Il Risorgimento secondo i protagonisti, i simpatizzanti e i sostenitori
In queste pagine – un vero e proprio mosaico – il mio contributo è molto relativo, riducendosi, alla fine, solo ad un’opera di collegamento delle varie tessere (cioè le affermazioni fatte esclusivamente dagli attori principali del cosiddetto Risorgimento, dai comprimari e dai loro amici, e relative ai vari episodi trattati di volta in volta). Una sola deroga mi sono concessa: l’annotazione di alcuni resoconti riportati dalla rivista “Civiltà Cattolica”.
La decisione è stata presa in quanto c’era una perfetta coincidenza tra questi resoconti e le testimonianze degli stessi vincitori e dei loro sostenitori. e ciò deponeva sia ad avvalorare l’obiettività della fonte sia a dimostrare che le affermazioni fatte dai protagonisti rivelavano crudamente le vere intenzioni , i sentimenti e l’indole sanguinaria delle orde che, come belve fameliche, si erano avventate proditoriamente contro popolazioni che non avevano alcun motivo di prevedere quanto invece sarebbe accaduto. Queste azioni, queste intenzioni, questi sentimenti, che costituiscono la vera anima del cosiddetto Risorgimento, sono state e continuano ad essere gelosamente taciute dagli storici di regime per non offuscarne l’aura mitica di cui l’hanno circonfuso.
La spinta ad intraprendere questa nuova incursione nel periodo più discusso di questa storia non condivisa è stata motivata dal desiderio di riconoscere ad insorgenti, identitari e revisionisti il legittimo diritto di vedere affermato una volta per sempre cosa sono stati realmente il cosiddetto Risorgimento e le squallide figure tramandate “ per ombia saecula saeculorum “ come eroi, grandi statisti e padri della patria. La discussione non poteva iniziare che da una critica alla casta dei “custodi della memoria” che continua a diffondere e a difendere una falsa narrazione dei fatti che portarono alla forzata, violenta e manipolata annessione, di un regno che, da stato indipendente, da oltre sette secoli, senza aver fornito occasione di alcuna “questione” sulle sue condizioni sociali, senza sentirsi né al nord né al sud di altri stati, divenne improvvisamente terra di studi antropologici, una regione della nuova entità politica, poi “Meridione” della parte che l’aveva annessa ed infine sua “colonia” e mercato di consumo interno. Questa parte della penisola conduceva una vita a sua misura, con abitudini e usanze frutto di secolari sedimentazioni: aveva le sue leggi di mercato, la sua economia, la sua agricoltura, e – tralasciando – per ovvi motivi – l’analisi del De Sivo e prestando fede alle affermazioni del Nitti (notoriamente non filo borbonico) o del Saint Jorioz (ufficiale sabaudo) – doveva stare relativamente bene se non aveva sentito il bisogno di assalire altre nazioni per cambiare le proprie sorti e se – come si evincerà dai brani degli stessi invasori riportati più appresso – non aveva bisogno di aiuti esterni, non conosceva il fenomeno della disoccupazione né quello dell’ emigrazione. Anche la delinquenza – fenomeno presentato come peculiare di questa sola parte della penisola – non aveva assunto le proporzioni che raggiunse invece all’inizio e durante l’invasione.
Ad un certo momento qualcuno – arbitrariamente – si arrogò il diritto di interferire nella vita di queste popolazioni e decise che il loro modo di vivere andava cambiato, proponendo – ovviamente – come modello il suo. La falsità di alcuni, l’ingenuità di altri, una propaganda “scientifica”, il ricorso alla corruzione a tutti i livelli decisero per la vittoria degli invasori … E così la storia venne narrata secondo le direttive di questi ultimi.
Si cominciò a raccontare che un giorno il popolo napolitano, stanco di subire le angherie del regime tirannico dei Borbone, raccogliendo le ultime forze che gli consentiva lo stato di indigenza in cui era stato ridotto, lanciò un grido così forte nella speranza che esso potesse essere raccolto da un animo particolarmente sensibile. La dea Fortuna, quella volta, guardava proprio dalla parte dei napolitani e così non le fu difficile esaudire la loro richiesta, facendo giungere quello straziante grido di dolore alle orecchie del buon re Vittorio Emanuele II, orecchie non meno sensibili del suo animo. E così, in meno che non si dica, il bellicoso re di quel regno in stato di guerra perenne, mise su un esercito di ben centoventimila uomini, affiancati da quasi altrettanti della guardia nazionale. I generali, sfornati dalle accademie militari, non gli mancavano, anche se poi erano capaci di mostrare il loro valore solo contro popolazioni inermi per subire vergognosi smacchi appena una improvvisata banda di contadini e di pastori, appena armata di qualche schioppo e senza alcuna preparazione militare tenesse loro testa. In una cosa questi generali mostrarono di essere insuperabili: ferocia, barbarie e sete di sangue, come se queste fossero le uniche materie insegnate nelle accademie militari subalpine. Di strategia neanche a parlarne, e ne sono prova le varie e continue sconfitte subite sia per terra che per mare.
Ma il grido di dolore dei napolitani era di tale intensità da non ammettere indugi, ed esso fu ritenuto motivo sufficiente per costituire il cosiddetto casus belli, pur se da un punto di vista squisitamente unilaterale, e nonostante il fatto che, mentre si preparavano ad invadere militarmente il regno duosiciliano sia Vittorio Emanuele sia Cavour sia l’altro doppiogiochista Napoleone III rassicuravano l’ingenuo Francesco II di non temere alcunché e pubblicamente condannavano la spedizione dei Mille, incoraggiandola e sostenendola, invece, segretamente sia con la fornitura di armi che di cospicue somme di danaro.
Giunti nelle terre da affrancare gli altezzosi militari piemontesi si meravigliavano che, anziché correre loro incontro, le genti dei paesi attraversati o si chiudevano in casa o si davano alla fuga. C’erano addirittura delle persone più temerarie che, armatesi alla meno peggio, cercavano di contrastare la loro avanzata.
Ma come? Questi ingratiprima chiedevano aiuto e poi si opponevano anche armati a quanti si erano scomodati per venirli a liberare?
Ora, è veramente strano che la superbia dei soldati piemontesi, che si ritenevano più civili delle popolazioni che, a loro dire, andavano a liberare, li abbia fatti meravigliare dell’accoglienza loro riservata da queste popolazioni; non dico la truppa (forse allo stesso livello dei popoli invasi, per rozzezza ed ignoranza), ma gli ufficiali, gli ufficiali superiori, per arrivare fino ai generali. Un dubbio almeno avrebbe dovuto assalirli: se rispondeva a verità che la monarchia di cui i regnicoli erano sudditi era una vera e propria tirannide, perché invece di correre a braccia aperte incontro a chi veniva a liberarli costoro si richiudevano in casa, fuggivano o, addirittura, li contrastavano non disdegnando di ricorrere perfino alle armi? Ammettiamo che abbiano pensato che quell’ accoglienza potesse essere circoscritta solo ad un determinato gruppo di persone o ad un determinato paese e non a tutto il regno. Perché mai, poi, non riuscirono a spiegarsi il perché di quella resistenza e di quella ostilità che incontrarono dappertutto e che si protrasse per ben dieci lunghi anni, nonostante la “caccia selvaggia “ che tolse dalla faccia della terra decine di migliaia di persone? Quella resistenza e quell’ostilità erano un chiaro ed inequivocabile messaggio per dimostrare che non era stata lanciata alcuna richiesta di soccorso. Gli assaliti, quindi, avevano tutto il diritto di chiedersi perché l’esercito di uno stato che a tutti gli effetti era da considerare straniero fosse venuto in casa loro, privandoli di ogni forma di libertà, dei loro beni, annientando le loro radici e la loro identità, arrogandosi il diritto di vita e di morte su di essi, visto che venivano trattatialla stessa stregua degli animali selvatici, stando ai veri e propri safari durante i quali ognuno, anche il più basso militare, poteva abbattere “selvaggina” senza preoccuparsi di dover dar conto ad alcuno [visto che ordini in tal senso venivano addirittura da “valorosi” generali, venendo addirittura legalizzati a norma di legge (legge Pica) ], sia smembrando famiglie e interi gruppi sociali con la deportazione ed il domicilio coatto. L’abile propaganda di stato marchiò il dissenso di queste popolazioni – inoppugnabile prova del falso grido di dolore – con l’infamante appellativo di brigantaggio, mentre – come ammetteranno anche “liberali” o simpatizzanti più obiettivi – non era che l’ovvia e naturale risposta ad un’aggressione vera e propria, la cui ovvietà salterebbe agli occhi di tutti qualora si ribaltassero gli scenari e si immaginasse che quanto narrato fosse capitato in casa propria, nel proprio nucleo familiare, nel proprio gruppo sociale.
Tutti questi elementi – in ossequio alle disposizioni impartite da “dove si puote ciò che si vuole” non sono stati e non vengono presi in considerazione dagli storici che hanno trattato la narrazione dei fatti dal 1860 ad oggi, sicché, proprio per evidenziare questa protervia, identitari, insorgenti e revisionisti combattono da anni per il recupero della memoria e per una storia che, alla fine, possa essere la storia di tutto un popolo e non solo di una parte di esso.
