Alta Terra di Lavoro

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Il saccheggio di Piedimonte d’Alife nel 1799 (VI)

Posted by on Gen 6, 2022

Il saccheggio di Piedimonte d’Alife nel 1799 (VI)

VI. In cui si narra lo sloggio dei francesi da questa città e molti aneddoti occorsi negli otto giorni che qui stiedero

La sera del dì 14 finalmente il primo sergente Giacobé [Jacob], che aveva custodita la cucina e la casa, buon francese cattolico, mi disse: “Pardon, domani partiamo alle cinque”. Venne il capitano [Wolff] e, domandandogliene, me lo negò; dicendoli che me l’aveva detto Giacobé [Jacob], s’indignò, e di nuovo negollo [lo negò].
La notte, sino alle cinque ore [21.30, circa], ci fu in casa un traffico orribile di capitani e soldati.
Albout spezzò [divise] un taglio di londrino [panno fabbricato alla foggia di quelli di Londra] a [con i] miei servienti. E la notte noi per consolazione, nemmeno ci adagiammo.
Giunta l’ora, gli ospiti miei, dopo di essersi provveduti di molto cuoio, ch’essi aveano salvato ad [a favore di] un mercadante [mercante], se ne partirono via.
Credo che portarono segreto lo sloggio, per timor di esser sorpresi dalle masse [di soldati].
Il francese è bravo quando si accorge di viltà nel nemico, ma se lo trova coraggioso, è perduto.
In tempo dell’azione, officiali e soldati s’inginocchiavano davanti a’ nostri, cercando quartiere, ma questi, non intendendone il linguaggio, li ammazzavano.
Essi [i francesi], siccome avevano saccheggiato L’Aquila, Popoli ed Isernia, andavano carichi di oro donnesco; e ne furono spogliati alcuni, che furono trovati carichi di lacci di oro ed altre galanterie, cinte a carne nuda.

Prima di partire, crearono la Municipalità, e fu eletto presidente Don Lorenzo Gambella, per aver salvato la vita ad un officiale, onde la di lui casa nemmeno patì sacco, e vi si rifugiarono parecchie monache [del Convento] di San Salvatore. Essi non salutarono alcuno degli ospiti, e se andiedero [andarono] via, lasciando la misera città in un scompiglio di confusione, che esprimere non si può, di cui furono esenti quei pochi, li quali furono preservati dalla provvidenza di Dio.

Quando giunsero qui li francesi,- siccome sino a che ne partirono li disterrati-, diluviarono le acque e la neve;
così allora cominciò un orribile vento boreale, con polverino di neve, che intirizziva la gente, e continuò per tutti gli otto giorni che stiedero [stettero] qui, cioè sino a tutto il dì 16 gennaio. Quindi è da osservarsi che, benché tutti i paesani scappassero per la montagna o stessero in mezzo alle acque correnti del Torano, o nelle grotte acquose [umide], o [fossero] esposti alle intemperie,- chi per due giorni, chi per uno-, nondimeno niuna [nessuna] persona ne risentì veruno nocumento, ma ciascuno stié [rimase] sano, come che [quantunque] si fosse dubitato di doverne succedere degli attacchi di petto ed altre malattie funeste;

fra l’altro perché soffrirono tali disagi persone non affatto avvezze alli stessi, come sedentanee [sedentarie], monache di clausura, infermicce, ed io stesso, che- essendo soggetto a raffreddori, in età di 56 anni, delicato di complessione-, posso assicurar che piuttosto n’ebbi sanità. Anzi, avendo per circa 15 anni sofferto il mal di vertigine, e tiratura di nervi nella testa [cervicale], per due scapezzoni che mi consegnò un minuto soldato stiedi [stetti] senza veruno incomodo per lo spazio di quattro in cinque mesi, di che risero gli amici quando me ne udirono parlare. Ciascun perciò ha creduto che quel Signor Iddio che ci afflisse, ci preservò.

