Alta Terra di Lavoro

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Il saccheggio di Piedimonte d’Alife nel 1799 (VIII)

Posted by on Gen 9, 2022

Il saccheggio di Piedimonte d’Alife nel 1799 (VIII)

Si narra la realizzazione della città di Piedimonte seguita a dì 6 giugno 1799

Stando sull’avviso [in allerta] nel monte di Santa Maria Occorrevole scrissi un biglietto al prete Don Domenico Burgo perché si fosse accelerata la mossa [controrivoluzionaria] colle precauzioni già stabilite, cioè di assalir l’armario [il deposito delle le armi in Piedimonte] e di gridar “Viva il Re”; ma [raccomandai di] condursi con tutta la quiete possibile, per non dar troppo accorgimento alla plebe e per non farla cader nelle prede e nel sangue contro li creduti genialisti [simpatizzanti della Rivoluzione], dacché contro i giacobini, se ve n’erano, s’era stabilito [di] arrestarli e consegnarli al magistrato.

Dunque nella mattina del dì 6 giugno, standomene nella mia celletta a dormire, sentii nel dormitorio un gran sussurro verso le ore otto.
Balzai dal letto e, sortendo, vidi gran quantità di gente, fra cui il Padre Ottavio [Maria] Chiarizia, già Presidente del Cantone (scantonato), li fratelli Don Marcellino e Don Nicola Greco, il prete Don Nicola d’Amore e Don Francesco Dobiosi, fuggiti dal [per via] del furor popolare già sollevato e, nell’atrio del Convento, alcune femmine e fra esse mia moglie, che gridavano “Viva il Re”.

E si sentiva giù nella città [di Piedimonte] gran sparo e suon di campane, cui si corrispondeva da Castello e da San Gregorio, con tamburi battenti e bandiere Reali spiegate [bianche e con gigli d’oro].

Il tripudio fu inesprimibile, meno che in quei fuggitivi scappati miracolosamente dall’uccisione, perché questi veramente avevano in qualche maniera scandalizzato il popolo con qualche atto repubblicano, onde avevan ragione di temere.

Discese [a Piedimonte] sul momento il Governatore [Don Gaetano Lombardi] che colla moglie se ne stava con noi sul monte [a Santa Maria Occorrevole].
Ed io non discesi per aspettar la massa di Cusano [Mutri], la quale fu subito avvisata e giunse in Santa Maria Occorrevole in punto che mi ero seduto in tavola col Padre guardiano [Frate Damaso di San Pasquale], il canonico Don Pietro e il sacerdote medico Don Marcellino, i fratelli de Lellis, che meco [con me] vi erano venuti a prendere aria.

Sicché dovei lasciar di mangiare e accorsi a loro [ai controrivoluzionari di Cusano], [i quali] erano in numero di 170; dacché [poiché] gli altri, secondo il concertato, discesero per la via di San Potito [Sannitico] ed entrarono [a Piedimonte] per la Palombara. Io, che stavo poco bene, mandai subito a chiamar l’alfiere dei Cacciatori Don Nicola di Tommaso, mio studente, che tosto salì a cavallo [a Santa Maria Occorrevole].

Intanto li cusanari [quelli di Cusano Mutri] diedero la caccia alli giacobini che si erano lassù [a Santa Maria Occorrevole] ricoverati e, trovatovi Don Francesco Dobiosi, il [lo] lasciarono, mercé due pezze [denominazione generica di monete] di dodici carlini e di una mostra [piccola quantità di una data merce] d’oro, che poscia li [gli] fu fatta restituire; quindi [i cusanari] catturarono il Padre Fra’ Ottavio [Maria] Chiarizia, il nipote Don Carlino, ed un galantuomo di Cantalupo [nel Sannio], credendoli giacobini, bramando li cusanari di volerne far dono al Re [Ferdinando IV di Borbone].

[I cusanari] diedero la caccia anche alli fratelli d’Amore, che pur lasciarono andar via, collo sborso di molto denaro; io poco mancò che fossi entrato in sospetto di loro, perché dissigli [dissi loro] che non sapevo dove si fosse il Chiarizia, perché infatti nol [non lo] vidi più dopo la prima ora dacché [dal momento che] io stiedi [stetti] intrigato per tutto quel tempo a dispor le cose per la di loro [dei cusanari] venuta e pel regolamento.

Dopo quindi aver cagionato essi [i cusanari] un disastro nel Convento, si avviarono [andarono via] col loro Comandante e col di Tommaso. Rimasto lassù [sui monti] risalì [nel convento di Santa Maria Occorrevole] il Governatore [Don Gaetano Lombardi]; ed alle ore due della notte [alle 21, circa] mi venne un corriere spedito dalla Deputazione di Guerra -, sostenuta [di cui facevano parte] Don Giovanni Battista Giorgio, Don Nicola Pitò, Don Francesco di Tommaso, Don Francesco Conti e dal Commissario di Guerra, il medico Don Pasquale de Carolis, cerretano [di Cerreto Sannita]-, con cui mi s’impose di scendere sul momento per l’urgenza degli affari.