Ecco di seguito alcune “tessere” relative ai vari capitoli di cui si compone il mosaico “Risorgimento. Quasi tutte si trovano citate nell’ampio panorama di studi condotti sull’argomento e forse avrei anche potuto evitare di riportarle. Ma, pensando che queste “perle” non siano note a tutti, ho deciso di riproporle, perché, alla fine, questo è il fine primo e ultimo del divulgatore: quello di far raggiungere il proprio messaggio al maggior numero di persone.
BRIGANTI E BRIGANTAGGIO
«Potete chiamarli briganti, ma combattono sotto la loro bandiera nazionale; potete chiamarli briganti, ma i padri di quei briganti hanno riportato due volte i Borbone sul trono di Napoli. … Che cos’è in definitiva il brigantaggio? E’ possibile, come il governo vuol far credere, che 1500 uomini comandati da due o tre vagabondi tengano testa a un esercito regolare di 120.000 regolarii? Perché questi 1500 devono essere semidei, eroi! Ho visto una città di 5000 abitanti completamente distrutta. Da chi? Non dai briganti».(Relazione del deputato Giuseppe Ferrari nella tornata parlamentare del 1862, in P. K. O’Clery,” La rivoluzione italiana. Come fu fatta l’unità della nazione – Ed. Ares Milano 2000, pag.508, in F. Riccard” Brigantaggio postunitario. Una storia tutta da scrivere”, Arte Stampa Editore, 2011, pag.186)
<< Tra le osservazioni fatte sui disordini nel Reame di Napoli, si accenna alla differenza che fanno oggi i rivoluzionari fra polacchi e napoletani, chiamando questi briganti,mentre sono vittime delle più feroci persecuzioni, e quelli insorti. Ma è pur vero che gli uni e gli altri difendono il loro paese,la loro nazionalità, la loro religione al prezzo dei più duri sacrifici>>.( Giudizio del generale francese Gemeau ,in P. K. O’ Clery, op. cit.)
<< … Gli unificatori dell’Italia sono turbati da un fatto che dura pertinacemente contra ogni sforzo posto a cessarlo: la resistenza delle popolazioni nel Regno delle Due Sicilie. Essa si è manifestata in tutte le guise che un popolo può adoperare: ora colla indifferenza passiva, ora colle significazioni di malcontento, ora coll’astensione dai suffra<gi, ora col rifiuto degli officii di governo, ora coll’emigrazione ed ora eziandio coll’impugnare apertamente le armi. Tutte le altre opposizioni sono state domate, perché erano inermi: la opposizione della stampa, abbattendo i torchi e bastonando gli scrittori, ciò che si chiamò esigenza della pubblica opinione; la opposizione del clero, esiliandolo, spogliandolo, incarcerandolo, ciò che si disse affrancamento dalla tirannia clericale, la opposizione degli impiegati, destituendoli e cambiandoli con uomini nuovi, ciò che si appellò nobilitazione dei carichi pubblici; la opposizione dei magistrati, cassandoli di ufficio, ciò che si chiamò purificazione della magistratura; la opposizione dei municipii scambiandoli con impiegati governativi, ciò che s’intitolò emancipazione dei comuni; e così via qualsivoglia resistenza pacifica fu vinta da una nuova oppressione, coverta per lustra da una frase beffardamente ironica. L’opposizione però delle armi non poté essere con pari artificio domata; perché chi le impugnò era risoluto o di vincere o di morire. Bisognò scendere in campo e opporre manifestamente la forza alla forza, le armi alle armi. Questa guerra civile dura ormai da tre anni, tuttoché enormemente dispari sieno le condizioni delle due parti combattenti>>( in Civiltà Cattolica, serie V, vol. VIII, 5 ottobre 1863, riportato da F. Riccardi, op. cit. pag.15)
<< Questo che voi chiamate con nome ingiurioso di Brigantaggio, non è che una vera reazionedell’oppresso contro l’oppressore, della vittima contro il carnefice, del derubato contro il ladro, in una parola del diritto contro l’iniquità>>. (dalla Relazione della commissione d’inchiesta intorno al brigantaggio, in “Civiltà Cattolica”, 7 novembre 1863; riportato da F. Riccardi, op. cit. pag. 55)
<< … L’inchiesta non doveva intralciare minimamente la libertà di azione del potere esecutivo né diminuire le responsabilità in ordine alle misure da adottare per la repressione del brigantaggio. Pertanto la commissione doveva indagare le cause del brigantaggio, studiare le condizioni attuali e proporre i mezzi più acconci per battere quel flagello, astenendosi dal sindacare … e ciò, naturalmente, per non offrire ai nemici dell’unità lo spettacolo di lotte faziose> [F. Molfese, “ La repressione del brigantaggio post-unitario nel Mezzogiorno continentale (1860 – 1870) pag.223, in F. Riccardi, op. cit. pag. 151]
<< … La Commissione fece tutto quello che poteva fare nelle contingenze mescine ed eunuche in cui era posta. Mangiò copiosamente, bevette vini generosi, viaggiò principescamente, fece discorsi e brindisi a dozzine, ebbe applausi, ovazioni, luminarie e teatrali spettacoli e poscia per non avere l’aria di mangiare a tradimento il denaro pubblico e darsi troppo buon tempo a spese dei minchioni contribuenti, sedé in consiglio e chiamò alla sua barra Generali, Prefetti, Colonnelli, Consiglieri, Sindaci, Delegati, Giudici, Soldati, Guardie, Doganieri e Caffoni, e da tutti estrasse a spilluzzico e con intento quel tanto quel tanto che bastasse per fornire alla compilazione d’un forbito ed eloquente discorso, da presentarsi al Parlamento italiano, sul risultato della sua missione e sul benefizio stragrande che ne hanno dovuto risentirne quelle in felicissime Province>>. (Alessandro Bianco di Saint-Jorioz, “Il brigantaggio alla frontiera pontificia dal 1860 al 1863, Daeli e C. Editori, Milano 1864 pag.238, in F. Riccardi, op. cit. pag.152)
CONFRONTO FRA LE CONDIZIONI ECONOMICHE DEL REGNO DI SARDEGNE E DEL REGNO DELLE DUE SICILIE
<< … Il Regno di Napoli era nel 1859 non solo il più reputato in Italia per la sua solidità finanziaria … ma anche quello che, fra i maggiori Stati, si trovava in migliori condizioni. Scarso il debito: le imposte non gravose e bene armonizzate; semplicità grande in tutti i servizi fiscali e nella tesoreria dello Stato … (Diversa la situazione in Piemonte dove) … le imposte avevano raggiunto limti elevatissimi; dove il regime fiscale presentava una serie di sovrapposizioni continue fatte in gran parte senza criterio; con un debito pubblico enorme e a cui pendeva sul capo lo spettro del fallimento … (Il sistema di ordinamento fiscale) napoletano, meno costoso, più armonico, meglio adatto ad un paese agricolo, dal punto di vista economico appariva di gran lunga superiore: invece l’ordinamento sardo, costoso, ingombrante, con imposte e tasse numerosissime pareva il meno adatto ad un nuovo regno in cui bisognava agevolare il sorgere e l’espandersi delle energie nuove. (Ma, visto che) i paesi vincitori tendono a dare le loro leggi e i loro ordinamenti ai paesi vinti, avvenne così, per effetto del nuovo ordinamento, che il Regno delle Due Sicilie si trovò a un tratto, senza che nessuna trasformazione economica fosse in esso avvenuta, anzi perdendo quasi tutto il suo esercito e molte sue istituzioni, a passare dalla categoria dei paesi a imposte lievi nella categoria dei paesi a imposte gravissime >>. (F. S. Nitti – Nord e Sud, pagg.17, 29,30, 31, 32, in F. Riccardi, op. cit. pagg. 32)
<< … Nel Regno delle Due Sicilie la situazione era,nel 1859, in proporzione di 14 franchi a testa. La tassazione più alta era quella del Piemonte, dato che Cavour, fin dal 1855,si era messo a spendere a piene mani per preparare la campagna per l’Unità. Nondimeno, nel 1860, in tutta l’Italia, compreso il Piemonte, le tasse raggiungevano una media di 19 franchi e 83 centesimi a testa, incluse le imposte locali. Nel 1866, sotto il nuovo regime,le tasse erano salite a q8 franchi a testa, il doppio di quanto pagava l’oppresso popolo napoletano prima che Garibaldi e Persano venissero a liberarlo>>. (P. K. O’ Clery, op. cit.pag.572, in F. Riccardi, op. cit. pag 34)
CORRUZIONE
<< … Gli uomini di stato del Piemonte e i partigiani loro hanno corrotto nel Regno di Napoli quanto vi rimaneva di morale. Hanno spogliato il popolo delle sue leggi, del suo pane, del suo onore. Hanno dato l’unità del paese, è vero, ma lo hanno reso misero, cortigiano, vile. Ma terribile ed inumana è stata la reazione di chi voleva far credere di avervi portato la libertà. Pensavano di poter vincere con il terrorismo l’insurrezione, ma con il terrorismo si crebbe l’insurrezione e la guerra civile spinge ad incrudelire e ad abbandonarsi a saccheggi e ad opere di vendetta … I più feroci briganti non furono certo da meno di Pinelli e di Cialdini … Questa è invasione non annessione! Questo è voler sfruttare la nostra terra di conquista. Il governo di Piemonte vuol trattare ple province meridionali come il Cortes e il Pizzarro nel Perù e nel Messico, come gli inglesi nel regno del Bengala>>. (Archivi della Camera dei Deputati, seduta del 20 nov. 1861, atto n. 234, in F.Riccardi, op. cit. pag. 184)
