Il romanzo storico di Antonio Di Fazio visto da Alfredo Saccoccio
E’ nelle librerie il romanzo storico scritto da Antonio Di Fazio, noto storico di Fondi (Latina), autore di molti studi e saggi sulla storia moderna e contemporanea nelle terre del sud pontino e creatore e direttore di “Annali del Lazio meridionale”.
Il romanzo, edito da Aracne (Roma), si intitola “1860. La caduta di Partenope” ed ha, come sottotitolo, “Vita e morte di un garibaldino napoletano”. Vi si racconta – con piacevolezza e levità di narrazione – la storia drammatica di Pasquale, un giovane napoletano appena laureato in Lettere con una tesi su Virgilio. Il giovane, di spiriti liberali, dopo una delusione d’amore, decide di abbracciare gli ideali garibaldini e di arruolarsi con i “Mille”. Però il tanto agognato ritorno a Napoli, con le avanguardie di Giuseppe Garibaldi, il 7 settembre 1860, si rivela difficile e deludente, a causa delle vaste compromissioni e degli abusi politici ed amministrativi realizzati quotidianamente dai governi dittatoriali.
A seguito delle tante esperienze negative, che lo feriscono nel profondo e che lo portano finanche in prigione, il giorno dopo la celebrazione del truffaldino Plebiscito, Pasquale è colpito da grave crisi depressiva, dalla quale cerca salvezza rifugiandosi, nelle ore libere da compiti di ordine pubblico, negli ameni luoghi – Posillipo e la riviera di Chiaia, via Toledo e la chiesa del Gesù Nuovo, etc. – che amava frequentare da adolescente, o nel conforto della modesta sua famiglia. Ha così modo di rivedere e rileggere con “occhi” nuovi il passato e la grande storia locale, dalla sirena Partenope che in quei luoghi venne a morire per la storica, nota sua delusione, fino a Virgilio, che a Napoli, nella villa dell’epicureo Sirone, ritrovò il senso della vita e la vena poetica, dalla rivolta di Masaniello alle rivolte contro l’Inquisizione, fino agli intellettuali del Settecento e le scherzose “cicalate” di Nicola Valletta, e ai “liberali” formatisi alla scuola del filologo Basilio Puoti, etc.. E’ una Napoli nuova e più vera che solo ora, nel fuoco dei grandi rivolgimenti che stanno per travolgere la capitale del Sud, Pasquale riesce a comprendere e compiutamente ad apprezzare. La “scoperta”, però, non lo consola. Caso mai ancor più lo intristisce ed addolora.
Dopo la celebrazione del falso Plebiscito, del 21 ottobre, con la coda della avvilente sua carcerazione, pur se di pochi giorni, l’arrivo dell’esercito piemontese,che provoca dolorose umiliazioni allo stesso Garibaldi, induce lui e l’amico Aldo ad abbandonare Napoli e gli ideali risorgimentali, che non erano più i veri ideali per i quali si erano battuti. E mentre Aldo torna al suo paesello, vicino a Traetto, Pasquale vuole recuperare la sua identità di “napolitano”. Corre quindi a difendere Gaeta già assediata, dove re Francesco II e la sua eroica moglie, Sofia, tentano di salvare il Regno.
Sui bastioni gaetani, martoriati dalla superiore artiglieria piemontese, Pasquale si batte eroicamente fino a quando viene colpito a morte. Era il Carnevale del 1861 e Pasquale combatteva e festeggiava come gli altri eroi di Gaeta, mascherato da Pulcinella. “E a lui – rileva qui lo scrittore – che per troppo tempo si era allontanato dalla sua città e dalla sua gente, che come conquistatore garibaldino aveva violato il grembo dell’ “antica madre”…; e che infine aveva capito che solo lì – combattendo e morendo sugli spalti di Gaeta, dove l’eterna Partenopo affrontava, a viso aperto, il suo ultimo destino – poteva tornare ad essere il degno figlio di un tempo…; a lui questa “mascherata” di carnevale, nel giorno del mondo alla rovescia, parve la “forma” più giusta da assumere ed esibire su quel teatro tragico della vita e della morte che erano allora gli spalti dell’antica fortezza di Gaeta”.
Il romanzo ha avuto una lunga gestazione. L’ispirazione è forte, piena, centrata su una visione della storia, di sicura valenza, corroborata in tanti anni di ricerca e di studio. Se ne ha limpida traccia nella breve quanto dotta premessa che lo stesso autore compone. In essa Di Fazio parla di “riscatto”. Riscatto dello storico, che, nella forma di romanzo, può finalmente liberarsi dalle pastoie della storiografia, che imporrebbe l’assoluta terzietà dello storico, “la rigida sua rinuncia a ogni impulso valutativo e morale”, etc.. In tal modo – avverte sempre l’autore – il romanzo di Pasquale, del garibaldino napoletano che non tollera lo stupro di Partenope, che quotidianamente si consuma nei governi dittatoriali, e che infine si immolerà sui bastioni di Gaeta, “sarà anche la storia del Risorgimento come fu vissuta dalle genti del Sud”.
Tra letteratura e storia, dunque, alla fine si recupera una narrazione del momento decisivo del Risorgimento, che appare ampiamente convincente, sicuramente sganciata dalle opposte visioni che dividono ancora gli storici. Infatti il protagonista esperimenta entrambe le posizioni, liberali-risorgimentali e conservatrici-borboniche, e lo stesso autore, narrando di questa conversione, riesce a dare consistenza e complessità a personaggi come Garibaldi, al quale è restituito, per intero, l’intento “rivoluzionario” e peraltro è molto umanizzato, specie nell’inventato lungo dialogo-confessione che ha con Pasquale, o allo stesso Liborio Romano, che, lungi dalla consueta sua denigrazione come doppiogiochista, troppo superficialmente accolta dalla storiografia “ufficiale” quanto da quella revisionista, ci si mostra invece dotato di un suo progetto politico “nazionale” e di buona personalità.
Alfredo Saccoccio