Inquadramento storico del Regno delle Due Sicilie e della Terra di Lavoro
Notizie tratte dal libro “La costruzione del camposanto di San Pietro Infine. Cronaca di una travagliata vicenda del XIX secolo”, di Maurizio Zambardi, edizione CDSC Aps, luglio 2025, pp. 19-29.
Agli inizi del XIX secolo il Regno di Napoli, con capitale Napoli, venne invaso dai francesi nell’ambito delle guerre napoleoniche. Nel gennaio 1806, le truppe francesi di Napoleone Bonaparte entrarono a Napoli, costringendo Ferdinando IV di Borbone e la sua corte a rifugiarsi in Sicilia sotto la protezione della flotta britannica. Questo evento portò alla deposizione della dinastia borbonica e all’instaurazione di un governo filo-napoleonico sotto il controllo della Francia.
Durante l’occupazione francese, il regno fu governato da due sovrani nominati da Napoleone Bonaparte: Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat. Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone (1806-1808), implementò le prime riforme per modernizzare lo stato e ridurre il potere dell’aristocrazia feudale. Gioacchino Murat (1808-1815), cognato di Napoleone, proseguì e ampliò le riforme avviate dal predecessore, cercando anche di consolidare la propria indipendenza politica. Uno degli aspetti più significativi dell’occupazione francese fu la modernizzazione del sistema giuridico ed economico del regno attraverso una serie di riforme quali: l’abolizione della Feudalità, la soppressione degli Ordini Religiosi, la codificazione delle Leggi e la creazione del Catasto napoleonico.
Con l’abolizione della Feudalità (1806-1808) furono emanate leggi che abolirono il sistema feudale, eliminando i privilegi della nobiltà e rendendo i contadini liberi dal vincolo servile. I feudi furono incamerati dallo Stato e redistribuiti, anche se spesso beneficiarono solo le classi borghesi emergenti.
Con la soppressione degli Ordini Religiosi (1809-1810) molti conventi e monasteri furono chiusi, le loro proprietà confiscate e vendute per finanziare le casse statali. L’influenza del clero sulla vita politica e sociale venne drasticamente ridotta.
Con la codificazione delle Leggi: Fu introdotto il Codice Napoleonico, che stabiliva principi di uguaglianza giuridica, proprietà privata e abolizione dei privilegi di casta.
Un’altra riforma importante fu la creazione del catasto napoleonico, che sostituì il precedente catasto onciario. Il catasto onciario, introdotto nel XVIII secolo dai Borbone, si basava su un sistema di stima delle ricchezze personali e fondiarie, spesso approssimativo e soggetto a valutazioni discrezionali. Il catasto napoleonico, invece, introdusse un sistema più moderno e dettagliato di rilevazione delle proprietà, basato su misurazioni precise e documentazione catastale sistematica. Questo nuovo sistema permetteva una tassazione più equa e razionale, riducendo le possibilità di evasione fiscale e fornendo una base più solida per l’amministrazione finanziaria dello Stato.
Dopo la caduta di Napoleone nel 1815, Gioacchino Murat tentò di mantenere il potere ma fu sconfitto e fucilato. Il Congresso di Vienna (1815) restaurò la dinastia borbonica e Ferdinando IV di Borbone riprese il trono, riunificando il Regno di Napoli con la Sicilia sotto il nome di Regno delle Due Sicilie con il titolo di Ferdinando I delle Due Sicilie. Nonostante la restaurazione, alcune riforme francesi rimasero in vigore, come l’abolizione della feudalità, sebbene la Chiesa recuperò parte delle sue proprietà e della sua influenza.
Le riforme napoleoniche, nonostante la restaurazione dei Borbone, lasciarono un’impronta duratura sull’ordinamento giuridico e sociale. Tra queste, la legge sulla creazione dei Camposanti e il divieto di sepoltura nelle chiese o nei centri abitati segnarono una svolta igienico-sanitaria fondamentale.
Riforme nel Regno di Napoli dopo l’occupazione francese (1806-1815)
Nel 1806, il Regno di Napoli, con capitale Napoli, fu invaso dai francesi nell’ambito delle guerre napoleoniche. Questo evento portò alla deposizione della dinastia borbonica e all’instaurazione di un governo filo-napoleonico sotto il controllo diretto della Francia.
Durante l’occupazione francese, il regno fu governato da due sovrani nominati da Napoleone Bonaparte:
- Giuseppe Bonaparte (1806-1808), fratello di Napoleone, che avviò le prime riforme per modernizzare lo Stato e ridurre il potere dell’aristocrazia feudale;
- Gioacchino Murat (1808-1815), cognato di Napoleone, che proseguì e ampliò le riforme del predecessore, cercando al contempo di rafforzare la propria indipendenza politica.