<< … bisognava spregiare e calunniare le intelligenze virtuose ed allontanarle da qualunque ingerenza governativa; occorreva scegliere esuli rinnegati, ambiziosi, inetti, servili e schiavi e concentrare nelle loro mani gli interessi dei due padroni, l’uno vero e l’altro figurato; l’uno maestro compositore e l’altro cieco esecutore; l’uno prepotente e minaccioso, l’altro osservante e fedele.>> (Saint Jorioz op. cit. pag. 376 , in A. Ciano , op. cit. pag. 80)
ATROCITA’ E VIOLENZE
Tornata dell’8 maggio 1863 nel Parlamento inglese (già a due anni dall’invasione). Intervento di lord Mac Guire: << … limitarsi ad impegnare il governo inglese nel nome della comune umanità, perché s’interponga a prevenire la continuazione delle atrocità che si commettono nelle Due Sicilie, delle quali il medesimo governo è in gran parte responsabile, per avere col peso della sua influenza fatta traboccare la bilancia a pro del Piemonte, e a danno del giovane re Francesco II, lasciandolo nelle mani dei traditori … Per me, io non credo nell’unità d’Italia e la ritengo una smodata corbelleria … Voi potete piuttosto sperare di unire le varie nazioni del continente europeo in una sola nazione che unire l’Italia del Sud a quella del Nord, e rendere i napoletani contenti di vivere sotto il giogo di un popolo che disprezzano come barbaro, ed odiano come oppressore. Non vi può essere storia più iniqua di quella dei piemontesi nell’occupazione dell’Italia meridionale … Vittorio Emanuele pretese che unico suo scopo era quello di prevenire ogni possibile rivolta, e sotto questo specioso pretesto, invase i domini del Re di Napoli e se ne impadronì con la forza delle armi, dopo averne minato il trono con una sistematica rete d’infernali perfidie …>>
<< Gli atti del governo sardo nella Sicilia hanno l’impronta della barbarie; e lo stato desolante della Sicilia è tale che i ministri non hanno osato di consigliare al re di visitarla>> (Deputato Mordini, in C. Alianello op. cit. pag. 202)
<< I fatti atroci, le violenze, gli arbitri … sono l’abituale sistema dell’attuale governo in Sicilia e anche nel continente; il governo avrebbe agito più francamente se avesse del tutto abolito lo Statuto .. I siciliani venuti a Torino per informare i ministri sui bisogni del paese furono accolti con molta freddezza; freddezza che non si trovava, si dica a onor del vero, nell’amministrazione napoletana dei Borboni>>. (Deputato Miceli, in C. Alianello, op. cit. pag. 202)
<< La Sicilia sarebbe rimasta pacifica sotto i Borboni, se la rivoluzione non fosse stata portata dalle altre province d’Italia, ossia dal Piemonte>>. (Nino Bixio, in C. Alianello, op. cit. pag. 203)
Fucilare i rivoltosi <<senza le ordinarie forme giudiziarie>>, proposta del generale Pinelli a Cavour. (in A. Ciano – I Savoia e il massacro del Sud Ed. Grandmelò, 1996)
<< … Calcolai che dal punto in cui eravamo, ai boschi prospicienti il lato nord di Spineto, poteva corrervi una distanza di circa sei miglia e giudicai, che, dovendo scendere lentamente atteso il boschivo e dirupato sentiero, avremmo impiegato circa tre ore di cammino, cosicché mossi la colonna alle tre e tre quarti per giungere verso l’imbrunire addosso ai briganti.
Ed infatti il mio piccolo piano d’attacco sarebbe stato coronato da felice successo, se, proprio allora, quando eravamo per passare a guado il piccolo torrente Croce, il quale ci separava dalle macchie di Spineto, un giovane pastore, che pascolava le sue capre nella sommità di una rupe, con degli urli, dei schiamazzi, e coll’agitare delle braccia come un ossesso, non avesse avvertito i briganti della nostra presenza.
A tale imprevedibile inciampo, noi ci internammo a passo di corsa nella selva ove erano i briganti, ma percorse in tal modo poche centinaia di tese, scorgemmo in lontananza i novanta masnadieri, che avvisati dal pastore del nostro arrivo, montarono due per vavallo, cioè uno in groppa e l’altro in sella, e così galoppando se la svignarono prendendo la direzione di Baranello.
Dirigemmo loro qualche colpo di fucile, ma a quell’ora si mantenevano fuori dal tiro, onde feci cessare il fuoco per risparmio di munizioni.
Perduta di vista la brigantesca banda, ordinai alto alla compagnia e per infliggere la meritata punizione allo spione, mandai il tromba Ingaramo ed altri quattro militi alla di due alla volta per arrestarlo, ed a me condurlo Infatti quei cinque soldati, di macchione in macchione gli piombarono tosto addosso, e lo trascinarono suo malgrado a renderci conto del suo operato: quei soldati quando mi condussero il giovane pastore mi raccontarono che appena egli ebbe visto avvicinarsi il tromba, voleva darsi alla fuga, ma accortosi che Ingaramo lo prendeva di mira col suyo fucile, si fermò ad un tratto, affettando indifferenza.
Quel pastorello di appena diciassette anni, era vestito di pelle di agnello, come usano i pastori delle Puglie ed aveva in mano un piffero di legno, con il quale richiamava sé le sue caprette, aveva dei lunghi capelli neri ed un fisionomia chiusa ed arcigna, sicché indicava ferocia superiore alla sua età. [Che psicologo profondo!] … Poiché l’avemmo bene frugato indosso, però senza nessun risultato, gli domandai per quale ragione egli si era preso la briga di avvisare i briganti che noi eravamo loro dappresso;ed egli in modo rozzo così mi rispose “Io non aggio avvisato nisciuno“, ed in così dire mi fece una spallata.
Mi dispiaceva fucilarlo, e ne avrei avuto non solo il diritto [e da dove gli veniva questo diritto di vita e di morte?], ma il dovere, pur nonostante, sperando di poter ritrovare nel di lui operato un qualche attenuante, insistetti ad interrogarlo circa l’interesse che egli poteva aver avuto nell’avvisare i briganti.
Costui con una impudenza tutta propria di quei testardi montanari, mi negò di aver fatto cenni, e di aver dato luogo al minimo schiamazzo.
Non vi era più dubbio, costui era, o una spia, o un brigantello, e forse un affiliato segreto alla stessa banda di Nunzio; questa idea fu condivisa da tutti i miei soldati perloché credetti di non commettere cosa indoverosa nello stramazzarlo al suolo con un colpo della mia sciabola che gli aprì il cranio e lo lasciò ivi più morto che vivo>>. [Chissà se il povero pastorello avrà avuto il tempo, nel suo modo rozzo, di ringraziare il valoroso ufficiale per avergli risparmiato la fucilazione!] (Angiolo De Witt – Storia politico – militare del brigantaggio nelle provincie meridionali d’Italia, in A. Ciano – I Savoia e il massacro del Sud Ed. Grandmelò, 1996 pp. 91-93)
<< Io ho dovuto intraprendere un viaggio per verificare il fatto cogli occhi miei Ma io non potrò mai esprimere i sentimenti che mi agitarono in presenza di quella città incendiata. Mi avanzo, con pochi amici, non vedo alcuno; pochi paesani ci guardano incerti; sopravviene il sindaco … A destra, a sinistra, le mura erano vuote e annerite, si era dato fuoco ai mobili ammucchiati nelle stanze terrene e la fiamma aveva divorato il tetto: dalle finestre vedevasi il cielo Qua e là incontra vasi un mucchio di sassi crollati; poi mi fu vietato di proseguire; gli edifici puntellati minacciavano di cadere ad ogni istante. Ricevetti l’ospitalità in una delle tre case risparmiate per ordine superiore …. Chi può dire i dolori di quella città! E quando volli vedere più addentro lo spettacolo celato dalle afflizioni domestiche, mi trassero dinanzi il signor Rinaldi, e fui atterrito. Pallido era, alto e distinto nella persona, nobile nel volto; ma gli occhi semispenti lo rivelavano colpito da calamità superiore ad ogni umana consolazione. Appena osai mormorare che non così s’intendeva da noi la libertà italiana – Nulla io chiedo – egli disse e noi ammutimmo tutti. Aveva due figli, l’uno avvocato, l’altro negoziante, ed entrambi avevano vagheggiato da lontano la libertà del Piemonte, ed all’udire che approssimavansi i piemontesi, che così chiamasi nel paese la truppa italiana, correvano ad incontrarli. Mentre la truppa procede militarmente, i saccomanni la seguono, la straripano, l’oltrepassano, e i due Rinaldi, sono presei, forzati a riscattarsi, poi, tolto loro il denaro, condannati alla istantanea fucilazione. [Ma i briganti e le belve assetate di sangue non erano solo i popoli delle Due Sicilie?] L’uno di essi cade morto, l’altro vive ancora con nove palle nel corpo; e un capitano gittavasi a ginocchio dinanzi ai fucilatori per implorare pietà; ma il Dio della guerra non ascoltava parole umane e l’infelice morì sotto il decimo colpo tirato dalla baionetta. Rinaldi possedeva due case, e l’una di esse spariva tra le fiamme, e appena gli ufficiali potevano spegnere l’incendio che divorava l’altra casa. Rinaldi possedeva altre ricchezze e gli erano rapite; aveva altro … e qui devo tacermi, come tacevano dinanzi a lui tutti i suoi conterranei.
