Innanzi a Vittoria Colonna si chinò l’l’arte di Michelangelo di Alfredo Saccoccio
A Vittoria Colonna è legato, soprattutto, il nome e il ricordo di Michelangelo Buonarroti. La rimatrice eccellente, il devoto vedovaggio e il memore amore che portò al marito immaturamente scomparso, l’alto ingegno, la nobiltà dei natali e la sua stessa bellezza, ebbero potere e risalto in virtù di quella missione di amica e di consigliera del grande fiorentino.
Molti non ricorderanno neppure più che, figlia di Fabrizio Colonna, conestabile di Napoli, e di Agnese di Montefeltro, figlia del duca di Urbino, andò sposa e trepida amante allo spagnolo Francesco Fabrizio D’Avalos, duca di Pescara, recandosi con seguito regale ad Ischia, l’isola che, negli anni lontani, rimembrerà con accorati accenti :”Ahi con quanto dolor l’occhio/ rivede/ Quei lochi ov’ei mi fea più/ chiaro il giorno!” E dove si celebrarono le fastosissime nozze tra i due adolescenti, già promessi sposi, come patto di fedeltà, dalla tenera età di tre anni. Ignorando di lei ogni bel verso, come quel sospiro in rima che è il sonetto XXXIV :”Prima che né chiari or negli oscuri passi/ Ritiene amor sovra il mio core impero…” non immagineranno che le furono amici e ammiratori i più chiari e illustri nomi del suo tempo, così dovizioso d’ingegni: Jacopo Sannazaro ch’ella chiama “anima bella” e il Bembo “gentil”, e lo stesso Carlo V “aquila altera”, e Giovanna d’Aragona, Veronica Gambara, Caterina Cibo, il cardinale Contarini, il Castiglione, l’Alamanni, Francesco Berni, Pietro Aretino, ai più nemico, Sebastiano del Piombo, il Tiziano; che venne cantata dall’Ariosto, dal Tasso, da Annibal Caro; ma nessuno dimentica che fu l’amica per eccellenza e il supremo conforto, nella tarda età, di quel sommo Buonarroti di cui alleviò la tetra solitudine negli eletti convegni del chiostro di San Silvestro a Monte Cavallo, ove si radunavano gli amici devoti alla pia donna, consolatrice di colui che aveva cantato:”Per fido esempio alla mia vocazione nel parto mi fu data la bellezza”, la forte e dolce donna dei Colonna, il fiore più splendido di quel “arbor” a cui “…natura insegna i fieri / Nemici contrastar…” ebbe il supremo conforto d’averlo vicino negli ultimi istanti del suo vivere inimitabile, molto più inimitabile in quel Rinascimento corposo, sanguigno e corrottamente pagano. Egli ne raccolse, insieme all’estremo respiro, l’ultimo commiato: “Addio, mio buon amico,fratellevole amico; ricordatevi di me ; di me che ammirai il vostro genio, che tanto amai le vostre virtù…”. E, dice il suo biografo “eegli ne rimase stupefatto e come insensato”.
Era il 25 febbraio del 1549, quando, a soli cinquantasette anni (era nata nel castello feudale di Marino nel 1492, l’anno della scoperta dell’America), stremata dalle lunghe penitenze (il Giovio racconta come ella si flagellasse fin “nelle parti pudende”), e fors’anche dalla indigenza in cui si era ridotta per aver dato tutto ai bisognosi, si spengeva uno dei più fulgidi ingegni femminili che abbia dato, non soltanto il lRinascimento, che ne fu rigoglioso (e basta ricorda Gaspara Stampa,Tullia d’Aeagona, Veronica Gambara), ma l’Italia nei suoi nsecoli di storia.
Dopo, però, aver reso omaggio alla celebrata poetessa e all’amica del grane scultore toscano, che certo sotto la sua ispirazione compì l’ultima parte, la più dolorosa e travagliata, dell’affresco della Cappella Sistina, non bisogna dimenticare la duchessa di Pescara, la principessa romana.
