IL RISORGIMENTO ? UN MOVIMENTO ELITARIO ANTICATTOLICO, è la tesi di Federico Bozzini
La controstoria veneta di Bozzini: ripubblicato «L’arciprete e il cavaliere». Cislino, esponente del «dissenso» cristiano, accusa:; l’ammistrazione italiana colpì le fasce più deboli…. Parliamo di Federico Bozzini, una singolare figura di storico non accademico, scomparso nel 1985, di cui la casa editrice Santi Quaranta ha oggi ripubblicato L’arciprete e il cavaliere. Il Veneto nel Risorgimento (233 pp., 13 euro), volume dagli intessanti spunti storico-letterari.
Bozzini nasce a Verona nel 1943, frequenta scuole cattoliche e, muovendosi tra le fila della Cisl, alla fine degli anni Sessanta si avvicina all’area del cosiddetto «dissenso cattolico». Nel 1979 lo troviamo tra i fondatori di «Ombre bianche », rivista dell’operaismo cattolico regionale, autofinanziata da autori e lettori, nel cui primo numero firma l’articolo «Veneto è bello ». Qui si legge: «Se io sono veneto, di origine cattolica e della Cisl risulterei ridicolo se tentassi di entrare in crisi recitando il copione del piemontese laico e della Cgil. Per quel tanto che le definizioni hanno contato nella mia esperienza individuale, è su di loro che devo far opera di riflessione e revisione. E per questo trovo utile prendere in considerazione quella qualifica fastidiosa, che è il mio essere veneto».
Bozzini attacca così violentemente lo stereotipo nazionale del veneto «sottomesso, laborioso, rimbambito di grappa alle otto di mattino e che, chiamato per cognome e nome, risponde sempre “comandi”». È stata la «subcultura » italiana, a suo dire, a plasmare una maschera così ridicola, una subcultura che si diffonde con l’annessione del Veneto al Regno d’Italia grazie ad un fenomenale «apparato repressivo» manovrato dallo stato italiano. Ne L’arciprete e il cavaliere, l’autore intende così tracciare una vera e propria «controstoria » risorgimentale, in cui si possa finalmente far luce sulle controverse dinamiche che hanno fatto da sfondo al trapasso del Veneto dallo stato asburgico a quello italiano.
E lo fa partendo dal piccolo microcosmo di Cerea, borgo della bassa veronese «che ha sempre coltivato l’ambizione di essere considerato non un paesotto di campagna, ma una cittadina», dove si confrontano monsignor Luigi Bennassuti, colto prelato amato dalla massa bracciantile, e il cavalier Giuseppe Morgante, notabile della nuova borghesia paesana. Quando il primo reparto di artiglieria italiano entra a Cerea, l’11 ottobre 1866, l’arciprete se ne va e il cavaliere avanza, metafora di un Risorgimento, secondo Bozzini, movimento elitario di agrari, bottegai, professionisti, fortemente antipopolare, militarista e anticattolico.
La nuova amministrazione, ad esempio, abolisce sin da subito tutti quegli istituti socio-comunitari in precedenza tutelati (come le terre comunali), che avevano lo scopo di svolgere una funzione, diremmo oggi, di ammortizzatori sociali a vantaggio dei più deboli. Pure il plebiscito di adesione al Regno per Bozzini si celebrerà di lì a dieci giorni con procedure antidemocratiche, violente e farsesche. Sono pagine ben scritte e ben documentate che, comunque la si pensi, possono dare un serio contributo al discorso pubblico risorgimentale ed alla storia della politica autonomista regionale.
Alessandro Tortato
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