Quante scene d’orrore! Qui due vecchi periscono in un incendio; là alcuni sono fucilati; gli orecchini sono strappati alle donne; i saccomanni frugano ogni angolo; il generale, l’uffiziale non possono essere dappertutto: si è in mezzo alle fiamme, si sente la voce terribile: Piastre! Piastre! E da lontano si vede l’incendio di Casalduni, come se l’orizzonte dell’esterminazione non dovesse avere limite alcuno.
Mai dimenticherò il 14 agosto, mi diceva un garibaldino di Pontelandolfo. Sul limitare di una delle tre case eccettuate dall’incendio, egli gridava ai villici di accorrere, li nascondeva nelle cantine, e, mentre si affannava per sottrarli alla morte, vacillante, insanguinata, una fanciulla si trascinava a lui, fucilata nella spalla, perché aveva voluto salvare l’onore, e quando si vedeva sicura cadeva per terra e vi rimaneva per sempre …>> (Intervento del deputato lombardo Giuseppe Ferrari al Parlamento di Torino il 2 settembre 1861 sulla distruzione di Pontelandolfo A. Ciano – I Savoia e il massacro del Sud Ed. Grandmelò, 1996, pagg. 192 – 194)
<< … Entrammo nel paese;subito abbiamo cominciato a fucilare preti e uomini, quanti capitava,indi il soldato saccheggiava,e infine abbiamo dato l’incendio al paese … Quale desolazione! Non si poteva stare d’intorno per il gran calore. E quale rumore facevano quei poveri diavoli che per sorte avevano da morire abbrustoliti sotto le rovine delle case. Noi , invece, durante l’ incendio, avevamo di tutto:pollastri, pane, vino e capponi, niente mancava, ma che fare? Non si poteva mangiare per la gran stanchezza della marcia di 13 ore>. (C. Margolfo – Mi toccò in sorte il numero 15. Episodi della vita militare del bersagliere Margolfo Carlo, in F. Riccardi, op. cit. pag.120)
Con la libertà d’azione concessa dalla Legge Pica, venivano <<condannati a morte colla fucilazione individui volontariamente presentatisi, minorenni non catturati in conflitto, individui non punibili per brigantaggio ma soltanto per reati comuni, ai quali, magari, i carabinieri nei loro rapporti avevano addebitato anche il brigantaggio, sottraendoli in tal modo alla magistratura ordinaria. Mogli di briganti erano state condannate ai ferri a vita, come manutengole con complicità di primo grado. Fanciulle inferiori a 12 anni, figlie di briganti, avevano subito condanne di 10 o 15 anni>>. (F. Molfese, op. cit. pagg. 287/288, in F. Riccardi, op. cit, pag. 163)
<< Le fucilazioni furono tante che il generale Della Rocca, comandante in capo in Napoli, ordinò che venissero passati per le armi soltanto i “capi”>>. Di colpo il numero dei “capi” si moltiplicò r Della Rocca continuò ad autorizzare le esecuzioni. Dovette intervenire Fanti in persona ordinando la sospensione delle fucilazioni e l’imprigionamento degli arrestati>>. [F. Molfese, op. cit., in Archivio Storico per le Province Napoletane a cura della Società Napoletana di Storia Patria, volume CI (1983), Napoli 1985, pag.40, riportato da F. Riccardi, op. cit.]]
<< … la storia del brigantaggio non è mai stata scritta (perché i piemontesi) fecero di tutto per nascondere la guerra civile in corso nelle province di Napoli affermando che i soli perturbatori dell’ordine pubblico erano poche bande di predoni. Non va poi dimenticato che era nel loro interesse celare all’Europa, per quanto possibile, i metodi sanguinari con i quali la insurrezione venne soffocata e, infine, domata, in quanto volevano dimostrare di trovarsi a Napoli e nelle province meridionali non per ambizione di conquista ma per volontà popolare. Mai e poi mai avrebbero confessato che il popolo stava esprimendo il proprio scontento verso il nuovo governo con un’insurrezione così estesa e duratura>>. (P. K. O’Clary, op. cit. pag.507, in F. Riccardi, op. cit. pag. 96)
<< … Fin dall’inizio del nuovo anno (1861) pattuglie di soldati governativi battevano le città e i paesi dell’Italia meridionale in cerca di renitenti alla leva, e in certi luoghi, come l’Agro di Latronico e Castel Saraceno in Basilicata, tutti coloro che avevano l’aria di essere dell’età giusta per il servizio militare erano stati arrestati e sbrigativamente fucilati in quanto disertori>>. (Cristopher. Duggan, “ La forza del destino. Storia d’Italia dal 1796 ad oggi “, Edizioni Laterza, Sedit, Bari 2008, pag. 251, in F. Riccardi, op. cit. pag.36)
<< … Oltre al domicilio coatto per i contadini venne spesso disposto dai prefetti perfino il blocco della transumanza. In Capitanata si faceva bloccare il pane per controllare i viveri e impedire l’approvvigionamento ai briganti: si istituirono fogli di via senza i quali nessuno poteva uscire dai paesi; si impose l’abbandono delle masserie. Fu l’inizio della distruzione dell’agricoltura e, con essa, della fonte primaria del sostentamento meridionale>>. [Nell’Archivio di Stato di Napoli, si conserva un manifesto del prefetto di Terra di Lavoro – Giuseppe De Ferrari – su tale divieto. ASN Prefettura, 503/8, 14 maggio 1865. In F. Riccardi, op. cit. pag 94)
<< Si è inaugurato nel mezzogiorno d’Italia un sistema di sangue ed il governo, cominciando da Ricasoli e venendo sino al ministro Rattazzi, ha sempre lasciato esercitare questo sistema>> (Affermazione di Nino Bixio nella seduta parlamentare del 28 aprile 1863 in F.Riccardi, op. cit, pag.184)
<< … Un sistema di sangue è stato stabilito nel Mezzogiorno d’Italia. Ebbene, non è col sangue che i mali esistenti saranno eliminati … E’ evidente che nel Mezzogiorno non si domanda che sangue, ma il Parlamento non può adottare gli stessi sistemi. C’è l’Italia, là, o signori, e se vorrete che l’Italia si compia, bisogna farla con la giustizia e non con l’effusione di sangue>>. (P. K. O’ Clery, op. cit. pag.529, in F.Riccardi, op. cit. pag. 184 ).
<< … Il governo borbonico aveva almeno il gran merito di preservare le nostre vite, merito che l’attuale governo non può vantare. Le gesta alle quali assistiamo possono essere paragonate a quelle di Tamerlano, Gengis Khan e Attila>> (Affermazione del garibaldino Giovanni Nicotera P. K. O’ Clery, op. cit. pag. 302, in F. Riccardi, op. cit. pag.185)
<< … Non potete negare che intere famiglie vengono arrestate senza il minimo pretesto; che vi sono, in quelle province, degli uomini assolti dai giudici e che sono ancora in carcere. Si è introdotta una nuova legge (legge Pica) in base alla quale ogni uomo preso con le armi in pugno viene fucilato. Questa si chiama guerra barbarica, guerra senza quartiere. Se la vostra coscienza non vi dice che state guazzando nel sangue, non so più come esprimermi>>. (Intervento del deputato Ferrari nel dibattito del 29 aprile 1862. In P. K. O’Clary, op. cit. pag.528, riportato da F.Riccardi, op. cit. pag.186)
<< … Le terre pubbliche sono state usurpate, usurpate contro la legge, e noi abbiamo assistito spettatori silenziosi a tanto male. Le imposte sono cresciute e cresciute su chi non può pagarle: e sono pondo insostenibile e crudele. Non una parola di amore ha portato la civiltà nuova a tante sofferenze, non una parola di pace. I contrasti sono ancora stridenti; e così assorbiti come siamo dalle nostre miserie, dalle nostre vanità, dalle nostre preoccupazioni noi chiudiamo gli occhi a tutto e non vediamo. In un’ora difficile, in un’ora di periglio, il male solito ora potrebbe divampare. E allora, voi mi chiederete, perché il brigantaggio non esiste più quando molte cause permangono? Perché noi mandiamo ogni anno fuori di Europa, dal solo Mezzogiorno continentale,un vero esercito di quasi cinquantamila persone e i contadini di Basilicata, delle Calabrie, del Cilento, che non chiedono nulla allo Stato … danno il contingente più largo … In altri tempi sarebbe stato brigante o complice; ora andava a portare la sua forza di lavoro, il suo misticismo doloroso nella terra lontana, a costruire forse con i suoi compagni quella che dovrà essere la nuova Italia>>. ( F. S. Nitti – “Eroi o briganti”, pagg. 67/68, in F. Riccardi, op. cit. pag. 188)
<< … Pattugliando da 6 ore con un forte caldo arrivammo nei campi di Casalduni e qui scorgendo un cafone nella campagna decisi di far riposo sfruttando quel momento. Afferratolo per il collo gli intimai di dirci chi nel suo paese fosse contrario alla nuova Italia. Guardando fisso nel basso non pronunciava alcunché bensì ansimava. Ed allora gli ordinai di urlare viva Vittorio Emanuele. Ma niente. Poi afferrata la pala gli ordinai di scavarsene la fossa e questi quasi a compiacersene si diede a farlo di gran lena. Finito il lavoro il sergente Bertacchi ridendo di cuore lo fece entrare nello sterrato ed il disgraziato eseguì e prese a pregare come se stesse per finire di li a qualche momento la sua esistenza. Poi fu ricoperto con la terra fino al mento e con sassi e massi intorno e sopra la testa. Solo in quel momento, con poca voce ripeteva quanto prima gli era stato comandato. Allora il sergente gli disse di essere libero e di andarsene ma con le sue forze. Fu un gran ridere per tutti ed il cafone starà ancora là ad invocare il nostro amatissimo sovrano ed a cercare di uscire dalla sua tomba >>. ( INV.34/Bracci 30 luglio 1861- Fonte sud indipendente).
