INDUSTRIE NELLA VALLE DEL LIRI IN ALTA TERRA DI LAVORO
1845 – Matteo de Augustinis – Della Valle del Liri e delle sue industrie
(pubblicato ne “Agli Scienziati d’Italia del VII Congresso, Napoli, Stamperia e cartiere del Fibreno)
A settanta miglia partendo da Napoli, per la strada centrale di Terra di lavoro verso questo estremo degli Abruzzi, dopo le piane di S.Germano e di Aquino, fra queste ed il bacino del paese de’ Marsi, oggi valle di Roveto, spiegasi la valle del Liri, cosi chiamata, dal nome del fiume che la bagna e la percorre: valle senza pari bella, ricca di glorie e d’industrie, valle prodigiosa e florida sopra tutte le altre del bel paese.
E’ il Liri quel fiume che, com’è noto , vien fuori dalle viscere delle alte giogaie degli Appennini, sgorgando a grosse polle nel!e falde del sublime monte che porta il nome Camiciuola, d’onde, passando per le valli di Nerfa e di Roveto, appresso venticinque miglia di cammino, scende nella pingue Campagna di Sora, nella quale con più placidi, tortuosi e brevi giri, si fa specchio delle montagne Mainarde, che pur son liete di dar nascita e qualità a quelle purissime acque del Fibreno. Le quali appena uscite da’ loro spechi, raccolgonsi in chiarissimo laghetto per poi freschissime e limpidissime correr tosto a congiungersi colle sorelle, poco curanti, a dir vero, del proprio nome, e solo liete e impazienti di recar dono e non tributo a quelle con cui vengono a confondersi in perpetuo, per andare in un volume, e nel comun nome di Liri. Ed è questo stesso fiume che procedendo oltre nella Terra di Lavoro, fatto molto grosso da fiumane torrenti e rivoli che riceve a mano a mano, chiamato a sé anche il Rapido, ed altre acque, si converte in Garigliano, che vuol dire melmoso e stagnante, e fattosi, anche per questo , molto largo e primo fra tutti gli altri del regno, e maggior baluardo di esso, più a rilento camminando, giunge finalmente a scaricarsi nel Tirreno poco lungi da Traetto; però non senza essersi anticipatamente per circa venti miglia impaludato, con detrimento gravissimo degli uomini e delle campagne.
Le acque del Fibreno e del Liri sono purissime sopra tutte le altre d’Italia, e le trote ed i carpioni vi sono d’una eccellenza proverbiale da vincer quelli de’ laghi di Garda e di Benaco. La superficie di tutta la valle, che non più del Liri, ma come appresso verrà chiarito, andrebbe meglio detta delle industrie, ha una superficie formata da quattro miglia di lunghezza per due di larghezza. Popolata essendo da circa 36000 abitanti, ripartiti fra varie terre di cui sono le maggiori Sora, Castelluccio, Isola, ed Arpino, il quale è posto propriamente nell’alto piano di essa, si scerne di leggieri com’essa ne contenga 4500 sopra ciascun miglio quadrato.
Il cielo di queste terre è puro e fresco come il Liri ed il Fibreno, e la popolazione che vi stanzia è valida e ben fatta della persona, di vago e ridente aspetto, industriosa ed acconcia ad ogni maniera di lavoro. Le campagne vi sono ridenti ed ubertose, ridentissime e verdeggianti le colline, e d’ogni maniera di alberi gentili di olivi e di viti coverte; i cereali i legumi, e precipuamente il granturco vi sono largamente coltivati, con buoni e copiosi ricolti. Anche il gelso vi fa la sua onorata comparsa.
Le ortaglie di Sora e Castelluccio sono giustamente famigerate, ed al confronto di quelle di Napoli e di Torre dell’Annunziata, non si rimangono inferiori.
