farsa, iniziò la drastica demolizione dello stato sociale da parte di un apparato sabaudo guidato da una élite anglo americana che tanto somiglia agli attuali governi italiani eterodiretti da anglici e NATO.
Le Finanze – La penetrazione dei Rothschild nel Regno d’Italia e l’imposizione della lira cartacea piemontese.
La banca Rothschild, già socia della Banca Nazionale degli Stati Sardi, aveva un forte interesse per l’oro e l’argento depositato nella zecca di Napoli e per la moneta circolante nel Regno.
I banchieri conoscevano benissimo le finanze napoletane; nel marzo 1821 Carl (Kalmann) Mayer Rothschild giungeva per la prima volta a Napoli, introdotto a corte da una lettera del principe di Metternich per riscuotere il debito dell’invio delle truppe austriache per sedare i moti carbonari del 1820-21. L’amministrazione borbonica contrasse debito per 800.000 scudi con Rothschild e C. (decreto del 29 maggio 1821), altro debito di 840.000 scudi (decreto del 5 dicembre 1821), ulteriore debito di 2.500.000 scudi (5 febbraio 1824). Il banchiere ebreo non riuscì ad indebitare né gli industriali svizzeri né la corte napoletana che non finì stritolata, come il Piemonte e la Toscana, dalla spietata e vorace banca Rothschild e C. (ii)
Le principali azioni e gli uomini che favorirono l’acquisizione delle ricchezze e gli interessi di casa Rothschild furono: Gioacchino Pepoli, che chiuse la zecca incamerando i metalli preziosi ivi giacenti e Quintino Sella, che acquisì le casse del Registro e Bollo.
Inoltre, con la legge Pepoli del 1862, e il corso forzoso della lira, la moneta napoletana fu totalmente eliminata e venne imposta la lira cartacea piemontese, che in alcuni tagli riportava la scritta American Bank Note Company New York, la prova dell’imposto signoraggio bancario. Il disastro economico e sociale per l’ex Regno delle Due Sicilie fu completo. Con l’unificazione amministrativa, i debiti preunitari furono rispalmati su tutti i nuovi sudditi del Regno che, di fatto, si videro obbligati a ripagare i debiti piemontesi contratti dai governi Cavour alla casa bancaria Rothschild.
Il suddito del Regno delle Due Sicilie che prima del 1860 possedeva monete d’oro, deteneva una ricchezza reale; con la lira cartacea piemontese l’ex suddito del Regno delle Due Sicilie, derubato delle riserve auree, del valore reale della sua moneta, avrebbe posseduto un valore nominale, non più effettivo, reale, come prima dell’Unità.
Come già detto, gli ex sudditi del Regno delle Due Sicilie, oltre a pagare l’ingente debito piemontese, subirono il subdolo inganno del signoraggio bancario, ordito con l’emissione della moneta cartacea in mano all’American Bank Note Company di New York. Un disastro politico ed economico che gli “storici salariati”, continuando a mentire, chiamano “questione meridionale”.
Totalmente diverso il quadro economico agli inizi dell’800: le casse del Regno delle Due Sicilie, grazie all’accorta conduzione degli anni 1834, 1835, 1836, 1841, raggiunsero il pareggio di bilancio. Come si legge anche nel giornale milanese “La Bilancia: Giornale di Milano” del 1858 a pagina 46, e negli atti pubblicati nella rivista ufficiale: Della Condizione Finanziaria del Regno di Napoli.
Finanze del Regno delle Due Sicilie.