Ecco contro chi mostravano il loro valore i prodi soldati piemontesi! Il tenente Cesare Augusto Bracci, comandante l’11 a Compagnia del 36° reggimento fu poi massacrato insieme ai quaranta soldati e ai quattro carabinieri appena giunse a Pontelandolfo. L’uccisione della compagnia scatenò le ire del macellaio Cialdini, che inviò sul posto quattrocento bersaglieri al comando di Pier Eleonoro Negri con l’ordine che di Pontelandolfo e Casalduni non rimanesse pietra su pietra. Di questo episodio ho riportato le testimonianze del De Witt, dal Margolfo e del deputato Giuseppe Ferrari.
Ecco un altro esempio dell’eroismo degli ufficiali sabaudi:
<< … Vi posso assicurare che qualche vendetta la facemmo anche noi, fucilando quanti capitavano, anzi il giorno 23 condotti fuori porta circa 80 arrestati colle armi alla mano il giorno prima,si posero in un fosso e ci si fece fuoco addosso finché bastò per ucciderli tutti … In una chiesa, entrato un ufficiale alcuni soldati che visti due frati che suonavano a stormo li fucilò con le corde in mano. Davanti alla Vicaria uno speziale che rifiutò di far qualche cosa a un ferito, fu fucilato alla sua porta, e lo stesso giorno essendo stato fatto prigioniero un mascalzone che per cinque notti m’aveva tenuto desto pel suo grido “all’erta sentinella”, ed essendo stato tradotto nelle carceri, io voleva fucilarlo, ma, essendo in mano al potere giudiziario, m’accontentai di strappare una carabina di mano ad un guardiano, e, messo l’assassino tra me e il capo guardiano, ci demmo tante calciate di fucile nei fianchi, tanti pugni e tanti e poi tanti schiaffi che fu per forza portato in prigione finché non stava più ritto>> (Lettera di Antonio Cattaneo, ufficiale sabaudo, agli amici, in Pino Aprile – “CARNEFICI”, ed. Pickwick, maggio 2017, pagg. 350/351)
STATO DELLA GIUSTIZIA E DELLE PRIGIONI
Tornata dell’8 maggio 1863 nel Parlamento inglese (sempre dall’ intervento di lord Mac Guire: <<… Intanto qual è il risultato? In luogo di pace, di prosperità, di contento generale che si erano promessi e proclamati come conseguenza certa dell’unità italiana, non si ha altro di effettivo se non la stampa imbavagliata, le prigioni ripiene, le nazionalità schiacciate ed una sognata unione che in realtà è uno scherno, una burla, una impostura … Se si volle prestar fede nel 1851 all’ onorevole Gladstone [sull’orrendo stato delle prigioni napoletane, ndr] divenuto poi cancelliere dello scacchiere, perché oggi non crederemmo noi, e il paese con noi,al nobile lord Lennox che, nella descrizione dello stato presente delle stesse prigioni, ha fatto fremere d’orrore tutti i cuori di quest’assemblea? … La più importante questione e che implica un gran principio, quello dell’ inviolabilità della libertà umana, si agita in questo fatto: cioè che migliaia d’individui sono carcerati senza giudizio, solo perché sospetti al governo, ovvero inconsci in tutto del motivo della loro carcerazione.. Domando poi qual è lo stato eccezionale d’Italia che autorizza tali eccessi? Quando avran fine le violenze contro la stampa, lo spionaggio che penetra dappertutto, le visite domiciliari, gli arresti arbitrari?>>.
<< … Ora, contro simili sistemi, io devo protestare. Non m’importa se fatti così tenebrosi siano avvenuti sotto il dispotismo di un Borbone o sotto lo pseudo – liberalismo di un Vittorio Emanuele! Quella che si chiama Italia unita deve principalmente la sua esistenza alla protezione ed all’aiuto dell’Inghilterra, più che a Garibaldi e alle vittoriose armate francesi. Perciò in nome dell’Inghilterra io devo denunciare tali barbare atrocità e protesto contro il fatto che ciò venga commesso sotto l’egida della libera Inghilterra, la quale, così facendo, prostituisce il proprio nome.>> ( intervento di lord Henry Lennox nella tornata dell’8 maggio 1863,Vincenzo Giannone, “La Garibaldite” Aleliografic, Scafati)
Lo stesso Gladstone ebbe a dire: :<< … Quando dominavano i Borboni dispotici nessun foro al mondo godeva tanta libertà quanto il napolitano … Ora nel famoso e celeberrimo regno d’Italia la parola non può esprimere nulla di indipendente e libero …>> (in V. Giannone, op. cit.)
<<… trovavansi da tanto tempo in prigione, che i loro abiti non erano più portabili … Alcuni di essi erano in tale stato di nudità, che non potevano alzarsi dai propri sedili … Alcuni di essi non avevano letteralmente né pantaloni, né scarpe, né calze, nulla. … Era uno spettacolo compassionevole:il fetore era orribile … Il cibo che veniva loro somministrato, non si sarebbe dato in Inghilterra nemmeno alle bestie. Lanciai un pezzo del loro pane sul pavimento e lo calpestai con i piedi, ma era così duro che non mi riuscì di spezzarlo>>.
<< … Nelle carceri di Sardegna generalmente ho notato difetto d’aria, di luce, di mondizia, tanto circa al locale, che circa alle persone dei detenuti, difetti di nutrimento e della necessaria varietà di cibo … la non sufficienza dei soccorsi igienici … Quasi tutte le carceri di Sardegna da me vedute sono luride, sudice, oscure e puzzolenti. In una sola carcere, e spesso non spaziosa, trovansi talora ristretti da 10 fino a 50 detenuti … tanto sudice che le mura formicolavano di fastidio, dal quale erano talmente afflitti i poveri carcerati, che alcuni ne erano coperti di piaghe … A queste carceri non è addetto né ospedale né chirurgo. Io vidi con orrore un carcerato che, essendo ferito nel petto, giacevasi sul nudo suolo senza soccorso alcuno. … In verità non vorrei che il mio cane fosse sottoposto a simile pena … Ho pur veduto alcuni detenuti anche ignudi … Il difetto dellevesti e della mondizia sono poi fuor di dubbio>>. (Accusa di lord Vernon, che, contrariamente al Gladstone, era stato personalmente nei luoghi descritti, pubblicata sul Risorgimento del 31 marso 1851).
Il deputato Macchi, all’inizio del 1864, quale relatore della Commissione incaricata di esaminare lo schema di legge per riordinare le prigioni del Regno d’Italia, non potette fare a meno di rimarcare che << … Lo stato delle prigioni, massime in alcune province, è tale che fa veramente raccapriccio. E’ un continuo oltraggio alla moralità:è un’onta alla civiltà del secolo>>.
Il Bellazzi, incaricato di redigere un rapporto sulle condizioni carcerarie della nuova Italia, ebbe modo di affermare: << … Questi stabilimenti sono in aperta ribellione contro ogni santa dottrina e disciplina penitenziaria … Sale il rossore alla fronte al pensiero che in Italia, distrutto l’armamentario penale dei barbari tempi si mantiene l’ultima reliquia di quello, il bastone>>. Ma non dimentichiamo che il Bellazzi era comunque un deputato del nuovo regime per cui non poteva chiamare tutte le cose col proprio nome, come invece potette fare nel 1868( a ben otto anni dall’invasione!) Wilford, un giornalista del Times che, nell’articolo inviato al giornale, descrisse tutte le turpitudini e le barbarie che venivano praticate nelle carceri ormai “italiane”. Così i napolitani che non avevano chiesto a nessuna di essere affrancati o di essere liberati da inesistenti catene, si trovarono a dover sperimentare non sulla loro pelle ma nella loro carne (e senza essere colpevoli di alcun reato), camicia di forza, palla al piede, puntale, manette, polsini, ferri corti e cassone. Relativamente ad uno di questi strumenti di liberazione ecco il resoconto tratto dal diario di G. Ferrario, ex garibaldino e poi bersagliere del nuovo esercito trovato a Novara a fine 2015 e pubblicato nel volume “Atterrite queste popolazioni” di Eugenio De Simone): << … In quel paese (Rossano)vi erano carceri grandissime nelle quali rinchiudevano i manutengoli e i conniventi dei briganti. Due o tre volte al mese giungevano colonne di persone state arrestate dalle pattuglie volanti. Nei paesi o nei casolari; eranvi anche donne scapigliate, coi pargoli al petto, preti, frati, ragazzi, vecchi, i quali tutti prima di passare nelle carceri, venivano ricoverati provvisoriamente nei locali vuoti del Quartiere su poca paglia, piantonati da sentinelle, per essere poi interrogati al mattino successivo dal Pretore, dal Maresciallo e dal mio Capitano.