Ad indice delle buone pratiche d’agronomia che vi sono in uso, merita che sia qui notato, essere presso que’ naturali in tanta stima ogni maniera d’ingrasso, che fassene mercato, e vi è data in fitto la facoltà di raccogliere le immondizie ed il letame delle pubbliche strade. La qual cosa, come ognun vede, è pruova ad un tempo d’industria e civiltà. Sarà intanto curioso di sentire che le acque del Fibreno sono rare volte adoperate alla irrigazione, e poco o niente agli ortacei, essendosi sperimentate troppo fredde, e dannose più che propizie alla vegetazione delle erbe tenere e dilicate; però la medesima cosa non può dirsi del Liri, le cui acque, come da prima dicevamo, sendo meno fredde, sono più idonee alla irrigazione, ed in maggior pregio degli agricoltori. Da poco tempo in qua assidue cure e molti capitali vanno impiegandosi sulla terra della valle, né a temere che ciò sia a danno delle arti e delle manifatture: ed è pur fondata la speranza che per modo si fatto la prosperità del contado più si estenda e progredisca; che se altro non fosse, varrà di certo a premunirlo contra i sinistri e le continue fluttuazioni industriali , e contra tutte le peripezie e le crisi manifatturiere e commerciali de’ tempi che corrono tanto più difficili, quanto più avventati e capricciosi.
E’ impossibile per chi parli e ragioni di questi luoghi, e per chiunque vi dimori, o li visiti soltanto, e sia pure una volta, che non rammenti essere stati a Saturno prediletti, esser Saturnie quelle mura che or diciamo di Sora, d’Arci, quell’Arpino stesso che in tempi più tardi, e forse anche più infelici, fu patria di Mario e Cicerone. A questa valle appartennero i 225 immolati vittime nel foro Romano a vendetta della colonia trucidativi nell’anno 439 di Roma; i guerrieri di questa valle impedirono ad Annibale di penetrarvi, e fino in Canne furono fra i più onorati della sconfitta. Alla vista de’ ruderi delle ville e del ginnasio de’ Tullii, non sarà anima gentile e culta che non ricordi le nobili parole del grande oratore, e non si senta palpitare al quare inest nescio quid, et latet in animo ac sensu meo, quo me hic plus, hic locus fortasse delectet. Quivi egli scrisse i dialoghi delle leggi, quivi creò le più belle ed eloquenti orazioni, quivi diè forma o perfezione alla più gran parte delle sue più divine produzioni. Ecco l’isoletta de’ beati, nome datole da Attico, il migliore ed il più degno amico di Cicerone. Sii pur lieto per sempre o Carnello della tua origine e della tua stanza, né le presenti tue gualchiere, i mulini e le cartiere ti facciano immemore di si belle e nobili ricordanze; contrastano è vero coll’antica destinazione del luogo, però son essi buoni questi fatti a far meditare sul mutar perenne e sulla metamorfosi continua delle cose umane. Né fia mai che si obbliino i venerandi avanzi del tempio sacro a Mercurio lanario, e i ruderi delle torri fulloniche, monumenti e testimoni, dopo tanti secoli, che i lanifizi non sono nuovi in quelle contrade, e furonvi e v’ebbero luogo ed onore in tempi anteriori a ciò che dicesi civiltà nuova, ed anche antica civiltà.
Ora, a ritratto del vero, la valle del Liri può ben dirsi un vasto e quasi unico opifizio; tante sono le case e le officine e tanti gli stabilimenti industriali, ne’ quali si prepara e si produce precipuamente ogni maniera di panni e di carte. Il fragore e lo spruzzo di quelle incantevoli cascate e cascatine; il mormorar delle acque ad ogni istante rotte e contrariate, e però fatte querule e spumanti; il cigolio confuso delle macchine e delle ruote; la vista delle adusate acque, divenute a mille colori dalla varietà delle tinte; l’incontro di lane e di panni senza fine, di cenci e carte ammonticchiate; l’ingombro di carri e carrette in tutte le vie, per tutte le direzioni; tutto quanto vedi d’intorno ti addita che sei nella valle del lavoro e delle industrie, come già fu dell’ozio, del riposo e degli studii. Non fia dunque maraviglia se de’ suoi tessuti e delle sue carte provvede gran parte si dell’una e si dell’altra Sicilia. Che a parlar con verità, se non dieci, otto dodicesimi almeno de’ panni e de’ castori che si consumano in questo reame, i quali cosalinghi non siano e affatto rozzi ed aborigini, sono produzione di detta valle industriosa, e vengono comunemente chiamati d’Arpino, dal nome della terra che tutte le altre sopravvanza in fabbricarli. Né altrimenti dee dirsi delle carte, con questa differenza, che se il Liri vince il Fibreno, ed Arpino vince Sora ed Isola per i panni, questi vincon quelli per la carta.