Or, siccome la [contro]Rivoluzione fu proclamata dalli cinque fratelli Burgo-, Don Vincenzo, Filippo Giacomo,
Don Placido, Francesco e il canonico Don Michelangiolo-, e dai fratelli Di Franco-, il prete Don Giacomo, Andrea, Gennaro e Vincenzo-, così li primi [i fratelli Burgo] rimasero alla testa della massa numerosa di 800 individui, oltre alle masse dei casali e dei colleghi [i fratelli Di Franco].

Io [da Santa Maria Occorrevole] discesi la mattina per tempo e, giunto al [convento del] Carmine, vi trovai fissato il quartier generale e il Consiglio [la reggenza pro-borbonica].
In mezzo al popolo che mi si affollò attorno, Don Placido Burgo mi si fé [fece] innanzi, gridando: “Amico, aiuto, perché è tempo di consiglio [riflessione]”.

A questo, subito li [gli] domandai se si era provveduto di là dal fiume [oltre il Volturno] di buona corrispondenza, e mi rispose di no. Ebbene, [io risposi] :”Si formi sul momento un distaccamento delli più atti, e si mandi a realizzar [far tornare al Re Borbone] Alvignano e Dragoni, acciò [in modo che] in caso di assalimento [assalto] ci diano l’avviso”.

Detto fatto; e stava per salir a cavallo Don Placido Burgo, alla testa del distaccamento di sessanta uomini coi suoi officiali, quando io, sortendo dalla Deputazione [il Governo civico provvisorio] vidi che di galoppo a cavallo veniva sul ponte un uomo ben armato e con coccarda Regia [un distintivo borbonico]. Io li andiedi [gli andai] incontro, e mi rispose che veniva da Alvignano a nome del popolo, che voleva realizzarsi [coalizzarsi a favore del Re Borbone] in confederazione con noi.

Allora gridai: “Viva il Re! La nostra causa è assicurata”. Il [lo] condussi alla Deputazione, e li fei [feci] dar copia del dispaccio, contenente l’ordine di non offendere [usar violenze contro] li giacobini, incaricandoli [a quelli di Alvignano] di non dar in eccessi, sia nella vita [uccidendo] sia nella proprietà [rubando] o nell’onore de’ giacobini veri, me solo [che] li avesse fatti arrestare.

Egli partì ed io feci subito riunir il popolo armato, e li [gli] feci prestar il giuramento di fedeltà e di combattere per vita contro il nemico; e quindi proposi di mandar esploratori per informarci meglio dell’armata detta del Cardinal Ruffo [dei Duchi di Bagnara e] Baranello, e cercarli [cercargli] soccorso.

Si offrì di andarvi il prete Don Domenico Burgo, il quale partì la mattina del dì 7 [giugno], e ritornò di lì a sei giorni, avendolo trovato [il cardinale Fabrizio Ruffo] in Nola con l’armata [sanfedista], ma non potette ottener soccorso, stando sprovvisto di munizioni, dacché si voleva accostar all’assedio di Napoli; ma [il cardinale Ruffo] il [lo] fornì di ringraziamenti e d’incoraggiamento, ordinandoli [ordinandogli] di dipendere da Don Luigi de Gambs, che stava al blocco [delle forze realiste] tra Capua e Caserta.

Ma il [Don Domenico] Burgo giunto qui, saputasi dal Duca [Lucio Caracciolo] di Roccaromana-, che con altre masse bloccava Capua dal campo di Agnena [oggi frazione di Vitulazio]-, la nostra [contro]rivoluzione e che la nostra massa era numerosa, mandò a cercar quattrocento uomini colle rispettive munizioni di fucileria.

Vi andiede il [Don Domenico] Burgo [a trovare il duca Caracciolo] ed, incantesimato dalle maniere di quel cavaliere, assieme con Don Vincenzo [Burgo] e Filippo Giacomo [Burgo] si presero trenta uomini-, che riceverono la benedizione nel Carmine-, e poi partirono pel campo di Agnena. Giunti in quel campo, [i nostri] sostennero per più giorni vari attacchi, finché, essendo stato sorpreso una mattina il campo nel dì 14 giugno, se ne ritirarono tutti, in fuor del prete [Don Domenico Burgo]-, con circa una cinquantina di uomini, facendo da quartiermastro Don Vincenzo [Burgo]-, che perdette il denaro e la roba.

Ora, nel ritorno di questa massa [verso Piedimonte], la medesima commise la scelleraggine di saccheggiare vari piccoli paesi-, e fra questi Bellona-, ma con una maniera forse più spietata che quella de’ francesi usata con noi; il che denigrò la buona fama de’ Burgo e de’ piedimontesi, e stabilì in questi lo spirito del latrocinio, che tuttavia dura [è in auge] come esercizio di onore e valore, comeché [quantunque] li Burgo abbiano la sfrontatezza di spargere [la voce] di aver sofferte gravissime perdite in queste occasioni e non essere veri li saccheggi.