Entra in scena Stefanie Collet, storica della finanza alla Université Libre de Bruxelles (Belgio). Nella rubrica Storie del Corriere della Sera del 20 marzo 2012, a firma di Giuseppe Chiellino compare un articolo: “Gli «eurobond» fecero l’Unità d’Italia, quando il Regno di Napoli era come la Germania”. Lo studio commissionato da Angela Merkel alla Prof. Collett, condotto negli archivi della borsa di Parigi e di Anversa e pubblicato nel 2012, prese in esame l’unico precedente storico di unificazione di debiti sovrani, quello realizzato con l’Unità d’Italia. Ebbene, da questo studio emerse chiaramente la stabilità dei titoli del Regno delle Due Sicilie nelle due borse europee citate e la loro tendenza al rialzo almeno due anni prima del 1860. La solidità e l’affidabilità delle obbligazioni del Regno (rinvenute negli archivi delle due borse) fu tale che, sino al decennio successivo al 1860, furono stampate con lo stesso logo del Regno delle Due Sicilie. Chi vuole leggersi lo studio pubblicato dalla Prof. Stéphanie Collet per Leibniz Institute for Financial Research SAFE (Date Written: August 1, 2016), può farlo al link in nota. (iii)
I Commerci
La Marina Mercantile del Regno delle Due Sicilie. I trattati commerciali del Regno in essere nel 1860 erano stati stipulati con: Inghilterra, Francia, Spagna, Svizzera, Piemonte (Regno di Sardegna), Marocco ed Egitto. I trattati commerciali in essere già dal ‘700 erano stati stipulati con: Vilayet (Reggenza) di Tripoli, Svezia, Danimarca, Olanda, Repubblica di Genova, Porta Ottomana, Impero delle Russie.
I numerosi trattati commerciali portarono ottimi risultati per la circolazione delle merci e, di riflesso, per le entrate. Tra il 1821 ed il 1830 la fiorente economia del Regno raddoppiava le entrate da dogane e dazi di consumo, entrambi in crescita.
Napoli ha sempre avuto una posizione privilegiata al centro del Mediterraneo che ha favorito i commerci e lo scambio tra il nord Africa, l’est Ottomano e l’Europa.
Di questa favorevole posizione geografica godeva il Regno delle Due Sicilie e non dovrebbe stupire che Napoli, in 15 secoli di storia dalla polis greca al Regno delle Due Sicilie, fosse il crocevia di scambi e commerci tra terre molto distanti tra loro. Nei secoli divenne un microcosmo di storia europea fatta di diverse civiltà, popoli e culture che lasciarono tracce profonde nel suo patrimonio culturale e popolare; per secoli fu capitale dell’Italia meridionale e condivise con il porto di Palermo il primato degli scambi commerciali a nord del Mediterraneo.
Dopo il 1734 il Regno di Napoli passò da vicereame austriaco alla reggenza dei Borbone di Napoli. Sotto questa monarchia, dal 1740 al 1787 stipulò ben 8 trattati commerciali e nel 1787 addirittura anche con l’Impero delle Russie. Non stupisce quindi che, agli inizi dell’800, a Napoli sia stata varata la prima nave a vapore del Mediterraneo, come non deve stupire che al porto di Odessa ci fosse una piccola comunità di Napolitani e si parlasse la lingua napolitana.
Popolazione occupata del Regno due Sicilie prima dell’unità.
Dalla pubblicazione del primo censimento del 1861 si evince la enorme differenza tra il numero di impiegati nell’industria nell’ex-Regno delle Due Sicilie, stimato in 1.595.359 unità, e i 345.563 impiegati nell’industria di Piemonte e Liguria. Impossibile fare un paragone neanche unendo i dati di Piemonte e Lombardia, che assommano a 810.566 unità.
Le Industrie – Industria della carta.
Diciassette cartiere nella sola Terra di Lavoro, oggi basso Lazio, l’insediamento più consistente e più importante del Regno per l’industria della carta, della manifattura filati e per la siderurgia nel circondario di Sora.
Industrie dei filati.
Aziende nate anche grazie agli investimenti delle più altolocate famiglie giunte da Oltralpe, come i Meuricoffre, gli Egg, i Caflish, gli Schlaepfer, i Vonwiller. Queste, ma anche tante altre, trasferirono le loro attività produttive a Napoli, Caserta e Salerno, attirati dalla politica protezionistica messa in atto dai Borbone, dal loro incondizionato appoggio, da un felice processo di industrializzazione in atto nelle Due Sicilie, dal sostegno del sistema bancario svizzero, dall’abbondanza di manodopera locale, dalla forte richiesta del vasto mercato interno e dalla possibilità di esportazione verso i Paesi del Mediterraneo. Le industrie manifatturiere occupavano 1.595.359 persone, stando al già citato censimento piemontese del 1861. Tutto il Salernitano divenne il comprensorio in cui si concentrò l’industria tessile, come pure ad Arpino nella valle del Liri e nel circondario di Sora.
