Alta Terra di Lavoro

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Il Sud Italia prima del 1860 visto con gli occhi di un bambino

Posted by on Dic 23, 2021

Il Sud Italia prima del 1860 visto con gli occhi di un bambino

E’ un racconto particolarmente dedicato ad un pubblico maturo, sebbene ambientato nel mondo scolastico meridionale delle scuole scolopiche elementari. Una storia che parla di giovinetti delle scuole primarie dello Stato delle Due Sicilie in un periodo particolarmente importante per la sua Capitale – Napoli – e che va dal 1859 al 1860. Qualcuno potrà anche dire che questo libro è stato scritto in risposta a “Cuore”, di Edmondo De Amicis; certamente sarebbe una risposta un po’ tardiva ma che in effetti non è lontana dalla volontà di chi scrive

Allora è una specie di “verso” a Cuore? Sì, penso di sì. Ma
questo libro, è più vero, anzi verissimo.
Scritto in appunti da Francesco, un grazioso e intelligente
bambino di terza elementare, ed abbandonato come si fa spesso
con i diari personali, esso fu poi ripreso dal padre, un meticoloso
impiegato dell’amministrazione Statale delle Due Sicilie, rivisto
e corretto con grande rispetto dei suoi contenuti e poi dato alla
stampa. La lettura di questo libro vi donerà sensazioni uniche e
vi porterà a profonde riflessioni; ne sarete tutti entusiasti.

OTTOBRE
Il primo giorno di scuola
17, lunedì

Che felicità riprendere la scuola e ritrovarsi con tutti gli amici
per potersi raccontare le esperienze trascorse in vacanza. Io
dovevo iniziare il secondo ciclo di studi, ossia la terza
elementare e pur con la testa ancora al bel mare del Cilento in
provincia di Salerno, tenevo stretta la mano di mia madre che
mi portava al bancone delle iscrizioni sistemato nell’atrio della
mia scuola “Luigi Vanvitelli”.

Napoli era già una grandissima Città e contava oltre
seicentomila abitanti, come spesso mi diceva mio padre quando
voleva farmi capire il significato e l’importanza della mia città
che era seconda solo a Parigi nel continente europeo e terza
contando anche Londra. La piazza davanti alla scuola era
gremita da una folla indescrivibile di genitori che
accompagnavano i loro bambini. Davanti alla scuola erano ben
piazzate due alte guardie urbane che controllavano il regolare
afflusso di bambini e genitori. Le librerie vicine erano stracolme
di gente impegnata negli ultimi acquisti necessari agli studenti.
Proprio sull’ingresso incontrai la mia maestra di prima e
seconda che mi salutò con un sorriso. Sapevo che non l’avrei più
vista in classe poiché il secondo ciclo elementare imponeva il
cambio degli insegnanti. Le sorrisi con affetto anch’io.

Finalmente si entrò nell’atrio dove il vociare era decisamente
insopportabile ma le indicazioni appropriate degli insegnanti
che completavano rapidamente le iscrizioni mi consentirono in
breve di raggiungere la mia classe che stava al primo piano.
Baciai mia madre e corsi sulla scalinata per raggiungere i miei
vecchi o nuovi compagni e insieme a loro entrai nella mia nuova
aula.

Piano piano il vociare si ridusse di intensità e dopo poco il
silenzio regnò in tutta la scuola. Il Direttore, sempre lui ma un
po’ più anziano secondo il mio parere, accompagnò nella nostra
classe il mio nuovo maestro Antonio Riggio spiegandoci che
egli veniva da Cosenza e che felicemente ci avrebbe portati fino
alla fine dell’anno. Alle undici del mattino eravamo cinquanta
studenti perfettamente seduti ai posti che in parte avevamo
litigato tra di noi. I più “lecconi” si erano accaparrati
immediatamente i primi posti vicini alla cattedra avvinghiandosi
sul banco e lasciandosi poi cadere sulla sedia. A me toccò un
terzo banco ma non ebbi interesse in ciò; tanto sapevo che nei
giorni appresso il maestro avrebbe sicuramente cambiato la
disposizione.

Il maestro Riggio era veramente simpatico e subito iniziò a
parlare. Era alto ed aveva un bel paio di baffi ed un pizzetto che
lo rendevano curioso. Ci parlò della Città di Cosenza e degli
incantevoli posti calabresi che aveva abbandonato per poter
studiare ancora a Napoli. Stava frequentando Giurisprudenza ai
corsi serali.

Di colpo giunsero le dodici e trenta e la campana scolastica,
azionata dal capo bidello, ci avvisò che era ora di
uscire…proprio mentre il maestro Riggio ci stava incantando
con le descrizioni dei monti del Pollino e dei maestosi ed
antichissimi pini loricati.

