Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

“…….IN QUESTO SENSO ANCHE IO TENGO PER UN GRAND’ONORE ESSERE UN BRIGANTE.” (II)

Posted by on Set 3, 2018

“…….IN QUESTO SENSO ANCHE IO TENGO PER UN GRAND’ONORE ESSERE UN BRIGANTE.” (II)

2. Già più volte accadde che i Mazziniani prevalenti a Napoli rendessero servigio al Governo usurpatore col fare pubbliche violenze agli stampatori ed editori de’ giornali cattolici, cui bastasse l’animo di svelare alcuna delle schifosissime piaghe, ond’è straziato quel regno un di si fiorente e felice.

Testé si rinnovava per la terza volta il brutale assassinio a danno della Stella del Sud. Fin dalla Domenica 6 Aprile erano corse notizie sicure del fatto che prepara vasi pel domani, contro varie tipografie, le quali ricorsero al Governo per averne difesa e si tennero poi chiuse la mattina del Lunedì. Ma il tipografo della Stella del Sud, che pose nella lealtà del Governo troppa fiducia, ebbe l’animo di aprire la sua officina: e sulle 11, antimeridiane questa fu invasa da una quindicina tra camorristi e Guardie nazionali travestite; e tutto in poco d’ora, torchi, caratteri, carta, e quant’altro ivi trovavasi, fu rovesciato, rotto, messo in brani e in frantumi.

Quando l’impresa fu compiuta, comparvero una quindicina di guardie di pubblica sicurezza, che cortesemente fecero ala al passaggio dei devastatori che si ritiravano. Questa è la libertà e la felicità recata dalla rivoluzione a Napoli, decantata nel Parlamento inglese dai Palmerston, dai Gladstone, dai Layard con uno stile ed una facondia, che certamente deriva dallo spirito della menzogna in essi incarnato.

3. Il mercato di apostati, aperto in Torino come dicemmo nel precedente quaderno, mandò suoi commessi principalmente nel Regno e nell’isola di Sicilia. Quivi si posero sfacciatamente in opera le arti della seduzione e le larghe promesse; e con ciò si riusci a razzolare dal lezzo della scostumatezza e dell’ignoranza un certo numero di disgraziati, che volonterosi mettessero il loro nome sotto il modulo della famosa petizione compilata nel conciliabolo Giudaico.

Ma eran pochi al bisogno. Si ricorse allora alla violenza. Si hanno qui in Roma i documenti che provano come a Messina, per esempio, parecchi infelici sacerdoti si ascrissero a quel vituperoso gregge, perché posti fra le due, o di firmare il loro nome o di aspettarsi la morte minacciata loro col pugnale appuntato alla gola o col revolver inarcato alle tempia. E siccome i miseri pur cercavano di ritrarsi da tal precipizio, in cui erano caduti per la paura, fu pubblicato un bando, firmato da un Alessandro De Cesare, con cui si taccia di congiura l’adoperarsi a far rinsavire i traviati, o il ritrattare quella scismatica adesione, e in nome delle società democratiche si minacciano guai a coloro che osassero tormentare le coscienze del buon clero, ossia degli apostati.

Del resto ecco quel che scrissero da Catania all’Armonia di Torino.

«Abbiamo qui un certo gabinetto, i cui soci usano di frequentar le chiese, col solo intento di spiare se gli oratori sacri proferiscano qualche motto in favore del Papa. Un prete che osò definire la libertà nel suo genuino significato, fu minacciato di morte.

Ma questo è niente In casa del Prefetto si fece una illegale petizione in nome del Clero per pregare Pio IX a ceder Roma. La petizione fu portata all’egregio Monsignor Vicario Capitolare Gaetano Asmondi, perché la firmasse; ma questi coraggiosamente vi si rifiutò, nulla curando gli oltraggi che avria quindi dovuto soffrire. Allora la petizione fu portata al suindicato gabinetto, e i soci postisi in sentinella guardavano se prete alcuno passasse, e vedutolo l’invitavano ad entrare, entrato lo attorniavano, obbligandolo alla firma della petizione; e non appena il prete diceva: non posso, non devo, non voglio, che subito lo buttavan fuori ingiuriandolo col solito epiteto di birro borbonico, e simili.

Aggiunga a tutto ciò che avendo il Vicario Capitolare negata la missione di predicatore quaresimalista ad un certo prete che avea gridato: abbasso il Papa Re! ed avea predicato in pubblica piazza contro il potere temporale; il Prefetto ebbe la temerità di usurparsi l’autorità spirituale, accordando la missione oratoria all’infelice sacerdote, il quale in effetto andò a predicare la quaresima in un paese della provincia, dove l’Ordinario ne avea già spedito un altro da lui approvato.»