Aneddoti

(1) Essendo andati 19 saccheggiatori ad invader la casa di Don Gaetano Lombardi, nostro Governatore, trovarono due fiasche piene di polvere, di circa sei rotoli; la sparsero dentro la stessa stanza, standovi radunati a spogliar il Governatore, il quale era cascato su di un baule, dove un nano li tirò una sciabolata in faccia, nel qual atto una fiaccola delle torce cascata sulla polvere le dié [diede] fuoco; al che pigliarono fuoco li di loro fucili, le cartucce, ed un gran vaso di acquavite, che pur si ruppe e sparse;
il Governatore solo restò intatto-, ricoperto solamente dalle macerie del soffitto, che li [gli] caddero su-, ma de’ soldati tre vi rimasero morti, uno per fuggire si precipitò dal balcone, e restò schiacciato a terra, e gli altri, tutti bruciati, cercarono che il Governatore avesse aperto la porta; al che il Governatore aprì la finestra che sporge sulle vigne [dei] de Benedictis, vi si gittò, salvossi [si salvò], e vi trovò la moglie- la quale, da più mesi inferma, per un’altra finestra, appesa ad un lenzuolo si era salvata pria [prima] che fossero saliti li soldati- e poscia, messisi in salvo sulle montagne, la moglie acquistò la sanità, che non aveva potuto ricuperar con infinità di medicamenti.
E li feriti [francesi] andiedero [andarono] a perire al Campo di San Simeone.

(2) Le monache di San Salvatore, più accorte di quelle di San Benedetto, subito che udirono la scaramuccia, pensarono a salvarsi e bucarono il muro che sporge sul Torano; onde tutte sortirono e si ricoverarono a casa di Don Vincenzo d’Amore; ma Donna Aurora d’Agnese fuggì per la Valle di Capotorano, per cui, assieme ad uno scarpaio si arrampicò fin sul monte Muto, portando un paio di stivali che erano di un francese, che li aveva dati ad accomodare a quello scarpaio, dacché [poiché] essa era rimasta scalza; e comechè [quantunque fosse] acciaccosa di salute, ed in mezzo ad un ambiente sì rigido, non le nocque. Rubarono tutti gli argenti del monastero [di San Salvatore], ma non toccarono troppo le biancherie, né vi fecero quel devastamento che soffrirono le monache di San Benedetto, che stavano sotto protezione del Valiante; e di più [i francesi] non toccarono alcuni argenti dedicati al nostro protettore San Marcellino, lì conservati, né quelli che erano dedicati alla Beatissima Vergine della Neve; e [ciò] fu attribuito a un miracolo.

(3) Andiedero [andarono] alla collegiata di S. Maria Maggiore; ed ivi tutto il sacro si presero, appoggiarono la scala alla nicchia di S. Marcellino, dov’era la sua statua di argento massiccio, e ben grande, ma, o non la videro, o miracolosamente non la toccarono.

(4) Dopo il primo giorno, vedendo che a’ Padri Cappuccini non era rimasta cosa [alcuna], [i piedimontesi] li [a loro] portarono pane, vino e carne; e mangiarono insieme.

(5) Nel luogo detto Capo Vallata, andiedero [andarono] a casa Cerbo molti soldati [francesi] il terzo giorno; ivi erano rifugiate molte persone, [le quali] vollero scender per aprirli [aprire a loro, cioè ai soldati]; ma perché nello scendere attruppate fecero un gran rumore, li soldati, temendo forse una sorpresa, fuggirono a calcagna in alto, ne vollero accostarvisi più, benché chiamati.

(6) A Casa Pitò, un francese (osservato da un servitore) discese in cantina dove Don Nicola [Pitò] aveva nascosto in fabbrica [nel muro] qualche argento; ma ché [poiché] non apparivane segno, [il francese] si pose incantato ad osservar [scrutare per filo e per segno] il nascondiglio; e dopo aver molto osservato, come diffidando, se ne andiede [andò] via.
Don Nicola, per fuggire dalla via del giardino, si slogò il malleolo, cascando.