Salerno: filande per cotone, tessitura, stampa di filatura della lana.
Sarno: filande per lino.
Scafati: fabbriche con telai di tessitura.
Sora: lanifici e panni per la carta.
Abruzzo: lanifici.
Napoli: sobborghi di Napoli, filande per seta, cotone, lino.
Sicilia: altre manifatture di seta a Catania e Messina; lana a Leonforte; canapa, lino, cotone a Palermo.
Nell’Ottocento, il tessile ha rappresentato un settore importante dell’economia della Campania e del Sud Italia in generale, sviluppato soprattutto grazie agli investimenti di industriali elvetici le cui storie sono pubblicate nel sito della rivista della Radio Televisione Svizzera https://www.swissinfo.ch, qui di seguito riassunte.
Gian Giacomo Egg (1765-1843): Egg fondò nel 1812 il primo moderno cotonificio del sud, a Piedimonte d’Alife (oggi Piedimonte Matese), portando con sé oltre cento famiglie svizzere. Lo stabilimento di Egg si sviluppò velocemente fino ad impiegare oltre 1.000 operai e divenendo così il più grande cotonificio meridionale. Sulla scia di Egg, negli anni successivi, quando sul trono è tornato Ferdinando I, giungono in Campania altri imprenditori svizzeri: Davide Vonwiller, Federico Alberto Wenner, Carlo Schlaepfer… «In Campania vi era una certa disponibilità di materia prima, poiché durante il decennio francese si era iniziato a coltivare il cotone, in seguito appunto al blocco continentale. Le industrie si impiantano inizialmente nella valle dell’Irno a causa della presenza del fiume. In un secondo tempo nell’agro nocerino-sarnese. Inoltre proprio a Salerno vi era già un tradizione della lavorazione del tessile, non del cotone ma della lana», spiega Silvio de Majo, professore di storia economica all’Università di Napoli. Non va neppure dimenticato che vi è una volontà politica di attirare investitori stranieri. Murat, ad esempio, concede gratuitamente degli edifici per impiantare le nuove industrie.
Vonwiller, il successore. Il principale protagonista della fase iniziale di questa industrializzazione è soprattutto Davide Vonwiller, nato a San Gallo nel 1794 e inviato giovanissimo a Napoli, nel 1815, come rappresentante di una ditta svizzera di tessuti. Aiutato dal protezionismo del governo borbonico, nel 1824 Vonwiller decide di saltare il fosso. Si associa al connazionale Federico Züblin e fonda una filanda a Fratte di Salerno. Vonwiller è l’archetipo dell’industriale moderno, competente sia per quanto concerne l’aspetto industriale che per quello commerciale. «Può contare su una vasta rete di contatti con banchieri e commercianti tedeschi, inglesi e genovesi. Ciò gli permette di avere i capitali per fare arrivare le macchine e probabilmente anche di vendere la produzione», osserva Silvio de Majo. «Nei decenni successivi, quando nascono altre fabbriche, per quanto concerne l’aspetto commerciale tutto fa capo a Vonwiller». Il sangallese e i suoi soci abbozzano anche un modello di integrazione verticale: a Fratte di Salerno nascono così uno stabilimento di tintoria e stamperia, nonché un’officina meccanica, specializzata nella costruzione e riparazione di macchine per l’industria tessile. Vonwiller muore nel 1856. I suoi funerali attestano dell’importanza dell’industriale svizzero: «Oltre ad una grande partecipazione popolare, vennero contate più di 50 carrozze che seguivano il feretro attraverso la città di Napoli», ricorda Elio Varriale nel saggio Svizzeri nella storia di Napoli (1998). Nella società Zueblin e Vonwiller, nel 1833 entra anche un altro svizzero, Federico Alberto Wenner, capostipite di una famiglia che, associata agli Schlaepfer, nella seconda metà dell’Ottocento possiede ben sette stabilimenti che impiegano circa 2.500 persone. (iv)