Uno degli aspetti più significativi dell’occupazione francese fu la modernizzazione del sistema giuridico ed economico del regno attraverso una serie di riforme. Le principali furono:
- L’abolizione della feudalità (1806-1808);
- La soppressione degli ordini religiosi (1809-1810);
- La codificazione delle leggi;
- Il catasto napoleonico.
Furono emanate leggi che abolirono il sistema feudale, eliminando i privilegi della nobiltà e liberando i contadini dai vincoli servili. I feudi furono incamerati dallo Stato e redistribuiti, anche se i benefici ricaddero principalmente sulle emergenti classi borghesi.
Con la soppressione degli ordini religiosi (1809-1810), molti conventi e monasteri furono chiusi, le loro proprietà confiscate e vendute per finanziare le casse statali. L’influenza del clero sulla vita politica e sociale venne notevolmente ridimensionata.
La codificazione delle leggi introdusse il Codice Napoleonico, fondato sui principi di uguaglianza giuridica, proprietà privata e abolizione dei privilegi di casta.
Un’altra riforma di rilievo fu l’introduzione del catasto napoleonico, che sostituì il precedente catasto onciario, in uso dal XVIII secolo sotto i Borbone. Quest’ultimo si basava su stime approssimative delle ricchezze personali e fondiarie, spesso soggette a valutazioni arbitrarie. Il nuovo sistema, invece, prevedeva misurazioni precise e documentazione catastale sistematica, consentendo una tassazione più equa e razionale, riducendo l’evasione fiscale e migliorando la gestione finanziaria dello Stato.
Dopo la caduta di Napoleone nel 1815, Gioacchino Murat tentò di mantenere il potere, ma fu sconfitto e fucilato. Il Congresso di Vienna (1815) restaurò la dinastia borbonica e Ferdinando IV di Borbone tornò sul trono, unificando il Regno di Napoli con la Sicilia nel Regno delle Due Sicilie, assumendo il titolo di Ferdinando I delle Due Sicilie.
Nonostante la restaurazione, alcune riforme francesi rimasero in vigore, come l’abolizione della feudalità, anche se la Chiesa recuperò parte delle sue proprietà e della sua influenza.
Organizzazione del Regno in epoca borbonica
L’amministrazione pubblica in epoca borbonica, sia nel Regno di Napoli che nel Regno delle Due Sicilie (1816-1861), era fortemente centralizzata e gerarchizzata, con il re che deteneva il potere assoluto e un sistema burocratico che rispondeva direttamente alla monarchia.
Il quadro generale era suddiviso in:
1. Il Re e il Consiglio di Stato;
2. Ministeri e Segreterie di Stato;
3. Amministrazione Locale;
4. Il Sistema Giudiziario;
5. L’Esercito e la Polizia;
6. La Tassazione e l’Economia.
Il sistema fiscale era molto rigido e prevedeva: Imposte dirette, sui terreni e sui fabbricati; Dazi doganali, sulle merci in entrata e uscita; Gabelle, ovvero tasse su consumi come il sale e il tabacco.
Il sistema amministrativo borbonico era quindi centralizzato, burocratico e autoritario, con un forte controllo della monarchia su tutte le istituzioni pubbliche. Questo modello, sebbene garantisse un certo ordine, era spesso criticato per la sua inefficienza e la scarsa apertura alle riforme.
Il sovrano borbonico esercitava un potere assoluto, con il supporto di un Consiglio di Stato, che aveva funzioni consultive e amministrative. Le decisioni importanti passavano attraverso questo organo, ma il re aveva l’ultima parola su tutte le questioni.
L’amministrazione centrale era organizzata in vari ministeri, chiamati Segreterie di Stato, ognuna delle quali si occupava di un settore specifico. Erano così suddivise: Segreteria di Stato per gli Affari Interni e di Polizia, che gestiva l’ordine pubblico e l’amministrazione locale; Segreteria di Stato per gli Affari Esteri, con rapporti diplomatici; Segreteria di Stato per la Guerra e la Marina, con gestione delle forze armate; Segreteria di Stato delle Finanze, con tassazione e bilancio dello Stato; Segreteria di Stato della Giustizia e degli Affari Ecclesiastici, con sistema giudiziario e rapporti con la Chiesa.