E, pur dalla Sicilia, scrissero alla Vera Buona Nocella, intorno a codeste sottoscrizioni strappate a forza:

«È necessario avvertire che alcuni pochi del Clero regolare e secolare firmarono, perché ingannati dalle ciarle e bugie de’ sedicenti liberali, i quali diedero ad intendere che una tale cessione era vantaggiosa alla Religione; altri furono costretti ad apporre la loro firma da una brutale violenza, dopo aver subito minacce della vita, di privazione di beni e di disdoro delle famiglie. Ma il Clero siciliano (pochi eccettuati) fu sempre ed è sommesso all’obbedienza del Vicario di Gesù Cristo, e non solamente vuole Pio IX Papa e Re, ma, se fosse possibile, lo vorrebbe più che Re. Li preghiamo a render pubblica la presente dichiarazione».

4. Né cotali violenze tiranniche si fanno solo colà, e solo a danno di preti. Il Regno tutto è pure in preda alla crudeltà rivoluzionaria, e ce ne fa testimonianza, che non può essere sospetta, il famoso Ricciardi, deputato al Parlamento di Torino, che scrisse al Rattazzi una lettera, pubblicata nel diario la Nuova Europa, dove leggesi quanto segue.

«Le dirò, innanzi tratto, le cose esser venute a tale in quella parte d’Italia, che i più non hanno gran fede nella durata del nuovo governo, il quale, non temerò di affermarlo è oggetto quivi di generale disamore.

V’aggiungo, la giustizia e la legge essere nomi vani, la magistratura non facendo il proprio dovere che imperfettissimamente, e la vita dei cittadini essendo, nei luoghi tutti infestati dal brigantaggio, in balia dell’autorità militare, i cui soprusi son tali da far rabbrividire. Migliaia di persone, da un anno a questa parte, furono passate per le armi, senza giudizio di sorta alcuna, e per comando di un semplice capitano o luogotenente; sicché non pochi innocenti miseramente perirono!

Orribili esempii potrei citarle a tale proposito ricordando le date, i nomi ed i luoghi. Bisogna por modo, a ogni patto, ad un tale stato di cose: e ristorare l’impero della legge, la quale porge armi bastanti al governo per reprimere il brigantaggio»

Queste parole d’un Mazziniano dichiarato bastano a marchiare di sempiterna infamia la svergognata e disumana politica di uomini di stato come il Layard, il Gladstone, lo Slaney ed il Palmerston, che pur testé osavano in pien Parlamento inglese vantare la libertà e la felicità del nuovo Regno d’Italia, e negare le atrocità degli usurpatori, e calunniare iniquamente la reazione degli oppressi, e chiamare la Santa Sede in colpa di supposte crudeltà imputate ai legittimisti che ne sono vittime, e far voti per lo sterminio del brigantaggio.

5. Che cos’è codesto brigantaggio? E la reazione ognora più poderosa e formidabile de’ popoli contro il giogo mazziniano, imposto loro dal tradimento dei compri settarii che cingevano il trono di Francesco II, e ne capitanavano l’esercito, e ne governavano la Capitale e le province dello Stato, quando il Cavour sospinse contro lui il Garibaldi, a cui que’ perfidi vendettero ogni cosa a vilissimo mercato; è la reazione contro quell’ignominioso giogo ricalcalo poscia loro in collo dalle armi piemontesi

Per quanto i giornali del Nuovo Regno si studiino di persuadere, che tutto si riduce a scarse bande di ladri e di malandrini, prezzolate di fuori e condotte da stranieri; il fatto è che il Governo stesso di Torino dimostra con argomenti efficacissimi, come quella sia reazione politica, vasta, indomabile. Altrimenti perché armare contro di essa la Guardia mobile, la milizia cittadina, le masnade di carnefici ungheresi, le forze di 40 mila soldati? Perché le artiglierie e le navi da guerra da guardare i passi?
Perché stancar di suppliche e di lamenti il Padrone parigino, affinché si adoperi a porvi un termine col cacciare d’esilio in esilio la vittima di tante perfidie, di tante violenze e di innumerevoli tradimenti?