Si elencano brevemente le industrie manifatturiere largamente diffuse in tutte le altre province del Regno: industrie della seta, del cotone, della lana, della tessitura, del ricamo e del cucito; settore alimentare: allevamento e lavorazione delle carni; industrie molitorie; olivicoltura; viticoltura; oltre a mercati e fiere. Le condizioni della vita in tutto il meridione dopo l’unità, a seguito della demolizione dello stato sociale e dell’espropriazione forzosa del lavoro vennero denunciate nell’intervento dell’industriale e letto in parlamento da Giuseppe Polsinelli in un memorabile discorso tenuto alla Camera il 25 maggio 1861, riportato da Ferdinando Corradini. Fra la generale incomprensione e ostilità, espose la situazione in cui erano venute a trovarsi le industrie tessili napoletane: «Sa il signor presidente del Consiglio – urlò in faccia al Cavour – i dolori e le perdite che hanno subite gl’industriali delle province meridionali? Sa il signor presidente del Consiglio quante centinaia di migliaia di persone sono a languire dalla fame per quelle modificazioni? Il Cavour, serafico, gli rispose che, a quel che lui sapeva, da quando era stata introdotta la nuova tariffa doganale i traffici al porto di Genova erano aumentati. La stessa cosa, però, aggiungiamo noi, non era accaduta nei porti di Napoli e di Palermo. Una dopo l’altra chiusero tutte le fabbriche che producevano panni di lana nella valle del Liri. L’ultima, che dava lavoro a 190 operai, nel 1882. Finì così una tradizione industriale che, come abbiamo visto, affondava le sue radici nel periodo della Repubblica romana. Appena cinque anni dopo, nel 1887, per proteggere le industrie che, nel frattempo, si erano concentrate al Nord, quelle della lana in primo luogo nella piemontese Biella, furono reintrodotti i dazi. Questa nuova tariffa doganale determinò la crisi della viticoltura e della olivicoltura, produzioni queste tipiche e preponderanti nell’Italia meridionale. Come ha evidenziato Denis Mack Smith, cominciò allora la corrente migratoria dal sud Italia verso l’America, che divenne ben presto una vera e propria inondazione». (v)
Dalla distruzione dell’industria dei filati delle due Sicilie, il solo distretto di Caserta produceva nel 1860 da 14.000 a 15.000 libbre di sola seta di elevata qualità esportata sul mercato francese, inglese e americano, ne trasse enormi vantaggi Sir Moses Haim Montefiore, ebreo sefardita nato a Livorno, imprenditore italiano naturalizzato britannico e come sempre “passato” per filantropo. La famiglia di Moses, insieme ai Rothschild, impiantò un’efficiente rete di sconti cambiari e di assicurazioni sulle merci. Per questo motivo Moses, presidente della Bengala, British, Irish and Colonial Silk Company, da monopolista mondiale vide come insidiosi concorrenti da annientare le famiglie svizzere di imprenditori dell’industria dei filati. Distruggere l’industria del Regno, che era in crescita, aveva una marineria autonoma e non stipulava assicurazioni sulle merci, fu relativamente facile per Moses, potente finanziere in Inghilterra e in Europa. Oltre alla posizione finanziaria e al suo peso politico presso il governo inglese, Moses aveva un ruolo influente presso le logge londinesi: «Massone, fu membro della Loggia “Moira” N. 92 di Londra e della Loggia “Giuseppe Mazzini” del Cairo, dove fu probabilmente iniziato. A suo nome è intitolata la Loggia londinese “Montefiore Lodge” N.1017 e in suo onore è stata creata a Mihaleni (Romania) nel 1885, anno della sua morte, la Loggia “All’Amicizia”» (vi).
L’industria in Sicilia. Un discorso a parte meriterebbe l’industria siciliana, che per ragioni di spazio è qui ridotta a mero elenco di prodotti ed attività. Per il tessile le condizioni artigianali della fine del Settecento erano arretrate rispetto a quelle inglesi e francesi. Dopo la prima decade dell’800, con l’introduzione di telai stranieri, la produzione di seta e filati vide un grande miglioramento. Fabbriche di tessuti risultavano a Palermo, Leonforte, Termini Imerese; a Catania si arrivò all’impiego di 20.000 abitanti, per la produzione di 50.000 libbre di seta all’anno.
