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Il Sud contro i «piemontesi»: brigantaggio o resistenza?

Posted by on Giu 28, 2019

Il Sud contro i «piemontesi»: brigantaggio o resistenza?

Ho letto la sua risposta a proposito del Mezzogiorno e non capisco perché lei si ostini a dare ancora valore alla favola risorgimentale. Ritengo estremamente puerile non voler considerare il «brigantaggio» come una lotta di resistenza contro l’invasione piemontese (prima non esisteva brigantaggio) e, soprattutto, non voler considerare che fu proprio questa invasione l’origine della «questione meridionale». Antonio Pagano, Torri di Quartesolo (Vi),


Caro Pagano,

La sua lettera (troppo lunga, purtroppo, per essere pubblicata interamente) contiene altre considerazioni sulla politica meridionale dei governi italiani, ma il tema del brigantaggio merita d’essere considerato separatamente. Lei sostiene che prima dell’«invasione piemontese » esso non esisteva.


Main un vecchio libro di Ernesto Nathan (sindaco di Roma dal 1907 al 1913) ho trovato un passaggio delle memorie d’infanzia di un uomo politico che era stato sindaco di Cortale in Calabria all’epoca dei Borbone.


Dopo avere ricordato che la posta arrivava generalmente ogni due settimane perché i briganti svaligiavano il procaccia «una volta sì e una volta no», l’ex sindaco scrive.

«Se di notte babbo e mamma confabulavano, quasi cospirassero, era segno, ricordo, di vicino viaggio. E a mezzanotte si mandavano a chiamare gli armigeri (la necessaria scorta di fedeli ora scomparsa); caricavano e scaricavano i fucili, si somministrava loro una misurata dose di acquavite, tutto s’allestiva nel silenzio e nelmistero e si partiva, a cavallo s’intende, appena apparivano i primi chiarori dell’alba. Se la meta era Catanzaro, si pigliava la via di Nicastro, poi ad un certo punto si cambiava rotta per depistare possibili assalitori; ed in ordine sparso, mandando avanti gli esploratori, fra tattica e strategia, si mettevano giornate intere per arrivare là dove con un legnetto si giunge in poche ore (…). Chi doveva recarsi a Napoli non partiva senza prima fare testamento; chi aveva oltrepassato il faro di Messina s’acquistava tale fama in paese da convertire la sua saliva in specifico per la guarigione degli eczemi».


Il fenomeno contro cui le truppe italiane dovettero battersi dopo il collasso del Regno delle Due Sicilie fu certamente più complesso: molti briganti, ma anche numerosi sbandati dell’esercito borbonico e persino un certo numero di volontari stranieri, soprattutto francesi e spagnoli, giunti nel Mezzogiorno per difendere la causa del legittimismo contro il sacrilego e «massonico» Regno d’Italia. Il più coraggioso e sfortunato fu un ufficiale spagnolo, José Borjés, che aveva combattuto con i carlisti nella guerra civile spagnola e sbarcò in Calabria per suscitare una grande rivolta popolare contro gli occupanti.


Fu un Che Guevara del XIX secolo e non ebbe migliore fortuna del medico argentino amico di Castro. Il capo dei briganti nella zona era Carmine Crocco, prima detenuto nelle carceri borboniche, poi volontario con Garibaldi e infine capobanda nelle file della «controrivoluzione borbonica ».


Crocco negò a Borjés il suo aiuto e lo costrinse a fuggire con i suoi uomini verso gli Stati del Papa. Ma nei pressi della frontiera lo spagnolo s’imbatté in un distaccamento di bersaglieri. Combatté, fu catturato e, poche ore dopo, passato per le armi con i suoi compagni. A un tenente italiano che lo scortava disse: «Andavo a dire al re Francesco II che non vi hanno chemiserabili e scellerati per difenderlo, che Crocco è un sacripante e Langleis (un legittimista francese, ndr) è un bruto».


La tesi secondo cui i briganti sarebbero stati militanti d’una lotta di liberazione nacque in ambienti antirisorgimentali prevalentemente marxisti. Un grande storico inglese Eric Hobsbawm sostenne in uno dei suoi libri («I banditi», pubblicato da Einaudi nel 1971)) che il banditismo può essere il primo stadio di una rivolta politico- sociale. Le ricordo, caro Pagano, che questa tesi, con minore finezza, fu sostenuta dalle Brigate Rosse e da altri gruppi negli anni in cui cercavano di reclutare nelle carceri i loro seguaci.

Sergio Romano

Fonte: https://www.corriere.it – Lettere al Corriere – risponde Sergio Romano

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