Gerarchia amministrativa in epoca borbonica
L’amministrazione dello Stato era organizzata su una suddivisione in:
- Province
- Distretti
- Circondari
- Comuni
Ciascuno con funzioni e figure amministrative proprie.
Le Province erano amministrate da un Intendente[1], nominato dal re, con ampi poteri di controllo su tutte le attività economiche, fiscali e di polizia.
I Distretti erano suddivisioni più piccole delle province, guidate da un Sotto-Intendente.
I Comuni erano amministrati da un Sindaco e da un Decurionato (una sorta di consiglio comunale), ma sempre sotto il controllo dell’Intendente.
La giustizia era amministrata da tribunali con giudici nominati dal re. I principali organi giudiziari erano: La Gran Corte della Vicaria (tribunale supremo a Napoli), i Tribunali provinciali e Giudicature locali per le cause minori, i Tribunali ecclesiastici, che gestivano cause religiose e morali. Mentre l’ordine pubblico era garantito da: L’Esercito Regio, con funzione sia di difesa esterna che di controllo interno, la Gendarmeria Reale, corpo militare con funzioni di polizia, le Guardie Urbane e milizie locali per il mantenimento dell’ordine nei comuni
Le Province
Le province rappresentavano le principali suddivisioni amministrative del Regno. Ogni provincia era diretta da un Intendente, nominato dal re e investito di ampi poteri. Egli era il rappresentante del potere centrale sul territorio e si occupava di affari amministrativi, fiscali, giudiziari e di pubblica sicurezza. L’Intendente era supportato da un apparato burocratico che lo coadiuvava nella gestione della provincia.
Con la riforma amministrativa, che si ebbe in seguito al Congresso di Vienna e alla Restaurazione (Legge n. 360, del 1° maggio del 1816), il Regno delle Due Sicilie fu riorganizzato in modo sistematico. Il Regno fu suddiviso in due grandi macroaree: Il Regno di Napoli, che riguardava l’Italia continentale, e il Regno di Sicilia, che riguardava l’isola della Sicilia.
Il Regno di Napoli (Italia continentale) era suddiviso in 15 province:
- Terra di Lavoro (capoluogo: Caserta)
- Principato Ultra (capoluogo: Avellino)
- Principato Citra (capoluogo: Salerno)
- Capitanata (capoluogo: Foggia)
- Basilicata (capoluogo: Potenza)
- Terra di Bari (capoluogo: Bari)
- Terra d’Otranto (capoluogo: Lecce)
- Calabria Citra (capoluogo: Cosenza)
- Calabria Ultra I (capoluogo: Catanzaro)
- Calabria Ultra II (capoluogo: Reggio Calabria)
- Molise (capoluogo: Campobasso)
- Abruzzo Ultra I (capoluogo: L’Aquila)
- Abruzzo Ultra II (capoluogo: Teramo)
- Abruzzo Citra (capoluogo: Chieti)
- Napoli (capoluogo: Napoli, capoluogo anche del Regno)
Il Regno di Sicilia (isola di Sicilia),fu suddivisa in 7 valli o province.
In totale, quindi, vi erano 22 province, 15 nel continente (ex Regno di Napoli), e 7 in Sicilia (ex Regno di Sicilia).Questa struttura rimase in vigore fino all’Unità d’Italia (1860-61), quando venne riorganizzata secondo il modello sabaudo.
I Distretti
Le province erano suddivise in distretti, noti anche come sottintendenze. Ogni distretto era affidato a un Sotto-Intendente, subordinato all’Intendente provinciale. Il distretto fungeva da livello intermedio tra la provincia e i comuni, facilitando il controllo e la trasmissione degli ordini dal centro alle periferie. Nei distretti si trovavano importanti uffici pubblici, tribunali e carceri, che ne facevano un nodo essenziale dell’amministrazione locale.
La figura dell’Intendente e quella del Sotto-Intendente erano entrambe legate alla gestione del territorio, ma con ruoli e competenze differenti. L’Intendente era il massimo rappresentante dell’amministrazione statale a livello provinciale. Aveva un ruolo simile a quello di un Prefetto moderno e rispondeva direttamente al governo centrale. Le sue competenze erano molto ampie e includevano: Amministrazione generale della provincia; Sicurezza pubblica e ordine; Fisco e tributi; Lavori pubblici e infrastrutture; Gestione economica del territorio; Controllo dei comuni e della loro amministrazione. In sostanza, l’Intendente era il principale intermediario tra il governo borbonico e le province.