Altre produzioni industriali furono: lo zucchero di canna, le cartiere, le fabbriche di carrozze, le ceramiche (Caltagirone, Sciacca, Patti, Burgio, Santo Stefano di Camastra), le saline, le tonnare, le coltivazioni di tabacco, del grano, di agrumi, di vini, (tra cui, il più famoso la marsala totalmente in mano ad investitori inglesi Whitaker, Woodhouse, Ingham ed altri).
Il più intraprendente dei mercanti anglosassoni in Sicilia, Beniamino Ingham, creò una colossale ricchezza in società con Lee Brown; insieme, infatti, impiantarono agli inizi dell’800 uno stabilimento enologico a Marsala. Il porto cittadino ebbe attracchi esclusivi per gli inglesi, ed è sotto la loro protezione che Giuseppe Garibaldi vi attraccò con il Piemonte e il Lombardo sessant’anni dopo.
Gli agrumi prodotti sulla fascia costiera Tirrena e Jonica nel 1807 raggiunsero il nord America e nel 1815, ne venivano esportate almeno 200.000 casse ad Amburgo, Anversa, Amsterdam, Copenaghen, Pietroburgo, Danzica, Livorno, Trieste, Venezia. Con la produzione della soda artificiale largamente usata per i saponi, all’inizio dell’800 a Milazzo si producevano i “saponi a fuoco marmorati”.
L’industria estrattiva degli zolfi siciliani già ad inizio secolo registrava esportazioni per 6.500 tonnellate; per l’estrema importanza che ebbe, lo zolfo fu paragonabile al petrolio attuale. Lo zolfo siciliano fu talmente importante da determinare i rapporti tra Inghilterra, i Borbone e la monarchia francese. Una dettagliata ed esaustiva trattazione sull’industria dello zolfo, insieme alle molte altre industrie siciliane, è ben esposta nel testo di Orazio Cancila, Storia dell’industria in Sicilia, Editori Laterza 1995.
Del destino delle produzioni industriali dopo l’unità si possono riportare due esempi distanti tra loro: uno è la creazione della società Monteponi per lo sfruttamento delle miniere sarde, la cui sede fu posta in Torino per avere sotto diretto controllo lo sfruttamento economico dei minerali estratti e venduti a Inghilterra e Francia. L’altro è la creazione della Società Anonima Vinicola Italiana, sempre con sede ed azioni emesse a Torino. Entrambi lasciano intendere un controllo diretto dell’utile finanziario nelle banche del nord.
Queste vicende sono emblematiche: dopo l’invasione del sud, al territorio meridionale non resta che raccogliere le briciole dal capitalismo coloniale del nord Italia e della sempre vorace e predatoria finanza che depauperarono tutte le aree industriose del Sud. Un terzo drammatico esempio, questa volta finanziario e recente, è la spoliazione del Banco di Napoli del 1984 ad opera di uomini delle istituzioni: «all’asta nella quale furono presentate due Opa (offerte di acquisto) l’una da Mediocredito Centrale (banca del Mezzogiorno) per 400 miliardi di lire e l’altra molto inferiore, per 61 miliardi, dalla Banca Nazionale del Lavoro (BNL) congiuntamente all’Istituto Nazionale di Assicurazioni (INA). Era dunque ovvio che la vendita fosse aggiudicata a Mediocredito per quei 400 miliardi ma invece, incredibilmente, il ministero del tesoro l’aggiudicò a BNL e INA per quei 61 miliardi, svendendo quindi scandalosamente quel 60% del capitale del Banco di Napoli, con grave danno per la Fondazione che ne era proprietaria. E questo capitale così svenduto andò per il 49% a BNL e per il 51% all’INA. Ma come aveva potuto quel ministero del tesoro, cioè appunto Carlo Azelio Ciampi, realizzare una così evidente impostura… e perché ?» (vii)
Così si domandò stupito Giovanni Cervero il 18 Giugno 2017 nel suo articolo su positanonews.it; d’altronde Vittorio Emanuele II la sua fame predatoria l’aveva chiamata “politica del carcioffo”. Con l’espoliazione di tutto il Regno delle Due Sicilie, materie prime ed industria una a una come le foglie del carciofo, lo Stato sabaudizzato continua a depredare la sua colonia del sud.