(7) La casa di Don Gennaro Fiorillo fu visitata 29 volte; alla vigesima quinta, mi disse [Fiorillo] che un de’ due francesi che vi salirono, si portò dritto dov’era la scranna [la panca], la toccò col piede, e collo scoppio [schioppo] dié di forza al muro, lo sfondò e si prese l’argento [il denaro], che il Fiorillo un mese prima ci aveva nascosto, solo e colle proprie mani, da niuno osservato;
il poveretto [Fiorillo] venne meno, e l’altro francese, subito tirò un astuccio fuori e, cavandone una lametta da salasso, voleva salassarlo a forza; ma egli resistendo, il francese ridendo se ne partì, essendo [Fiorillo] rimasto con la casa sciupata.

(8) Li francesi mangiavano dalla mattina alla sera, bevevano orribilmente; essi dapprima ponevano dei vasi ripieni di vino attorno al fuoco, vi gittavano [dentro] dello zucchero, e lo bevevano; ma ce ne furono di così sozzi che non avevano ritegno di bevere [bere] dentro gli urinali fetidissimi, di cui volevano complimentar la gente di casa. Volevan la “soupe” [zuppa], ed essi stessi l’apparecchiavano [preparavano] così: lessavano il pollame, o carne [di maiale e/o bue], vi gittavano un tantino di lardo in fettine, un po’ di lauro sminuzzato, cipolla, e quindi zucchero, vino, e pepe; quindi, in quel brodo abbondante, vi gittavano delle minute fette di pane, e così brodosissima portavanla [la portavano] in tavola.
La domandarono in casa [mia, cioè di Mezzala], ma, non sapendo come essi la gradivano, li [a loro] dissi, che non costumandone [non essendo abituati a farla], non sapevamo apparecchiarla.
Se ne ferono [fecero] delle risate, e così si servirono di per sé, e stemmo in pace.

(9) La gente che rimase in città,- e non fuggì su li monti-, quasi tutta, abbandonando la propria, rifugiavasi in casa altrui. Questo spirito di confusione ci occupò in modo da non farci capire che,- o nella nostra o in altrui casa-, pur contro i francesi saressimo [saremmo] rimasti, e [sottoposti] agli stessi insulti; ma pochi furono quei che restarono nel proprio tetto.

(10) Quando fuggì la mia serva, si gittò da una considerabile altezza per arrampicarsi ad una finestra dirimpetto, e a lei sottoposta [sottostante]; nel calare il padron di casa miracolosamente l ‘afferrò a mezza vita, e salvossi [si salvò] dallo schiacciarsi in terra.

(11) Quei che de’ francesi si gittarono ad insultar l’onor delle donne, pochi ve ne furono che assalirono le giovani e belle; del resto assalivano le più schifose vecchiarde, e queste poverette soffrirono più strapazzo. Fu creduto che lo facessero per sicurtà del mal venereo. All’incontro [al contrario] se li si resisteva con grida, minacce e schiamazzi, [i francesi] se ne scappavano via.

(12) Erano paurosi anche per prova che io ne feci. Stando rifugiato con mia moglie e molte altre donne, ed uomini nella più su cennata [menzionata] casetta, venne una visita di cinque francesi; un di essi voleva tirar a forza dal petto di mia moglie una fettuccia [catenina], da cui pendeva una immaginetta di un crocefisso; li [gli] dissi che lo avrei fatto io; al che egli mi accennò un manrovescio, allora fu che io- stizzito e in atto di assalirlo- dissi a lui: “Indietro, costei è la mia donna!”. A questa mossa il francese voltò le spalle e se ne andié [andò] via, senza far ulteriore ricerca. Ed è sicuro che, dove se li mostravan li denti, abbassavano l’orgoglio, ma dove non vi trovavano resistenza, la facevano da rodomonti.

(13) Nel monastero di San Salvatore vi rimase una sola monaca, inferma e vecchia; questa fu ritrovata morta con un fendente in testa3.

(14) La mischia fu attaccata da’ vallatani, e nondimeno patì più devastazione il quartier di Piedimonte, e nella roba e nell’onore.