Ed andrebbe errato chi credesse, che ristretti umili e sprovveduti di macchine fossero gli ospizii di cui ragioniamo, che, ove si parli di cartiere, è oggimai conosciuto esser la cartiera del Fibreno del signor Lefebvre la prima d’Italia, e non inferiore alle più vaste e migliori d’Europa; larga e svariatissima è la scala delle qualità, de’ colori, delle dimensioni e de’ prezzi, e la quantità di quelle carte è veramente prodigiosa. Rivali di questa, e, parzialmente, sotto alcuni riguardi anche eguali, voglion dirsi fra le altre, le cartiere delle due società una Sorvillo e Meuricoff, e l’altra Courier e compagni.
I lanifizii di Pulsinelli e Zino mantengonsi da molti anni ad un’altezza e bontà di produzione, il fatto di castori ordinarii e di buoni panni per le classi medie ed operose (di finissimi non ne fanno), che può affermarsi nettamente, non essere in oggi chi più possa contrastar loro il primato in tutto il regno ed in tutta la penisola italiana.
I panni detti correnti e minori, non più vengono dallo straniero, e nel vicin regno di Grecia in cambio come in molti luoghi d’Italia vanno i nostri diffondendosi e precipuamente le flanelle, i lontrini , i calmucchi, i peloni e peloncini, e pure molte qualità di castori. Se Iddio vorrà permettere che venga a capo la sospirata lega doganale italiana, la nostra valle delle industrie provvederà di panni e di castori, e forse anche di carta fina, tutta la terra d’Italia, e buona parte de’ vicini paesi d’Oriente. Un mercato perenne di 30 milioni d’uomini permetterà la riduzione delle tariffe, la minorazione de’ prezzi, il perfezionamento della qualità, ed innalzerà questa valle unica in Italia al culmine della sua prosperità, al più alto grado della industria manifatturiera.
Lasciando le generalità, il numero degli opifizii in tutta la valle del Liri, compresi quelli che trovansi nella contigua valletta d’Atina bagnata dal fiume Melfi, sono non meno di 24 di primo e second’ordine, de’ quali 15 appartengono a lanifizi e 9 a cartiere. Fra i lanifizii primeggiano quelli di Pulsinelli, Zino, Ciccodicola e Manna, e fra le cartiere quelle di Lefebvre, Sorvillo, Courier, Visocchi, ed altre ancora.
Né tutte le fabbriche de’ panni hanno motori ad acqua, essendo le minori proprio nell’abitato lungi da que’ fiumi, tanto che nella sola città di Arpino ch’è lontana dal corso del Liri per circa due miglia, se ne noverano 32, alcune delle quali ben grandi. In tutto lavoranvi circa 7000 operai arpinati, val quanto dire la metà di tutta la popolazione: e se ve ne aggiungi un altro quarto addetto al traffico delle lane, de’ panni, ed agli uffizi della mercatura, potrassi ben dire, che un quarto appena ne rimane per tutte le altre arti, e per i mestieri di città e campagna.