Flotta Mercantile e Cantieristica Navale. Le Due Sicilie disponevano di una flotta mercantile pari ai 4/5 del naviglio italiano ed era la quarta del mondo: ne facevano parte oltre 9.800 bastimenti ed un centinaio di questi (incluse le navi militari) erano a vapore. (viii)
La prima compagnia di navigazione a vapore del Mediterraneo (1836) svolgeva un servizio regolare e periodico, compreso il trasporto della corrispondenza, con navi come il Real Ferdinando che potevano trasportare duecento passeggeri da Palermo a Napoli. Nel 1831 entrò in servizio la nave Francesco I che copriva la linea Palermo, Civitavecchia, Livorno, Genova, Marsiglia. La stessa nave effettuò anche la prima crociera turistica del mondo, nel 1833, in anticipo di più di 50 anni su quelle che seguirono: durò tre mesi con partenza da Napoli, arrivo a Costantinopoli (dove destò l’ammirazione del sultano) e ritorno con diversi scali intermedi.
Venne sottoscritta la prima convenzione postale marittima d’Italia e nel 1781 venne stilato il primo codice marittimo italiano.
Le principali scuole nautiche erano a Catania, Cefalù, Messina, Palermo, Riposto (CT), Trapani, Bari, Castellammare, Gaeta, Napoli, Procida, Reggio. Fu riattivato il porto di Brindisi (1775) che era chiuso da secoli.
Da non trascurare, anche se di importanza secondaria per le casse del Regno due Sicilie, il commercio oltre Atlantico, del quale si ricordano almeno tre scali in ordine d’importanza: New York, New Orleans, California. (ix)
Industria Estrattiva e Chimica. Il Sud disponeva dell’importantissima produzione dello zolfo siciliano, che copriva il 90% della produzione mondiale e da sola assorbiva il 33% degli addetti di tutta l’industria estrattiva italiana. Aveva un peso economico notevolissimo e ancora negli anni immediatamente post-unitari provenivano dal Sud i 2/3 delle produzioni chimiche italiane. La chimica industriale dell’800 era quasi del tutto basata sullo zolfo, specialmente l’industria degli esplodenti per le armi: è pertanto chiaro l’enorme valore strategico di tale produzione ed il conseguente atteggiamento dell’Inghilterra nella questione “degli zolfi siciliani”. A Napoli e dintorni sorsero anche fabbriche di amido, di cloruro di calce, di acido nitrico, di acido muriatico, di acido solforico ed infine di colori chimici. Le risorse del sottosuolo (zolfo, ferro, bitume, marmo, pozzolana) erano sapientemente sfruttate a livello industriale. (x)
Siderurgia, Metalmeccanica. A Pietrarsa, c’era la più grande industria metalmeccanica d’Italia, l’unica italiana in grado di costruire motrici a vapore per uso navale; vi era la “Scuola degli Alunni Macchinisti” che escludeva i macchinisti inglesi. Tra Pietrarsa e Mongiana (Calabria) venivano costruiti cannoni ed altri armamenti, manufatti meccanici per uso civile, vagoni, locomotive e binari ferroviari. Lo stabilimento metalmeccanico, inaugurato nel 1840, precedeva di 44 anni la costruzione della Breda e di 57 quella della Fiat. Nel 1860 Pietrarsa impiegava 1.000 operai, l’Ansaldo di Genova ne aveva 480. Nel 1861 vi erano tre fabbriche in grado di produrre locomotive: Pietrarsa e Guppy nelle Due Sicilie ed Ansaldo a Genova. Nel 1846 dalle Officine di Pietrarsa furono realizzate sette locomotive per il Regno di Sardegna e Toscana: Pietrarsa, Corsi, Robertson, Vesuvio, Maria Teresa, Etna e Partenope. (xi)
In Calabria l’attività estrattiva vedeva coinvolti numerosi siti: grazie alle Miniere di Pazzano (xii) e di Bivongi, l’industria siderurgica aveva un importante centro di lavorazione nelle Reali ferriere ed Officine di Mongiana. Dopo l’unità a partire dal 1870 i siti minerari calabresi vennero dismessi e abbandonati. Meno di venti anni fa furono «Resi noti [anno 2006] dal Ministero dell’Ambiente, i dati del censimento che riportano 29 miniere a cielo aperto e 31 in sotterraneo. I minerali estratti nei 60 siti rilevati erano: Zolfo, Feldspati, Caolino, Mica, Marna da cemento, Minerali del Manganese, Salgemma, Lignite, Lignite xiloide, Pirite, Silicati idrati alluminio, Barite (Baritina), Fosforite, Limonite, Quarzo, Molibdenite, Grafite, Arsenopirite, Cinabro.» (xiii)
Estrazione di minerali nella Val Comino. Un recente studio del Geologo Angelo Cipriani intitolato “Le miniere di alluminio e ferro della Val di Comino” e realizzato per l’Università di Roma 1 (xiv), ha riportato alla luce una realtà industriale dimenticata di miniere e complessi siderurgici.