Queste colonne di venti o trenta persone ciascuna, la maggior parte pezzenti e macilenti, facevano compassione a chi aveva un po’ di cuore; li vedevo sofferenti per la fame, per la sete, per la stanchezza di un viaggio a piedi di 40 o 50 chilometri! … Venivano sferzati dai Carabinieri e dai soldati di scorta, se stentavano camminare per i dolori ai piedi, od anche se si fermavano per i bisogni e si insudiciavano per evitare bastonate, tutti questi incriminati, alcuni dei quali innocenti. E le donne specialmente … (una volta in carcere) venivano slegati per conceder loro riposo, ma per compenso si torturavano coi ferri, detti pollici, che i Carabinieri e i Sergenti in specie stringevano fino a far uscire il sangue dalle unghie. Poteva io assistere a tali supplizi senza sentire pietà! Tosto allontanati i carnefici, io allentava loro i ferri colle mie chiavi, e quei disgraziati riconoscenti, piangevano, baciando i lembi della mia tunica, persino gli stivali. Prima dell’alba, li rimetteva al supplizio come erano stati lasciati. Scene poi da vera inquisizione succedevano dopo, allorquando venivano interrogati i rei nelle loro celle, io fungeva da segretario e da test, il Capitano e il Maresciallo dei Carabinieri da giudici; questi volevano sapere il rifugio, il nascondiglio e i nomi dei briganti che essi favorivano, ed alle loro risposte negative erano bastonate sulla testa che ricevevano. Da far grondare sangue>>.
Ed ecco un disegno dei famigerati ceppi di tortura e la loro “descrizione tecnica”
I ceppi di tortura erano costituiti da due particolari anelli di ferro, forniti di bulloni espansivi quattro per ogni anello). Il torturato, con i polsi imprigionati, veniva “appeso” tramite cinghie di cuoio legate agli anelli. Gli anelli erano congiunti da una base con buco filettato, in cui scorreva una lunga vite senza fine e aguzza in punta, che, avanzando fra i polsi serrati, li avrebbe attraversati dal basso verso l’alto ( i palmi delle mani giunte e le falangi, facendosi spazio tra le carni.) [in P, Aprile – Carnefici Ed.Pickwick. pag.311]
Che diverso giudizio sulle “famigerate” carceri borboniche ebbero modo di esprimere due persone che le avevano visitate veramente: la giornalista inglese Jessie White Mario e il prezzolato cronista di Garibaldi e dei Mille, A. Dumas padre. La prima ebbe modo di dire: << … Insomma, reclusi e galeotti, imputati e condannati, stanno tanto bene nelle case di pena e nei bagni di Napoli, da scommettere che, se oggi si vuotassero le carceri e le galere … tutti commetterebbero qualche reato lieve o grave per tornare ai comodi, agli agi e al piacevole lavoro, così bene ricompensato, così gratamente alternato con le passeggiate, coi riposi e con ogni ben d’Iddio …>> ; il garibaldino scrittore francese Alessandro Dumas potette affermare:<< … perché voi non dubitiate della simpatia che ho per voi, vi do la facoltà di domandare, a nome mio, tre cose al Governo dell’ isola:la prima, il permesso di leggere il mio giornale nelle ore di riposo e perciò do ordine che ne siano inviate a Nisida tre copie:una pel Governatore e due per voi. La seconda, che mi si permetta di farvi regalo d’una piccola biblioteca di una cinquantina di volumi, scelti tra i migliori storici, filosofi, pubblicisti, anche poeti, italiani. La terza, che mi si dia il permesso di fondare, finché durerà l’Indipendente, un premio di cinque franchi, da dividere ogni domenica tra i cinque detenuti di Nisida, che si saranno meglio condotti nel corso della settimana>>.[1]
SENSO DELLA “FRATELLANZA” DEGLI INVASORI
<< … unirsi ai napoletani è come andare a letto con un lebbroso>> (Massimo d’Azeglio>>
<< I meridionali non dovranno essere più in grado di intraprendere ! >>. (Bombrini)
I contadini << … sono la più grande canaglia dell’ultimo ceto>>, parole del generale Solaroli aiutante di campo di Vittorio Emanuele II. (F. Molfese – Storia del brigantaggio dolo l’Unità in A. Ciano – I Savoia e il massacro del Sud Ed. Grandmelò, 1996)
Carlo Nievo, fratello di Ippolito e generale dell’esercito sabaudo: << … fin d’ora nel Napoletano non vidi che paesi da far vomito al solo entrarvi … dal Tronto a qui … farei abbruciare vivi tutti gli abitanti[2]… Passando i generali ed anche il Re ne fecero fucilare qualcheduno. Ma ci vuol altro!>> (L’Alfiere – Rivista Tradizionalista, Giugno 2014, pag. 7).
Sempre Carlo Nievo: <<… Sono qui a Sessa da ieri sera né so quando abbandonerò questo orrendo paese … Ho bisogno di fermarmi in una città che ne meriti un poco il nome poiché fin ora sul Napoletano non vidi che paesi da far vomito al solo entrarvi, altro che annessione e voti popolari! Dal Tronto a qui dove sono io farei abbruciare vivi tutti gli abitanti: che razza di briganti!>> (in F. Riccardi op cit pag.195).
<< Altro che Italia! Questa è Affrica: i beduini, a riscontro di questi caffoni, sono fior di virtù civile>> ( Lettera di Luigi Carlo Farini, primo luogotenente di Napoli, inviata il 27.10.1860 a Cavour, citata da Ottavio Rossano in “ Stato, società e brigantaggio nel Risorgimento italiano”, a sua volta in F. Riccardi op. cit.)
<< Abbiamo visitato alcuni paesi della provincia del Molise … che paesi! Si potrebbe chiamare dei veri porcili! Prima che questi paesi giungano allo stato di civiltà in cui siamo noi … abbisognano anni e lunghi anni … Questo insomma è un paese che bisognerebbe distruggere o almeno spopolare (leit motiv) e mandarli in Africa a farsi civili>>(Christopher Duggan, op. cit., pag. 247. Lettera di Nino Bixio inviata alla moglie da San Severo di Puglia nel 1863. Riportato in F. Riccardi op. cit.)
Il deputato Castagnola, nel pubblico parlamento di Torino, rincarava la dose:<< Prima di tornare nel passato, si brucino tutte le città; si bruci la stessa Napoli e si spargano le ceneri al vento!>>. (T. Salzillo “ 1860 – 61 l’assedio di Gaeta” – Ed. Controcorrente, pag. 114, nota 16)
Un’altra bella pagina la ricaviamo del diario del bersagliere Carlo Margolfo : <<… Al mattino del giorno 14 (agosto) riceviamo l’ordine superiore di entrare a Pontelandolfo, fucilare gli abitanti, meno le donne e gli infermi (ma molte donne perirono) ed incendiarlo. Entrammo nel paese, subito abbiamo incominciato a fucilare i preti e gli uomini, quanti capitava; [per tornare al safari autorizzato] indi il soldato saccheggiava, ed infine ne abbiamo dato l’incendio al paese. Non si poteva stare d’intorno per il gran calore, e quale rumore facevano quei poveri diavoli cui la sorte era di morire abbrustoliti o sotto le rovine delle case. Noi invece durante l’incendio avevamo di tutto: pollastri, pane, vino e capponi, niente mancava … Casalduni fu l’obiettivo del maggiore Melegari. I pochi che erano rimasti si chiusero in casa, ed i bersaglieri corsero per vie e vicoli, sfondarono le porte. Chi usciva di casa veniva colpito con le baionette, chi scappava veniva preso a fucilate. Furono tre ore di fuoco, dalle case venivano portate fuori le cose migliori, i bersaglieri ne riempivano gli zaini, il fuoco crepitava>>.(Carlo Margolfo “Mi toccò in sorte il numero 15.”)
<<… il maggiore Rossi ordinò ai suoi sottoposti l’incendio e lo sterminio dell’intero paese. Allora fu fiera rappresaglia di sangue che si posò con tutti i suoi orrori su quella colpevole popolazione. I diversi manipoli di bersaglieri fecero a forza snidare dalle case gli impauriti reazionari del giorno prima, e quando dei mucchi di quei cafoni erano costretti dalle baionette a scendere per la via, ivi giunti, vi trovavano delle mezze squadre di soldati che facevano una scarica a bruciapelo su di loro. Molti mordevano il terreno, altri rimasero incolumi, i feriti rimanevano ivi abbandonati alla ventura, ed i superstiti erano obbligati a prendere ogni specie di strame per incendiare le loro catapecchie. Questa scena di terrore durò un’intera giornata: il castigo fu tremendo …>>. (A. De Witt -Storia politico – militare del brigantaggio nelle province meridionali d’Italia – Girolamo Coppini, Editore Firenze 1884, pagg. 43 e segg.).