La cosa è chiara. La rimembranza di Francesco II basta, lo confessano essi stessi, a tener viva in que’ popoli la speranza di riavere in lui il mite e paterno Principe; onde sentono più importabile la tirannesca prepotenza della rivoluzione, e cercano disperatamente di spezzare le loro catene. Di qui si vede perché i diarii quotidiani di Napoli rechino ogni giorno le notizie di zuffe e scontri e combattimenti accaniti, e fucilazioni, e crudeltà, e rappresaglie fra le due parti, che si straziano per guerra civile.

Ci sarebbe impossibile lo sceverare fra tanta copia di relazioni il vero e il falso, o conoscendolo riferire distesamente ogni cosa. Ci basti pertanto di mettere in nota, che anche in province rimote assai dagli Stati della Chiesa, donde per altra parte la vigilanza delle truppe francesi impedisce ogni soccorso agli insorti, formicolano le schiere di intrepidi realisti, che travagliano senza posa con attacchi sanguinosi le truppe piemontesi e i loro partigiani. Il Diritto di Torino, araldo Mazziniano, dice, nel n. 102, che: «le province sono ridotte a concentrarsi nelle grandi città. Foggia, per esempio, è un gran campo trincerato, dove sono vacche, pecore, cavalli ecc. non potendosi tenere più nelle campagne.

Da Bari non si esce oltre dieci miglia, senza correre il rischio di essere svaligiati. E Bari e Foggia sono i capiluoghi di due province, dove il brigantaggio non potrebbe, non dovrebbe esistere, senza il positivo e largo concorso di retrivi». Aspettiamo che i nemici di Francesco II e della Santa Sede ci facciano sapere che i briganti della Capitanata e della Basilicata si spediscono colà da Roma, per via telegrafica od in palloni volanti, con tutte l’armi ed i cavalli.

Chi poi volesse sapere come siano governati gl’infelici, che cadono in mano alla sbirraglia rivoluzionaria e sono chiusi, anche per puri sospetti, in carcere, legga le seguenti parole dello stesso Diritto, cui scrivono da Catanzaro:

«All’amministrazione della giustizia il Governo dee pensare seriamente. Le prigioni sono piene di detenuti senza letto, senza paglia, senza coperte, tanto che 280 di essi sonosi ammalati di tifo. Molti ne muoiono giornalmente e le autorità non pensano a sollevare la condizione di tanti infelici. Il Municipio si è recato in corpo dal Prefetto per scongiurare i pericoli che minacciano la città ecc.»

E il somigliante fu scritto da più altri luoghi, dove si teme, di peste, per lo stragrande numero di meschini tenuti in quelle sozze bolge a martoriarsi e macerarsi fino a perire di sfinimento. Ecco i frutti della filantropia inglese incarnata nel Gladstone, e nei campioni del non intervento.

6. Dopo la fusione dell’esercito Mazziniano col Piemontese, restava al Governo del sig. Rattazzi un’altra grave faccenda sulle braccia, ed era l’epurazione della Magistratura napolitana. Ognuno intende che con questa parola si vuol significare quel provvedimento, per cui un buon numero d’onesti magistrati si dovea mandare con Dio, al più con un tozzo di pane per mercede di decine d’anni d’onorati servigi, onde riuscire al doppio intento: di sbarazzarsi cioè de’ sospetti, e di far luogo ad insediare comodamente la turma di perfidiosi, i quali altamente rivendicavano la loro quota parte dei trenta denari dovuti ai Liborio Romano d’ogni grado.

Or questo fu eseguito. Più centinaia di Magistrati furono cassi d’uffizio, o traslocati a grande loro disagio e discapito, o abbassati di grado, o messi in riposo con tenue pensione; mentre in loro vece furono o promossi o surrogati i benemeriti alla maniera del Conforti e dello Spaventa.

Da questo avranno imparato i tentennanti, soliti a tenere il piede in due staffe, che non si può servire a due padroni; e per contro i virtuosi e fedeli a’ loro doveri si ricorderanno che il gran libro delle partite di quaggiù si tiene da Dio, giusto rimuneratore del bene e del male.

 segnalato da Gianni Ciunfrini

1 Comment

  1. Formidabile il reportage di Civilta’ Cattolica, quasi fosse una registrazione che all’epoca non esisteva… ma si puo’ anche pensare che vi abbia contribuito a redigerlo o comunque sia prima stato sottoposto a Francesco ll perche’ non si potesse dar adito a fraintendimenti della sua posizione…

    Sarebbe interessante sapere se la pubblicazione aveva una qualche diffusione e presso chi, o era solo redatta come documento interno allo Stato Pontificio.

    Grazie. caterina

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