Declino dell’industria del Regno due Sicilie dal 1860. Dieci anni di guerra civile e la immediata, sistematica demolizione dello stato sociale indussero il decadimento del tessuto industriale e produttivo. L’aggressione sistematica della moneta e dell’intera economia fece crollare l’enorme industria dei commerci sia verso la sponda sud del mediterraneo che verso il nord Europa; l’intera flotta commerciale venne praticamente azzerata.
All’impoverimento sistematico delle regioni del sud coincise l’arricchimento delle regioni del nord favorito dalla politica nazionale che destinava e destina attualmente ingenti risorse, «la gestazione dell’industria padana durò novant’anni e costò il completo azzeramento del Sud» scriveva Nicola Zitara nel libro La storia proibita. A sancire definitivamente lo stato delle cose dopo la distruzione del Regno due Sicilie sono tre studi di Maria Rosa Protasi, ricercatrice con il CISR dell’Università di Roma “La Sapienza”, studiosa di storia sociale, autrice di tre saggi.
Il primo La vita materiale delle classi lavoratrici italiane dall’Unità alla prima Guerra Mondiale, Roma, 2000. Il secondo Operai e contadini della Valle del Liri. Condizioni di vita, famiglia e lavoro (1860-1915), Sora, 2002. Il terzo sulla tratta dei minori I fanciulli nell’emigrazione italiana. Una storia minore (1861-1920), Cosmo Iannone Editore, 2010.
Questi tre testi sulla storia sociale post unitaria in Terra di Lavoro, narrano di un territorio progressivamente impoverito nelle industrie e nello sviluppo, oggi depresso e privo di attività economiche di qualche rilievo, galleggiante nel mare della sopravvivenza con le briciole dei fondi locali stanziati dalle politiche del governo centrale o dai fondi europei gestiti entrambi in modo clientelare.
Privative
Tornando al Regno delle Due Sicilie, la prosopopea della propaganda lombrosiana e massonica postunitaria, di un sud arretrato, atavico, primitivo, crolla miseramente nel mare delle falsità con la scoperta delle privative e l’incoraggiamento all’industria da parte del governo borbonico.
«Le privative, dette altrimenti privilegi o patenti, appartengono, come specie, a quel genere di operazioni, che sogliono praticarsi dai Governi per migliorar l’industria delle nazioni, le quali diconsi incoraggiamenti all’industria.» (xv)
L’inventiva era orientata ad una stupefacente attualità ed è evidente che, prima dell’unità, la tendenza era a vivere bene proiettati verso la modernità; è questa la piacevole curiosità che emerge dalla ricerca e dagli studi. Di pari passo erano avanzati i progressi dell’intelletto, con la cultura giuridica di Gaetano Filangieri, filosofica di G.B. Vico, con la scuola medica di Salerno, la scuola musicale napoletana Jammelli e gli altri, insomma un mondo di qualità intellettuali sommerse, quasi cancellate ma non perse. Di seguito sono riportati alcuni esplicativi esempi del tenore di vita nel Regno prima della “disunità”.
La lavatrice
I primi modelli motorizzati risultano proprio nel Regno delle Due Sicilie, a Napoli, fin dal 1851 «in uso presso il Real Albergo de’ Poveri su modello di Luigi Armingaud ed in grado di lavare fino a 1.000 camicie e .2000 lenzuola». A testimoniarlo è la Disamina eseguita dal Reale Istituto d’Incoraggiamento de’ saggi esposti nella solenne mostra industriale del 30 maggio 1853 (Napoli, 1855, pp. 171-172). (xvi)
Conclusione.