La produzione in panni e castori d’ogni maniera, forti e leggeri, rasi e peloncini, in panni e castori d’ogni colore, e di ogni prezzo, da due a dieci ducati per canna, secondo i computi più accurati, è sommata nell’ultimo quinquennio a trentasei mila pezze per anno più o meno grandi, o sia a 36O mila canne di 10 palmi, delle quali 200 mila si fabbricano in Arpino, 30 mila in Sora, 40 mila in Isola, 60 mila in S.Elia, ed il rimanente ne’ luoghi finitimi. Questa produzione potrebbe innalzarsi a due doppii, se lo spaccio e la consumazione cotanto richiedessero, nel qual caso, la qualità ed il prezzo se ne migliorerebbero non poco. La scuola degli operai v’è già costituita, e vi trovi fabbricanti ed artefici francesi, tedeschi e belgi che son divenuti napolitani per tutt’i modi. Gli edifizii sono ben fatti e grandiosi, forse un po’ troppo, ma l’architettonico e l’appariscente è un bisogno degl’Italiani ; le macchine corrispondono alla bisogna; gli utensili non mancano, e neppure i capitali, i quali per contrario già incominciano a deviare. Quel che manca veramente sono la richiesta e la consumazione, le quali, rimanendo da meno de’ mezzi di produzione, danno causa ad un riflusso che i fabbricanti e gli operai insiememente veggono con dolore, e non possono quanto vorrebbero impedire (1) . L a lana che vi s’impiega si calcola, otto mila cantaia tutta di regno ed in qualche anno anche dieci: i capitali circolanti che vi sono spesi per essa toccano i ducati 400 mila, e tutti i capitali circolanti industriali annessi che vi vengono impiegati ascendono a ducati 800 mila o circa un milione: la spesa media di tutt’i panni si fa ascendere oltre a ducati tre per canna ed il prezzo di vendita a circa quattro. Da undici mila e cinquecento in dodici mila operai vi lavorano costantemente, con un salario che varia da 20 a 30 grani per gli uomini, da 10 a 12 per le femmine, da 7 a l0 per i fanciulli: salario medio, posto mente al numero degli operai rispettivamente, grani 20.
Dalle cifre testè riferite apparisce che i salarii vi sono evidentemente bassi e picciolissimi al confronto de’salari degli operai degli altri paesi manifatturieri, però essendo anche più facile o men caro il vitto, non si è al caso di apportarvi osservazioni d’un carattere proprio e speciale: l’è questo un fatto disgraziatamente troppo universale nel mondo industriale, che rivelasi ovunque sono industri le quali si elevano sulle ordinarie, e prendono forma di mestiere; fatto che si coordina alla general condizione di tutti gli altri operai dell’Europa, ed all’ordinamento presente del lavoro.
Tale ordinamento rassomiglia ad uno stato di cose pienamente anormale, però qualunque esso sia, non può negarsi che va dovuto ad una moltitudine di guerre, e precipuamente a quelle fra i produttori ed i consumatori, fra i capitalisti, gl’intraprenditori e gli operai, ma non è questo il luogo di favellarne, e svolgere l’idea del come mettersi in cammino. Taluno potrebbe dimandare se mai con quella spesa ne’ salalrii ed una tariffa doganale di protezione di ducati quattro di dazio per ogni canna di panno forestiero, la industria arpinate siasi in venti anni elevata al grado di sperata prosperità, e la produzione arricchisca rapidamente e grandemente i capitalisti e fabbricanti. Al che sarebbe facile di rispondere non doversi negare, che dopo uno slancio da maravigliare ed incantare chiunque non sia profondo economista, la industria in parola, da parecchi anni in poi, trovasi in una lenta crisi di cui non è conceduto a privato scrittore di preveder la fine e tanto meno di impedirla. La consumazione torna annualmente impotente ad alimentare tutta la produzione di cui è capace questa valle, neppure quella de’ primi anni di speranza e di entusiasmo; il perché attende con fiducia che le sia aperto un mercato più vasto, certa e non dolente di dover allora rinunziare a’ benefizii di una smodata protezione.
Venendo alle cartiere. Si producono ciascun anno nella nostra valle del Liri più di 300 mila risme di carta da stampa e da disegno ed altrettante da scrivere, oltre le carte per involgere mercanzie e bazzicature e per altri usi di commercio, al prezzo medio di quattro ducati le prime, li ducati due le seconde, e di grani sessanta le terze; io non parlerò delle carte scelte pel disegno e delle finissime ed eecezionali di cui attendesi, a dir vero, una maggior riduzione di prezzo. Sono produzioni di lusso, e non v’è chi il nieghi, ma quando se ne restringe la consumazione di troppo con prezzi altissimi, è necessità o smetterne la fabbricazione o dilargare la possibilità della consumazione.