Essendo venuto in sospetto a Carlo V, il duca d’Avalos, benché l’incondizionata stima che la moglie così retta e virtuosa gli portò semprem facciano credere calunniose quelle voci, e benché nella battaglia di Pavia rifulgesse il suo valore e riportasse molte ferite, in seguito alle quali si spense con il nome di lei sulle labbra nell’anno 1525, a Milano. I congiurati che volevano abbattere la dominazione spsgnola, per bocca del Morone, gli offrirono, in cambio del suo aiuto, la corona di Napoli, ma deciso è il consiglio di Vittoria di tenersi lontano da quelle lusinghe.
“Gli uomini non possono aver maggior nemica della smisurata fortuna”, diceva e, temendo lo splendore di quell’intravveduta corona gli abbagliasse la vista, lo scongiurava che non dimenticasse per quella se stesso e la sua coscienza. Conservasse al su re la fede del suddito e di soldato, ch’ella era paga d’essere la moglie di un grande capitano, che ad un regno preferiva l’onore di conseguire reputazione nei contemporanei, fama nei posteri. In tempo di intrighi e di opportunismi proficui, l’esempio e il monito di questa donna è veramente sorprendente. Ella perse un trono terreno, ma ne aqcuistò uni celeste. Vincitrice del mondo e di sè stessa” la chiamò , a ragione, Annibal Caro e l’Ariosto, veramente presago, cantò “quest’una” che “ha non pur sè fatta immortale”.
Morto lui, la sua einuncia ad ogni forma di mondanità fu totale.
In viaggio per l’Italia, placava la sua inquietudine all’ombra protettrice dei chiostri. La sua anima si volse sempre più al mondo delle cose belle, al culto della forma espresso dalla pittura e dalla scultura ed alla nuova letteratura. Era il tempo dei rimatori; nascevano sonetti e canzoni, ballate e stornelli, forme spigliate della poesia popolare. Era il petrarchismo trionfante ed anche le donne colte dell’epoca ne furono affascinate; trasferivano in rima gioia e dolori, ma non riuscivano a varcare il cerchio angusto del parentado e degli amici..
Sono sopravvissute all’oblìo Gaspara Stampa con il suo “Canzoniere” dedicato a Colloatino di Villalto e, con più diritto, Vittoria Colonna. Il suo “canzoniere” ha una componente dominante; la memoria dello sposo scomparso e l’ansia religiosa: due motivi che si sovrappongono con snellezza di forma e con spontaneità di sentimento, sul modello petrarchesco . La sua adesione piena, la sua accettazione integrale dei doveri di sposa evidentemente non erano state solo una donazione d’amore, ma ispirazione di un nobile cuore che vuol penetrare nell’altro cuore per imprivervi il sigillo della propria supremazia spirituale, con tatto, con misura, con la modestia deglio atti e delle parole, con esemplare, femminea delicatezza: una missione educativa, se dovessimo esprimerci in termini moderni.
Nella cattedrale dell’Assunta, costruita nel Trecento, rovinata nel bombardamento del 1809, erano state celebrate le nozze di Vitttoria Colonna con Ferrante d’Avalos. A proposito della celebre poetessa, narra la tradizione che Michelangelo, innamorarosi di lei, venisse ad abitare nella torre che, ancor oggi, si può vedere antistante al castello d’Aragona, su un promontorio dell’isola d’Ischia, da dove egli poteva seguire le mosse dell’amata.
Con l’avvento degli Aragonesi, molte famiglie locali dell’epoca furono smembrate per far sposare le mogli e le figlie di questi agli scudieri dell’arme spagnola cosicchè il castello divenne un vero e proprio centro di vita, e l’isola non venne abitata che circa duecento anni dopo l’eruzione . Il carattere degli abitanti odierni, cavalleresco ma indolente, rispecchia un attaccamento alle proprie tradizioni, una curiosità diremmo anti-turistica, per tutto ciò che di nuovo viene apportato nella loro terra. La primitività riflessa negli occhi degli abitanti non è stata ancora cancellata dal continuo affluire di turisti, dai sempre più numerosi alberghi, che hanno fatto di Ischia uno dei centri termali più diffusi nel mondo.
Alfredo Saccoccio