<< … negli Stati sardi esiste proprio la tratta dei Napoletani. Si arrestano da Cialdini soldati napoletani in grande quantità, si stipano ne’ bastimenti peggio che non si farebbe degli animali, e poi si mandano in Genova. Trovandomi testè in quella città ho dovuto assistere ad uno di que’ spettacoli che lacerano l’anima. Ho visto giungere bastimenti carichi di quegli infelici, laceri, affamati, piangenti; e sbarcati vennero distesi sulla pubblica strada come cosa da mercato. Alcune centinaia ne furono mandati e chiusi nelle carceri di Fenestrelle; un ottomila di questi antichi soldati Napoletani vennero concentrati nel campo di S. Maurizio>>. (Civiltà Cattolica, serie IV, vol X, 1861, pag. 752, in F. Riccardi, op. cit. pagg. 80/81).<< Per vincere la resistenza dei prigionieri in guerra, già trasportati in Piemonte o in Lombardia, si ebbe ricorso ad un espediente crudele e disumano, che fa fremere. Quei meschinelli, appena coperti di cenci di tela, rifiniti di fame perché tenuti a mezza razione con cattivo pane ed una sozza broda, furono fatti scortare nelle gelide casematte di Fenestrelle e d’altri luoghi posti nei più aspri luoghi delle Alpi. Uomini nati e cresciuti in un clima sì caldo e dolce, come quello delle Due Sicilie, eccoli gittati, peggio che non si fa coi negri schiavi, a spasimar di fame e di stento fra le ghiacciaie. E ciò perché fedeli al loro giuramento militare ed al legittimo Re! Simili infamie gridano vendetta da Dio, e tosto o tardi l’otterranno>>. (Civiltà Cattolica, serie IV, vol. IX, 1861, pag. 367, in F. Riccardi, op. cit. pag. 81)
<< … a Rimini il mal umore dei soldati giunge fino alla disperazione di darsi la morte. Parecchi si sono annegati nel mare volontariamente. Sicché dovettero le autorità porre delle guardie in piccole barchette per impedire simili eccessi>>. (L’Armonia, 3 settembre 1861, n. 206, in F. Riccardi, op. cit. pag. 81)
PLEBISCITI
Massimo D’Azeglio, a conferma di quanto sostenuto anche dal Saint Jorioz, oltre al ribrezzo suscitato in lui dalle nuove genti con cui era venuto a contatto, a proposito della forzata e indesiderata unificazione, così si esprime: << A Napoli noi abbiamo altresì cacciato il Sovrano per stabilire un governo fondato sul consenso universale. Ma ci vogliono, e sembra che ciò non basti per contenere il Regno, sessanta battaglioni, ed è notorio che, briganti o non briganti, nessuno vuole saperne. Mi si dirà: e il suffragio universale? Io non so nulla di suffragio, ma so che al di qua del Tronto non sono necessari battaglioni, e che al di là sono necessari. Dunque vi fu qualche errore … Bisogna sapere dai Napoletani, un’altra volte per tutte,, se ci vogliono sì o no. Capisco che gli Italiani hanno diritto di fare la guerra a coloro che volessero mantenere i tedeschi in Italia; ma gli Italiani, che restando Italiani,non volessero unirsi a noi: credo che non abbiamo il diritto di dare delle archibugiate >> .( Lettera di Massimo d’Azeglio del 2 agosto 1861 al senatore Matteucci Civiltà Cattolica, 4 a serie, anno 1861, vol. XI, Biblioteca Comunale di Gaeta, pag.619 In A. Ciano in I Savoia e il massacro del Sud Ed. Grandmelò 1996, pag. 104).
In merito l’ammiraglio inglese ( alleato del Piemonte) sir George Rodney Mundy annotò:<< … Il 21 ottobre 1860 ogni elettore doveva innanzi tutto mostrare il certificato rilasciatogli dal Sindaco, comprovante il suo diritto a prendere parte alla votazione; poi passando tra due fila (sic) di guardie nazionali, doveva salire alcuni gradini, pervenendo così su una piattaforma dove erano collocate le urne. Quelle poste a destra e a sinistra distavano parecchi piedi da quella centrale e recavano dipinte in grandi caratteri le parole SI e NO. L’elettore doveva quindi camminare verso una di esse, sotto gli sguardi di una dozzina di scrutatori, immergervi il braccio ed estrarvi una scheda. Ciò significava naturalmente votare pubblicamente, nel più chiaro senso della parola … Tuttavia siccome i votanti dovevano consegnare i documenti d’identità,i loro nomi e stati sociali erano ben noti … Un plebiscito a suffragio universale regolato da tali formalità non può essere ritenuto veridica manifestazione dei reali sentimenti di un paese>> ( G. R. Mundy – La fine delle Due Sicilie e la marina britannica. Diario di un ammiraglio. 1859 – 1861 Berisio Napoli 1966).
<< … Appena 19 su 100 votanti sono rappresentati dalle votazioni in Sicilia e Napoli, ad onta di tutti gli artifizi e violenze usate … Il voto è stata la farsa più ridicola che si poteva immaginare e non c’era stata nemmeno la pretesa di limitarlo a quelle persone che erano qualificate.>> (Henry Elliot,ambasciatore inglese. In D. Mac Smith “Cavour contro Garibaldi”).
<< … Questi voti sono una mera formalità dopo un’insurrezione, o una ben riuscita invasione;né implicano in sé l’esercizio indipendente della volontà della nazione, nel cui nome si sono dati.>> (John Russel ministro degli Esteri inglese).
Un altro inglese,il deputato Patrick O’ Clery ebbe a notare:<< … Nel giorno del plebiscito il voto fu influenzato in forma assolutamente tangibile. La Guardia Nazionale con le baionette innestate presidiava le urne. Un uomo che votò “NO” a Montecalvario fu ripagato della sua baldanza con una pugnalata. Tutti i garibaldini, molti dei quali erano del Nord Italia, furono autorizzati a votare con la qualifica di liberatori>> (P. K. O’ Clery,op. cit.)
<< Era ben strano che questo popolo, che l’esercito piemontese era venuto a liberare, non potesse essere costretto ad accettare la libertà se non sulla punta delle baionette e al bagliore degli incendi>>. (P.Keeys O’ Clery, op. cit., in F. Riccardi, op. cit.)
<< … Appare evidente che l’unità fu imposta all’Italia meridionale col terrore e con la distruzione e che i liberatori schiacciarono le vere aspirazioni del popolo con esecuzioni e incarcerazioni di massa, con una guerra sanguinosa … e con l’annientamento di tutte le libertà locali … I cittadini avevano perso la sicurezza della propria incolumità fisica e dei propri beni, ricevendo in cambio il diritto di voto, la coscrizione obbligatoria, le tasse gravose, la guerra civile, le carceri stracolme e le città in rovina. La russificazione della Polonia è il fatto che ricorda più da vicino la fine della libertà del Meridione avvenuta ad opera degli agenti di re Vittorio Emanuele negli anni che seguirono il cosiddetto plebiscito dell’ottobre 1860>>. (P.K. O’Clery, op. cit. pag. 528 in F. Riccardi, op. cit. pag.194)
ALTRE BUGIE SUL REGNO DELLE DUE SICILIE SCONFESSATE DA ALCUNI INVASORI CON UN MAGGIORE SENSO DI OBIETTIVITA’
<< … Io non accuso, racconto. Non scrivo romanze scarne né pel bisogno di scrivere e d’inventare, ma incido ed intaglio dietro una miniera di preziosi ed irrefragabili documenti e dopo lunga esperienza sui luoghi, meditazione e severa disamina sui fatti, sugli uomini e sulle cose. Non vi è giudizio, parola, non fatto o considerazione, apprezziazione o chiosa, di cui io non assuma tutta la proprietà e la responsabilità; come pure protesto altamente che non vi è fatto in questo libro che io non possa provare in modo ch’ogni uomo sganni.>>.
<< Il 1860 trovò questo popolo del 1859 vestito, calzato, industre, con risorse economiche. Il contadino possedeva una moneta. Egli comprava e vendeva animali, corrispondeva esattamente gli affitti, con poco alimentava la famiglia, tutti in propria condizione vivevano contenti del proprio stato materiale. Adesso l’opposto … sconforto dappertutto>> (A. Bianco di Saint – Jorioz, op. cit. in F. Riccardi, op. cit.)
<< … bisognava spregiare e calunniare le intelligenze virtuose ed allontanarle da qualunque ingerenza governativa; occorreva scegliere esuli rinnegati, ambiziosi, inetti, servili e schiavi e concentrare nelle loro mani gli interessi dei due padroni, l’uno vero e l’altro figurato; l’uno maestro compositore e l’altro cieco esecutore; l’uno prepotente e minaccioso, l’altro osservante e fedele.>> (A. Bianco di Saint – Jorioz, op. cit., in A. Ciano “I Savoia e il massacro del Sud “ Ed. Grandmelo pag. 80)
<< Non potendo il Governo mettere mano ai mezzi coercitivi che avrebbe voluto, e proclamare ad alta voce e sperticatamente che intendeva governare collo Stato d’Assedio,senza passare agli occhi degli esteri per Governo violento[3] ed imposto colla bajonetta ai napoletani, a mezzo di disposizioni dubbie, ambigue, elastiche, emanate sottovoce e privatamente, mise la cosa senza il nome, e, diede al militare amplissimi poteri …>> (Alessandro Bianco di Saint Jorio, op. cit., in F. Riccardi, op. cit.)