Il Sotto-Intendente era un funzionario subordinato all’Intendente e operava a livello distrettuale, ossia in una porzione della provincia. I suoi compiti erano simili a quelli dell’Intendente, ma su scala ridotta: Applicava le direttive dell’Intendente nel proprio distretto; Supervisionava l’operato delle autorità locali; Gestiva l’ordine pubblico e le questioni fiscali a livello distrettuale; Faceva da tramite tra le amministrazioni comunali e l’Intendente. In breve l’Intendente aveva autorità su un’intera provincia, mentre il Sotto-Intendente si occupava di un singolo distretto all’interno di essa. L’Intendente prendeva decisioni di carattere più generale e strategico, mentre il Sotto-Intendente le eseguiva e gestiva le questioni più locali.
Dopo la riforma amministrativa del 1° maggio 1816, la Provincia di Terra di Lavoro era composta da 6 distretti principali:
1) Distretto di Caserta;
2) Distretto di Sora;
3) Distretto di Gaeta;
4) Distretto di Nola;
5) Distretto di Piedimonte d’Alife;
6) Distretto di Capua.
Il Distretto di Sora comprendeva poi 6 circondari principali:
- Circondario di Sora (capoluogo distrettuale)
- Circondario di Isola del Liri
- Circondario di Arpino
- Circondario di Atina
- Circondario di Cervaro
- Circondario di Casalvieri
I Circondari
I circondari rappresentavano una suddivisione ulteriore all’interno dei distretti. Sebbene non avessero un’autonomia amministrativa propria, erano importanti per l’organizzazione territoriale e giudiziaria. Nei circondari operavano ufficiali di giustizia come i giudici di pace, che garantivano la risoluzione di controversie minori e l’applicazione della legge nelle aree più periferiche. In alcuni casi, i circondari servivano anche per il reclutamento militare e la raccolta delle imposte.
Il Circondario di Cervaro comprendeva i 9 o 10 comuni[2].
- Cervaro
- San Vittore del Lazio
- San Pietro Infine
- Viticuso
- Vallerotonda
- Acquafondata
- San Biagio Saracinisco
- Sant’Elia Fiumerapido
- Vallemaio
- Ciorlano[3]
I Comuni
Alla base della struttura amministrativa si trovavano i comuni (detti anche “università”), ossia le unità amministrative più vicine alla popolazione. L’amministrazione di un comune era composta principalmente da tre organi: il Sindaco, il Decurionato e il segretario comunale.
Il Sindaco veniva nominato direttamente dal Re (o dalla competente autorità provinciale su sua delega). Il suo compito e dovere era di rappresentare il governo centrale a livello locale. Era, inoltre responsabile dell’ordine pubblico, della gestione delle finanze comunali, dell’esecuzione delle disposizioni governative e della supervisione dei lavori pubblici.
Il Decurionato rappresentava il consiglio comunale, il termine derivava dal latino decuria, cioè un gruppo di dieci. Era composto da un numero variabile di membri (di solito tra 10 e 30) chiamati Decurioni, scelti tra i cittadini più facoltosi e influenti. Il Decurionato aveva funzioni consultive e deliberative in materia di bilancio, tributi e opere pubbliche, ma sempre sotto il controllo del governo. I decurioni restavano in carica a vita e venivano sostituiti per cooptazione (i membri ancora in carica sceglievano i nuovi membri).
Il Segretario Comunale era Funzionario amministrativo con compiti esecutivi e di verbalizzazione delle decisioni del sindaco e del decurionato, e aveva un ruolo di raccordo tra l’amministrazione comunale e il potere provinciale.
Ogni comune era sottoposto alla vigilanza di un Intendente (oggi assimilabile al Prefetto), che rappresentava il governo centrale a livello provinciale. L’Intendente poteva annullare deliberazioni del Decurionato o sostituire il sindaco in caso di necessità. Nei comuni più piccoli (quelli con meno di 3.000 abitanti), le funzioni amministrative erano spesso accorpate con altri comuni vicini sotto un unico sindaco.
Come si può capire l’organizzazione amministrativa borbonica era fortemente centralizzata, con un controllo diretto del sovrano su ogni livello del territorio attraverso figure di fiducia. Questo sistema, sebbene rigido, permetteva al governo di esercitare un controllo capillare sull’intero Regno delle Due Sicilie, limitando l’autonomia locale ma garantendo una certa uniformità amministrativa.
Il comune di San Pietro Infine faceva, quindi, parte della Provincia di Terra di Lavoro, Distretto di Sora, Circondario di Cervaro.
[1] Oggi corrispondente al Prefetto.
[2] Il numero varia leggermente a seconda delle fonti.
[3] Secondo alcune fonti incluso temporaneamente.


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