Sono in circolazione per questa industria da 8 a 900 mila ducati senza dire dei capitali fissi. Il numero degli operai addetti alla fabbricazione delle carte, ed a mestieri che vi sono congiunti, si valuta ad un bel circa 2000 persone, i salarii de’ quali, salvo i preposti ed i capi d’arte, di poco sopravvanzano quelli che ricevono gli operai dei lanifizii. E farà maraviglia ed anche piacere il sentire, che questi salarii con tutti gli altri da 23 anni in qua non hanno sofferta sensibile alterazione, ancorché ne’ prezzi, da tre lustri, siavi una diminuzione del 50 per cento. Né vuolsi da ciò dedurre che i salarii sieno rimasti fermo a danno de’ fabbricanti, e degli operai; imperciocché, quantunque le materie grezze non abbiano sofferto tanto grandi alterazioni, pure i fabbricanti hanno potuto ribassare a metà gli antichi prezzi, sia rinunziando a’ troppo grandi ed immoderati profitti, sia per virtù delle macchine che hanno diminuita la spesa ed aumentata la quantità e perfezione delle carte, e sia per ragione della quantità sempre crescente e prodigiosa della consumazione, che venuta in soccorso della buona volontà de’ produttori-capitalisti. Né altrimenti potrebbe spiegarsi come ad onta di una grande concorrenza di nuove e buone cartiere, l’immenso opifizio di Lefebvre lungi di menomare ha aumentata la produzione delle sue carte, ha anche potuto ridurre i prezzi e migliorar le qualità; e tutto questo fu compiuto in tempo in cui tre altri grandi opifizii, e molti altri minori venivan fuori in aperta concorrenza sul mercato, e vi portavano già una quantità di produzione di eguale di eguale a quella per lui prodotta. Se il mercato delle carte si allargasse per tutta la penisola, la nostra valle delle industrie diverrebbe valle favorita della carta: e son anche per dire ch’essa decuplerebbe senza sforzo, e senza nuovi capitali fissi la sua presente produzione, e potrebbe ancora ribassare di un altro quarto i prezzi presenti delle carte, dando pure un ultimo passo verso la maggior perfezione delle medesime.
Ricordiamoci che la carta è per la scrittura, pel disegno e per la stampa, quel ch’è il panno pel vestire, ed il frumento per gli alimenti, voglio dire, ch’è appunto per essi, la loro condizione sine qua non della loro esistenza e del loro incremento; e tutt’insieme sono argomento infallibile di ricchezza e civiltà, per le nazioni.
Che sia intanto delle considerazioni fin qui fatte, certa cosa a noi pare, che dal detto si possa agevolmente inferire
1.° Che la valle del Liri non abbia eguale in Italia, e poche in Europa e fuori.
2.° Ch’essa sopra picciola estensione di terra riunisce due delle più grandi industrie del mondo manifatturiero, in larga scala ed idonea ad uno svolgimento tre e quattro volte maggiore.
3.° Che tali industrie possono e debbono ingrandirsi e prosperare secondo che il mercato della consumazione si dilarga ed avvicinasi a quello che dicesi della grande nazionalità.
4.° Che merita il nome di valle delle industrie, ed è pur giusto che se l’abbia.
Un Paese che ha potuto riunire sopra una superficie di men che otto miglia quadrate, sei milioni di capitali fissi e due di capitali circolanti, da poterli elevare senza scossa fino a quattro, versandoli sopra due sole maniere di manifatture, è un paese chiamato a grandi destini. E pure, questo non è che l’ultimo de’ suoi titoli, la minore delle sue grandezze, l’infima dulle sue glorie.
Note:
1). La qualità’ de’ prodotti in generale è tale che di essi possono ben covrirsi tutte le classi medie ed inferiori della società, e di alcune classi anche più alte, più ricche e più eleganti. I tessuti vi sono fatti senza risparmii e senz’adulterazione o impostura: la durata n’è sempre più lunga di quella de’ prodotti simili de’ forestieri, a’ quali però cedono in perfezione e gradazione di colori, ed in preparamenti, lustri, e qualità di lane.
ritorna
articolo segnalato e pubblicato da Raimondo Rotondi