Oggi si continua a nascondere, occultare, mentire. Sono ancora in tanti a nord i lombrosiani d’Italia che vivono nella deformazione mentale del colonizzatore, ma la verità sta mettendo a nudo la atavica ignoranza che favoleggia su un nord ricco e un sud povero, arretrato. Prima dell’unità era l’esatto contrario ed è piacevolmente sorprendente pensare ai cittadini del Regno delle Due Sicilie come industriosi, pieni di inventiva e alla presenza di industriali ed investitori stranieri. Che gli operai manifatturieri nelle fabbriche della seta, del lino, del cotone, ecc…, non vivessero come in Inghilterra in locali insalubri chiamati slums, ma in caseggiati. I cittadini di Napoli per spostarsi rapidamente prendevano l’omnibus e volendo potevano avere una lavatrice o gustare un gelato durante il passeggio ammirando dame in eleganti vesti di seta, lino, cotone colorati, spesso impreziositi da ricami, tipici nei tanti paesi delle province del Regno al centro del Mediterraneo.
Di Loreto Giovannone
17.06.2023
Loreto Giovannone. Studioso di storia alla ricerca dell’identità culturale e geografica delle origini. Studioso dei documenti amministrativi e ufficiali dell’Unità d’Italia conservati negli Archivi di Stato. Scopritore della prima deportazione di Stato di civili del Sud Italia nei lager del centro nord. La prima deportazione in Europa attuata dallo Stato italiano dal 1863, circa settanta anni prima del nazismo. Scrittore, articolista di argomenti storici con la predilezione della multidisciplinarietà di scuola francese. Convinto assertore che la Storia è la politica del passato.
NOTE
i Roberto Di Ferdinando, La spedizione piemontese in Crimea (1855-56), in Rivista Italiana Difesa, n. 12, Chiavari, Giornalistica Riviera Soc. Coop., dicembre 2005, p. 82-97.
ii Due testi possono aiutare il lettore ad avere una idea concreta e non la solita opinione contorta e deviata di testi che parlano di 70 prestiti di Rothschild alla corte borbonica senza indicare alcun documento e senza indicare l’ammontare. Dei seguenti testi se ne consiglia vivamente la lettura prima di esprimere opinioni distorte quindi inutili.
Della condizione finanziaria del Regno di Napoli.
Della storia delle finanze del Regno di Napoli. Ludovico Bianchini.
iii https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2024636
iv https://www.swissinfo.ch/ita/imprenditori-svizzeri-alla-conquista-del-sud/31567282
v In Studi Cassinati, anno 2008, n. 1 di Ferdinando Corradini:
vi Vittorio Gnocchini, L’Italia dei Liberi muratori, Roma-Milano, 2005, p. 190
vii https://www.positanonews.it/2017/06/la-scomoda-verita-sul-fallimento-del-banco-di-napoli/3192144/
viii Lamberto Radogna, “Storia della Marina Mercantile delle Due Sicilie“, Mursia.
ix http://www.morronedelsannio.com/sud/seconda.htm#metal
x http://www.morronedelsannio.com/sud/seconda.htm#chimic
xi Il centenario delle ferrovie italiane 1839-1939 (Pubblicazione celebrativa delle FF.SS.), Roma 1940, pp.106,137 e 139
xii https://it.wikipedia.org/wiki/Miniere_di_Pazzano
xiii https://www.calabresi.net/2006/12/28/giacimenti-minerari-e-miniere-abbondonate-in-calabria/9628/
xiv https://iris.uniroma1.it/bitstream/11573/1440912/1/Cipriani_Le%20miniere_2020.pdf
xv Delle privative trattato di Giammaria Puoti. Napoli 1831
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Titolo originale: Il Sud prima dell’Unità. La Ricchezza, l’industria, la vita nel regno delle due Sicilie.
Fonte: https://www.sovranitapopolare.org/2023/06/17/sud-non-era-povero/
fonte
L’articolo del titolo forse data la lunghezza e l’estensione deriva da una pubblicazione che sarebbe molto utile avere in copia… se così fosse datecene notizia per favore per poterne acquistare copie …da leggere e regalare ad amici e non solo… caterina