(15) La sera del dì 10 [gennaio], un religioso carmelitano, il padre Tommaso Duracci se ne andiede [andò] dal generale francese [Lemoine], e svestitosi dell’abito, lo brugiò [bruciò], e vestì l’uniforme; e quindi, unitosi ai saccheggiatori, girò per le case de’ ricchi e fé [fece] la sua parte. Quindi ripartì colli francesi, ma da lì a pochi giorni ritornò da tagliacantoni [gradasso], e pose in costernazione li cittadini. Egli mi disse, che non avessi [io, Mezzala] accettate cariche municipali, perché mi faceva l’amico. Finalmente, dopo la controrivoluzione, ritirossi [si ritirò] nel convento di Tricarico.

(16) Seguì pur li francesi il giovine di Montemurro, qui accasato, Don Francescantonio Ceglia.
Costui diresse l’armata all’assedio di Napoli, onde fu carissimo al general Championnet, e fu fatto capitano e commissario organizzatore di Basilicata e Capitanata; dove, nella terra di Laurenzana, passò pericolo di esser ucciso, benché vi restasse ferito e carcerato.
Contro di lui fu, dopo la controrivoluzione, spedito ordine di afforcarsi [impiccagione], ma lo superò [scampò alla forca], comeché [quantunque] molti innocenti fossero stati afforcati, ed infiniti massacrati, e disonorati dalle masse, come dirò a suo luogo.

(17) Li birboni, colla occasione di questo sacco, concepirono un gusto maledetto pel furto, e tale che, come dirassi [si dirà], dopo la sortita de’ francesi dal Regno, tutta la nazione diventò spartana.

(18) Il ricco mercadante [mercante] Don Gioacchino Bojano, la notte del venerdì, rifugiossi [si rifugiò] in San Domenico, e si vestì da domenicano; ma il [padre Tommaso] Duracci lo riconobbe, e li [gli] cercò l’argento [il denaro], che non so se l’ebbe.

(19) Il vecchio dottore, Don Tommaso Paterno, giacendo infermo, fé [fece] subito aprire [la porta di casa] e consegnò le chiavi; avendoli dato [cioè, ai francesi] cento ducati, non lo malmenarono più.

(20) A casa di Don Marcellino Fatti volle un soldato salir su di una scala a tre pié, che aveva di fianco un tinaccio da vino; si ruppe un grado [un gradino], e cascò il soldato dando col mostaccio [viso] sul taglio del tino; vi lasciò squartato [si ferì] mezzo mostaccio, e se andié [andò] via.

(21) Giacendo in letto il dottor Don Francesco Rossi-Caldarone, ottuagenario, [i francesi] lo misero a terra nudo, e dopo aver rivoltato il letto, lo rimisero nel suo sito, e se ne andiedero [andarono] via.

(22) Stando li francesi ubriachi da mattina a sera, e da sera a mattina, per nulla che [facilmente] dalle donne ricercate venivano respinti e cascavano a terra, come a me il contarono molte di esse.
In questo stato, con poca gente, avriansi [si avrebbero, meglio si sarebbero] potuti tutti distruggere.

(23) La domenica 13 gennaio si ordinò il disarmo, onde si pose in nuova agitazione il popolo rimasto in città; ma seguita la consegna della armi, scelte le migliori per essi [francesi] in casa di’Amore-, dove furono portate-, le peggiori furono in catasta brugiate [bruciate] nella piazza di San Sebastiano-, seu di S. Vennitto [San Benedetto]-, e le mediocri rimasero a casa d’Amore, donde lo scarto fu trasferito a casa Ragucci, dove mi presi una cannuccia [arma a canna] non osservato, col consenso del padron di casa, per servigi prestatili.
Nel giorno poi fu pubblicato il bando del perdono, e l’ordine agli fuggitivi di ritirarsi [rincasare], ma, in fuor delli [al di fuori dei] nascosti che comparvero, nessun assente volle prestarli fede.

(24) Incontrandosi un paesano, dal francese si guardava da’ pié alla testa, e se credeva che portasse cosa, gliela levava con furia, ma è da riflettersi che rado voltavano [muovevano] le mani senza ferir alcuno.

