Il rivoluzionario “moderato”
Aleksandr Fëdorovič Kerenskij fu l’uomo, di cui si servì la rivoluzione bolscevica, per eliminare lo Zar ed imporre la dittatura comunista. Era considerato un “moderato”, a riprova di come nella Storia non vi sia vittoria degli estremisti senza i cedimenti e le complicità dei moderati. Quando non fu più di alcuna utilità, ci si sbarazzò immediatamente di lui.
Tra le date simboliche della storia mondiale, il 1917 occupa, per molte ragioni, un posto di rilievo. Con la Rivoluzione di Ottobre, la tesi di Marx, secondo cui il compito dei filosofi non era quello di conoscere il mondo, ma di trasformarlo, trovò la sua realizzazione in Lenin. Ma con i nomi di Marx, il profeta, e di Lenin, il rivoluzionario, il 1917 ne ha consegnato alla storia un altro: quello di Aleksandr Fëdorovič Kerenskij, l’uomo che, tra il febbraio e l’ottobre del 1917, aprì ai bolscevichi la strada del potere. A cent’anni di distanza la Rivoluzione del febbraio-marzo 1917, che precedette quella di Ottobre e che ebbe in Kerenskij il suo protagonista, non va dimenticata, perché ci insegna come nella storia non c’è vittoria degli estremisti senza i cedimenti e le complicità dei moderati.
In Russia, l’inverno del 1917, il terzo di guerra, era stato eccezionalmente duro. Il freddo aveva raggiunto punte di quaranta gradi sotto zero, bloccando il traffico ferroviario verso la capitale, che dal 1914 aveva mutato il nome di San Pietroburgo, considerato troppo germanico, in quello di Pietrogrado. Le trincee traboccavano di cadaveri e le agitazioni si propagavano nel Paese. Lo Zar Nicola II seguiva gli eventi dal suo quartier generale di Mohilev, sul Dniepr, mentre la famiglia imperiale era riunita nella sontuosa residenza di Tsarkoe Selo, a 27 chilometri da Pietrogrado. Il 23 febbraio fu proclamato lo sciopero generale. Il 26 il reggimento Volynia aprì il fuoco sui dimostranti ammassati sulla Prospettiva Nevski.
Dalla sommossa alla Rivoluzione
Nicola quella sera annotò sul suo diario: «Ci sono stati disordini a Pietrogrado durante questi ultimi giorni e, con mia grande angustia, le truppe vi hanno partecipato». Quando il 27 febbraio, la sede della Duma fu occupata da soldati e da operai armati, le sommosse divennero Rivoluzione. La sera si riunì il primo Soviet di Pietrogrado, mentre anche a Mosca divampava l’insurrezione. Il giorno successivo lo Zar decise di lasciare Mohilev e di raggiungere la capitale, ma il treno imperiale fu bloccato dai rivoltosi e dirottato verso la città di Pskov nella Russia Bianca.
Aleksandr Kerenskij, giovane leader socialista della Duma, appoggiato dagli influenti circoli massonici del Paese, si pose abilmente alla testa del movimento. Il mattino del 2 marzo fu costituito un governo provvisorio, che inviò a Pskov due parlamentari per negoziare con lo Zar. Nicola dichiarò di non riuscire a concepire la posizione di un monarca costituzionale, che regna ma non governa. Egli preferiva l’abdicazione a quello che considerava il tradimento del proprio dovere di sovrano. Decise dunque di rinunziare al trono per sé e per il figlio Alessio, gravemente malato, affidando la successione al fratello Michele, senza immaginare che questi avrebbe abdicato a sua volta, consegnando il potere nelle mani della Repubblica. Quello stesso giorno, infatti, un gruppo di emissari della Duma, tra i quali Kerenskij, convinsero il granduca Michele, che, se avesse accettato il trono, avrebbe regnato soltanto poche ore, sufficienti per scatenare una guerra civile in cui egli sarebbe stato ucciso con tutti i suoi partigiani. |
! L’articolo è stato pubblicato su Radici Cristiane n. 122 nella sezione STORIA.