Il [Duca Caracciolo di] Roccaromana ordinò ai [fratelli] Burgo che, con sessanta uomini fossero andati in Caiazzo a cercar certi giacobini, e li indirizzò a casa Sabetti-, dai caiazzani tenuta per giacobina-, onde vi fu un fatto d’armi, nel quale restò ferito a morte Filippo Giacomo Burgo e, vicendevolmente, si ferono [fecero] de’ prigioni; ma li caiazzani furono qui trattati da cavalieri e Don Domenico Burgo fu con altri sette preso dai calabresi e dai turchi e-, nudo con mitra di carta in testa, come vero giacobino-, fu portato in Caserta, dove [gli arrestati] stierono [stettero] più giorni, e in questa occasione il Burgo perdette le carte di Ruffo e molto danaro.

Ben vero il nostro distaccamento patì, ma li [fratelli] Burgo acquistarono gran danaro e presero gusto a questo metallo. Per cui [i fratelli Burgo] si videro poscia ligati [legati] ai nostri sospetti, con scandalo di tutti i buoni [benpensanti e benestanti], e molti di essi [di quest’ultimi] li [gli, ai fratelli Burgo] corrisposero grosse somme per liberarsi delle occulte di loro violenze e minacce di persone, in mezzo alle quali anch’io dovetti agire per salvare una giovane gentildonna, richiesta dal giovane Filippo Giacomo [Burgo] prima del fatto di Caiazzo.
Poiché questi barbari attentati, e ruberie, cominciarono la notte del 9 giugno colla seguente occasione.

La mattina de’ 9 il Filippo Giacomo [Burgo] disse a Don Filippo Perrone, ottimo realista, :”Io non posso frenar la massa che vuole dar il sacco” [a Piedimonte].
E il Perrone a lui: “E per qual motivo? Che birbantata è questa? Come, una città [Piedimonte] dichiarata per il Re [Ferdinando IV di Borbone] ha da saccheggiarsi-, dopo un sacco così crudele subito da’ francesi-, anche dalla gente del Re? Or questa sì che è bella; se ciò succede, ci sarà una guerra civile. Questo dunque è il fine della [contro]rivoluzione? Oh oh”. E qui finì [il discorso di Perrone].

Ma il giorno [stesso] una donnaccia sparse [la voce] che già venivano li francesi a spianar Piedimonte5.Note1. Nella prima edizione a stampa del manoscritto, apparsa nel 1965, Dante Marrocco- egregio indagatore, severo nella ricerca ed efficace nell’esposizione- in una nota a piè di pagina scrisse: “Circa il numero dei morti la tradizione ne ricorda 14. Nell’Archivio parrocchiale di Santa Maria Maggiore, Reg. Mort. ab anno 1760 ad annum 1801, f. 251, risultano registrati: Carullo Michelangelo (ucciso in piazza); Macolino Vincenzo, (ucciso nella propria bottega).
Nell’Archivio parrocchiale dell’Annunziata, Reg. Mort. ab anno 1747 ad annum 1799, a pagina 30 del fascicolo allegato, si ha: Cavicchia canonico Luigi (ucciso alla finestra di casa); Perillo Domenico (ucciso tramite percosse davanti alla porta dell’Annunziata; Majocco Pasquale (ucciso a sciabolate); Di Marco Clemente (ucciso a pugnalate); Di Fondi Vincenzo (ucciso a fucilate); Conte Vincenzo (ucciso a bastonate); D’Amico Nicola (accoltellato nella sua masseria a Valle Spagnuola e, ancora semivivo, carbonizzato); Rossi Angela, conversa in [nel monastero] di San Benedetto. Ciò non esclude che vi siano state altre vittime. Erano registrati solo quelli che venivano seppelliti”.
Cfr. Vincenzo Mezzala, (a cura di Dante Marrocco), Il saccheggio di Piedimonte nel 1799, Napoli, Arti Grafiche Ariello 1965, p. 37 n 1.2. Il saccheggio di Piedimonte.3. A proposito dell’episodio, Dante Marrocco, in una nota a piè di pagina, riportò: “Il fatto, con qualche variante, era tramandato nell’antica comunità benedettina. La vecchia conversa era mezza paralitica e, richiestole dove erano le monache, avrebbe indicato per quale via erano fuggite. Al che, la soldataglia, irritata e delusa, l’uccise“. Cfr. Vincenzo Mezzala, (a cura di Dante Marrocco), Il saccheggio di Piedimonte nel 1799, Napoli, Arti Grafiche Ariello 1965, p. 54 n. 1.4. Piedimonte rivestì il ruolo di “comune centrale” del cantone del Volturno, nel dipartimento del Vesuvio. Nel 1806 divenne capoluogo di distretto. Cfr. Vincenzo Mezzala (a cura di Dante Marrocco), Il saccheggio di Piedimonte nel 1799, Arti Grafiche Ariello, Napoli 1965, p. 61, n. 2.5. Qui la cronaca si interrompe.

a cura di Armando Pepe

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fonte

http://www.storiadellacampania.it/il-saccheggio-di-piedimonte-nel-1799#toc9

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