<< … Il Piemonte si è avvalso di esuli ambiziosi, inetti, servili, incuranti delle sorti del proprio paese e preoccupati soltanto di rendersi graditi, con i loro atti di acquiescente servilismo, a chi, a Torino, decide ora sulle sorti delle province napoletane … negli uffici sono ora soggetti diffamati e ovunque personale eterogeneo e marcio che ha il solo merito di essersi affrettato ad accettare il programma Italia e Vittorio Emanuele ed una sola qualità, quella di saper servire chi detiene il potere>> (Alessandro Bianco di Saint Jorioz, op. cit. in A. Ciano , op. cit.)
Inoltre, dallo studio effettuato dal Nitti (non certamente simpatizzante borbonico), la situazione generale degli Stati preunitari era la seguente: « Ciò che è certo è che il Regno di Napoli era nel 1857 non solo il più reputato d’Italia per la sua solidità finanziaria – e ne fan prova i corsi della rendita – ma anche quello che, fra i maggiori Stati, si trovava in migliori condizioni. Scarso il debito, le imposte non gravose e bene ammortizzate, semplicità grande in tutti i servizi fiscali e della tesoreria dello Stato. Era proprio il contrario del Regno di Sardegna, ove le imposte avevano raggiunto limiti elevatissimi, dove il regime fiscale rappresentava una serie di sovrapposizioni continue fatte senza criterio; con un debito pubblico enorme, su cui pendeva lo spettro del fallimento. Bisogna , a questo punto, riconoscere che, senza l’unificazione dei vari Stati, il Regno di Sardegna per l’abuso delle spese e per la povertà delle sue risorse era necessariamente condannato al fallimento. La depressione finanziaria, anteriore al 1848, aggravata fra il ’49 e il ’59 da una enorme quantità di lavori pubblici improduttivi, avea determinato una situazione da cui non si poteva uscire se non in due modi: o con il fallimento, o confondendo le finanze piemontesi a quelle di altro Stato più grande. »
L’altro braccio violento della politica piemontese, il generale Bixio, nella seduta della Camera dell’8 maggio 1863, fece la seguente dichiarazione:<< Quando noi eravamo in Sicilia – mi rincresce dir cose, che dovrebbero forse rimaner nel silenzio, ma ora possiamo dirlo, perché ci sentiamo forti – avevamo bisogno di polvere e armi. Mentre i marinai inglesi e americani ci somministravano pistole, io ebbi l’incarico di andare più volte dal vice ammiraglio Persano per cose, che erano abbastanza delicate e difficili;giacché sapendosi si sarebbero scoperti gli aiuti che Garibaldi riceveva dal Governo, e questo poteva nuocere all’andamento delle cose …>> (in V. Giannone, op. cit.)
GARIBALDI
Ciliegina sulla torta:qualche apprezzamento di Garibaldi sulla nazione appena creata, tratto dalla lettera che lo stesso inviò ad Adelaide Antinori il 17 luglio 1868 nella quale l’estensore definisce il governo della nuova nazione il “ più immorale dei Governi”, che egli si vergogna di farne parte e che, per coerenza, si dimette; che la lista delle “ nefandezze perpetrate dai servi d’una mascherata tirannide “è molto lunga e che la “disprezzabile genia che disgraziatamente regge l’Italia … seminò l’odio e lo squallore”>>. (dalla lettera di G. Garibaldi ad A. Antinori del 7 luglio 1868)
Ed infatti, quando Garibaldi venne a conoscenza della cosa, confidò al suo medico e amico Enrico Albanese: << La patria non si baratta,né si vende per Dio ! Quando i posteri esamineranno gli atti del governo e del Parlamento italiano durante il risorgimento italiano,vi troveranno cose da cloaca.>>
<< … gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili … non rifarei oggi la via dell’Italia meridionale,temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio.>> (dalla lettera a Adelaide Antinori)
Da una lettera di Vittorio Emanuelle II a Cavour: << … Come avete visto, ho liquidato rapidamente la sgradevolissima faccenda Garibaldi, sebbene – siatene certo – questo personaggio non è affatto così docile né così onesto come lo si dipinge, e come voi stesso ritenete. Il suo talento militare è molto modesto, come prova l’affare di Capua, e il male immenso che è stato commesso qui, ad esempio,l’infame furto di tutto il denaro dell’erario, è da attribuirsi interamente a lui, che s’è circondato di canaglie, ne ha seguito i cattivi consigli e ha piombato questo infelice paese in una situazione spaventosa>>.(Denis Mac Smith – Garibaldi, una grande vita in breve, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1993. Citato in A. Ciano, op. cit.)
Pio IX secondo Garibaldi: << … un metro cubo di letame >> (G. Garibaldi – Scritti politici e militari. Ricordi e pensieri inediti, Voghera, Roma, 1907, a cura di Domenico Campoli, citato da A. Ciano, op. cit.)
<< … Se sorgesse una società del demonio, che combattesse dispotismo e preti, mi arruolerei nelle sue file>>. (G. Garibaldi – Scritti e discorsi politici e militari , vol. III Ed. Cappelli, Bologna, 1937, citato da A. Ciano , op. cit.)
GIUDIZI
<< … Verrà il giorno in cui l’opinione pubblica del mondo incivilito vi chiamerà a render stretto conto della vostra condotta, allora gli spettri delle migliaia di vittime assassinate in Sicilia, negli Abruzzi e nelle Calabrie si alzeranno giganti dai sepolcri e vi compariranno innanzi gridando giustizia … e così della causa italiana ne faceste una propaganda di irreligione e di anarchia, alzando la sacrilega mano contro il Papa, una parola del quale soltanto basta per scompigliare le più grandi monarchie della terra>>. (Pietro Perego – Lettere a Cavour, Ricasoli e Ponza di S. Marzano, in V. Giannone, op. cit.)
«Amanti della Verità qual siamo, non abbiamo altro obiettivo che dissipare la nuvola di pregiudizio e di inganno che ha, fin qui, oscurato la narrazione di quegli eventi agli occhi di molti che ne condannerebbero come noi gli autori, se conoscessero il vero carattere della rivoluzione che ha creato la cosiddetta unità d’Italia. Noi la giudicheremo non dalle invettive dei suoi nemici, ma dalle confessioni degli amici, molti di loro complici ed alleati dell’ arcicospiratore Cavour. Una cosa chiediamo che ci sia riconosciuta: il principio da cui siamo partiti e cioè che la falsità non diventa verità perché asserita da uno statista o da un re, e che il furto non cessa di essere disonesto e disonorevole quando il bottino è un intero Regno». [ Patrick Keyes O’ Clery, op. cit.].
DULCIS IN FUNDO
Dalla lettera di un alto funzionario della East India Company (John Ray Stoppard) alla moglie del 10 Aprile 1743:
< … Cara moglie sto per lasciare questa città [Napoli] che non mi sarà più possibile cancellare dalla mente … Una città di quattrocentomila anime … Dante Alighieri, il sommo poeta delle genti italiche, non avrebbe posto discredito alla sua immaginazione qualora avesse creato [un girone] appositamente per questa capitale europea di primaria importanza, al cui cospetto finiscono per impallidire, per bellezze e per brutture, perfino Parigi e Londra … ma più di tutto credo che a mancarmi saranno le mie serate al Real Teatro San Carlo. Dovessi vedere che magnificenza, non esiste nel mondo conosciuto un teatro di siffatta grandiosità e bellezza>>.( da “Nel Regno di Napoli – Il contrabbando non è peccato, di Angelo Cannavacciuolo, in Segreti d’Autore Ventisei racconti per “Il Mattino” dalle carte dell’Archivio Storico del Banco di Napoli)
Castrese L. Schiano – 14.12.2021
E’ uno scritto cosi’ denso e dettagliato, e mi e’ stato difficile leggendolo reggerne l’emozione… ne interrompevo la lettura per riprendermi dallo sdegno!.. formato fotocopia-ricordo andrebbe portato in ogni assembramento identitario, commemorativo o festoso che sia, da leggersi una volta rientrati, perche’ la propria storia sia conosciuta e divulgata… Ovunque sventolera’ un tricolore al suono della marcetta nazionale, lo vedremo grondante del sangue degli avi di cui nessuno parla e i libri propinati nelle scuole ovviamente ignorano… Non intravvedo, se si nasconde manipolandola la verita’ dei fatti accaduti, come possa esser riformato un assetto che restituisca dignita’ e onore!
Io che sono veneta continuo a sentirmi e orgogliosamente dichiararmi tale…e spengo la radio per il tempo che con il suo inno che e’ la marcetta nazionale intende iniziare a mezzanotte i suoi programmi… non lo sopporto! E’ la pervicace negazione del rispetto della nostra storia, della storia dei popoli che fieri e distinti dall’Alpe alle piramidi hanno prodotto nei due ultimi millenni civilta’, ricchezza e bellezza attingendo alle energie e allo specificita’ che li contraddistiguevano… L’unita’ imposta con la forza li ha piu’ che mortificati direi distrutti!… Non dobbiamo accettarlo!… ora che ne siamo consapevoli dobbiamo risorgere, fieri e liberi! rivendicare orgogliosamente identita’ storica e costruire un futuro nuovo… nel reciproco rispetto andremo a mille!!! caterina ossi