Questo primo giorno di scuola fu bellissimo, solo un paio d’ore
si sapeva già. Ordinatamente si formò la nostra colonna per
l’uscita ed il maestro ci accompagnò, giù per le scale fino al
portone e ci salutò.
Mia madre era già lì fuori con alcune borse della spesa ed io
corsi da lei ad abbracciarla.
Allora Francesco, dimmi come è andata?-
– Bene, risposi io, ho un sacco di amici nuovi e tanti della
seconda che già conoscevo.-
– Ottimo – disse mia madre – Sarà per te un felice anno.

Il mio maestro
18, martedì

Il mio maestro Riggio mi piacque da subito, si vedeva che era
giovane e determinato ma al contempo anche disponibile verso
di noi. Il sorriso sul suo sguardo era poi accattivante e ci faceva
immaginare che ci avrebbe raccontato qualcosa di nuovo e di
eclatante in ogni momento della giornata.

All’inizio della lezione, poco prima, stette sull’uscio della porta
a salutare tutti i suoi allievi dell’anno precedente e notai che li
richiamava tutti con i loro nomi. Doveva avere una memoria di
ferro.

La campana di inizio suonò ed il maestro Riggio, senza
preoccuparsi dei posti a sedere che avevamo liberamente
occupato, prese dalla sua borsa un libricino e lo aprì più o meno
a metà. Ci guardò tutti e ci chiese di aprire il quaderno a righe e
di assicurarci che le nostre penne fossero pronte ed i calamai
colmi di inchiostro.

– Ragazzi, oggi facciamo un dettato – ci disse.
Iniziò a leggere lentamente assicurandosi di aver capito il ritmo
medio di comprensione della classe, ma la sua voce era forte e
ferma e si sentiva senza problemi fino all’ultimo banco.
Il racconto era semplice e parlava della natura, nello specifico
del fiume Lao che nasce nel territorio lucano per poi scendere
(dai monti del Pollino) in quello calabrese presso Laino Borgo e
Laino Castello. Poi dopo circa dieci miglia terrestri, nel
territorio di Papasidero, ad Orsomarso, confluisce con altri fiumi
per sfociare dopo trenta miglia di percorrenza nel Mar Tirreno.

Il dettato era semplice ma bellissimo perché ogni tanto parlava
del fiume, spesso della ricca vegetazione che lo costeggiava e
dei pesci che lo abitavano. Inoltre il racconto si soffermava
anche sul fatto che alcuni barcaioli bravi ed intraprendenti
osavano discenderlo in parte, proteggendo i bordi dello scafo
con imbottiture di pelle e paglia ed usando corti remi per il
governo nelle rapide.

Il maestro passeggiava in classe mentre dettava e noi ci
concentravamo sulla sua voce per non perdere il filo del
racconto.

Finito di dettare si fermò in cattedra, chiuse il libricino e ci
guardò uno a uno.
-Bene ragazzi- disse.
– Avete mai visto in vita vostra il fiume Lao?-
Tutti restammo zitti e stupiti da tale domanda.
-Suppongo di no- proseguì il maestro Riggio.
-Eppure se riflettete per qualche secondo la vostra
risposta sincera sarebbe dovuta essere esattamente quella che è
stata, e cioè il silenzio. Infatti mentre voi scrivevate il dettato,
non potevate esimervi dal vedere con la vostra fantasia ciò che
io vi narravo. Naturalmente salvo i distratti o meglio coloro che
ripetono senza capire.

– Ora rileggete in silenzio ciò che avete scritto e poi
chiudete gli occhi immaginando di essere su una barca nel fiume
Lao e di vedere tutto ciò che io vi ho descritto.
Rimanemmo tutti colpiti da questo esperimento che mai
avevamo fatto in vita nostra, ma tutto fu vero. Il racconto del
dettato era entrato nella nostra immaginazione e si era impresso
come fatto vero e vissuto.
– Durante questo anno scolastico, faremo un paio di dettati
alla settimana, cui seguirà l’esercizio che vi ho appena
narrato. Sarà bellissimo e molto formativo.-
– Seguitemi con attenzione senza mai distrarvi perché
questa porzione di insegnamento la seguiremo in questo
modo affinché alla fine dell’anno abbiate appreso con
dimestichezza i segreti dei racconti e della vostra
immaginazione. Come nella musica, prima si studia la
lettura di essa e la si ripete con lo strumento. Solo dopo
tanto tempo si potrà comporre.-

La campana di fine lezione ci scosse tutti da una specie di
torpore…erano già passate quattro ore e ci sembrava di essere
da pochi minuti entrati in aula!

Fine prima puntata (continua)

Domenico Iannantuoni

fonte

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