(25) Don Giovanni Battista Giorgio ebbe due officiali in casa, uno che si mostrava l’uomo più onesto del mondo, l’altro che faceva il fastidioso e l’inquieto. Cominciato il sacco, il buono sortì, né più vi tornò, e il tristo, itovi [andatovi] la sera, cercava le donne, le quali già erano scappate a [Monte] Cila; onde stizzito, li [gli] consegnò de’ molti colpi di piatto [col piatto della sciabola], e lo illividì maledettamente.

(26) Stando a cena la sera del 13 un mio serviente, mi avvisò che si faceva violenza ad una di lui parente;
se ne accorsero il capitano [Wolff], ed [il tenente] Albout, il quale si levò da tavola, mi prese per mano e volle andar nella casa dell’assalita, ove inseguì li soldati;
si portò in casa [mia] la ragazza, la ristorò-, perché era venuta in deliquio-, e poi si stava, né si voleva partir da mezzo alle trenta donne che ci erano; onde, dopo più volte averli [avergli] detto ch’era tardi, mi risolsi con furia, dicendoli [dicendogli]: “Albout, a riposo, qui non stiamo in Francia”.
Allora si alzò, e se ne andiede [andò] a letto.

(27) Li francesi si provarono più volte di assalire il Convento di Santa Maria Occorrevole, ma ne furono respinti a sassate, sicché mai vi pervennero.
Ed i novizi-, con tutti li religiosi-, essendosene fuggiti, cioè li religiosi nella Solitudine [di Santa Maria degli Angeli] e li novizi, col maestro, in Cusano, qui non furono accolti e dovettero restarsene in casa di una vecchierella, dove, senza fuoco e digiuni, stiedero [stettero] due giorni, e quindi si ritirarono [tornarono al convento] sempre camminando sulla neve.
Di più mi raccontò il Padre presidente [il capo della piccola comunità dei sei frati] della Solitudine, Frate Teodoro, che, avendo da quei solitari [eremiti] fatto far orazioni e preghiere alla Beatissima Vergine, un solitario [un eremita]- che non volle nominare- ottenne due segni propizi da quella Sacra Immagine:
il primo che posatamente [l’icona mariana] li [gli] girò benignamente lo sguardo più volte;
il secondo fu che cadde dalla rupe soprastante, detta “il Ciglione”, un sasso che, rompendo due soli tegoli della cappella, calò senz’altro danno di fianco alla medesima.
Di più, avendo il Padre guardiano di San Pasquale (amicissimo mio) intonata una litania di preghiere, nel corso [della quale] si sentì un terremoto e poco mancò che desse colla fronte sul grado dell’altare.
Di più, avendo il Padre presidente nascosto il tesoretto di quel luogo, voleva spiccar la corona di’argento gemmata, che sta in testa della Sacra Immagine, ma osservò che la medesima si annerì, e dopo aver tre volte tentato invano di spiccar la corona, s’intimorì esso così fattamente, che avendole detto:
“Madonna mia, difenditi tu, e perdonami!”,
desistette e si prostrò in orazione ed adorazione.
Di più, mi disse il cennato Padre presidente che, in mezzo a quell’orrido Inferno [la Valle dell’Inferno], in più luoghi di quel bosco, furono veduti de’ serpenti; mentre, né lì, né in Piedimonte comparvero altri animali- come cani e gatti- li quali scomparvero per quelli otto giorni che qui stiedero [stettero] li francesi, cosa degna di attenzione perché affatto [completamente] si nascosero ed ammutolirono.

(28) Dal dì 8 gennaio sino al primo giorno di Quaresima non suonarono le campane. Le chiese si frequentavano, chiamandovisi a voce il popolo.

(29) Quando discesi da Santa Maria Occorrevole, all’esterno del cimitero si scoprì un ufficiale francese, ivi infossato; onde [il cadavere] si fé [fece] portar dentro il cimitero per politica.

(30) Mi ricordo che sopra Santa Maria Occorrevole si faceva l’esposizione del Venerabile a porte chiuse; e vi fu un prete che denunziò questo fatto, con orrore di ciascun che lo intese.

a cura di Armando Pepe

fonte

http://www.storiadellacampania.it/il-saccheggio-di-piedimonte-nel-1799#toc6

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