Interventi di Domenico Rea e Raimondo Rotondi alla presentazione del libro di Paul Thiébault ad Arpino
Oggi ci ritroviamo nella chiesa della Madonna di loreto al Castello per illustrare la traduzione fatta da Raimondo delle memorie di Paul Thiébault, un generale francese che attraversò le nostre contrade negli ultimi anni del settecento. La storia, come narrazione di fatti e avvenimenti del passato ha un significato preciso: è l’esposizione di una ricerca su singoli episodi e personaggi, quindi di una indagine critica finalizzata a rintracciare la loro verità e le interconnessioni che la rendono unitaria.
Molti anni fa con Raimondo cominciammo a cercare negli archivi locali le tracce degli avvenimenti del 1799, non eravamo alla ricerca di storie, episodi territorialmente circoscritti, ma dei segni lasciati da quegli avvenimenti sulla nostra popolazione, per leggerli criticamente e valutarne gli effetti.
Quindi la traduzione di Thiébault non è stata un’operazione erudita, ma un passaggio funzionale a illuminare gli avvenimenti di quel periodo.
Nel mio intervento non parlerò molto del generale francese e delle atrocità commesse dalle sue truppe, in specie ad Isola del Liri, ma proverò ad “illuminare” sottolineare alcuni aspetti misconosciuti di quel periodo, con riguardo ad Arpino ed al luogo nel quale ci troviamo.
“Popolo d’Arpino donde passa la truppa francese insorge. Dà il sacco a possidenti. Trucida francesi dispersi. Strade coperte di cadaveri ignudi”. Il rapporto laconico è del poeta Ugo Foscolo, all’epoca corrispondente di guerra al seguito delle truppe francesi, ed è tratto da “Sulla storia di Napoli – frammento” pubblicata nel 1849.
Grazie ad Ugo Foscolo scopriamo che il popolo di Arpino si ribellò alle truppe dell’esoso generale McDonald. L’insurrezione è invece del tutto ignorata dalle poche cronache locali esistenti e/o conosciute che, d’altronde, mantengono un rigoroso “silenzio stampa” su quasi tutti gli avvenimenti del 1799. Perfino il “libro dei consigli o parlamenti” della municipalità salta a piè pari il periodo critico di quell’anno. Al verbale con data 23/12/1798 fa seguito il verbale con data 04/08/1799, senza spiegazioni di sorta e senza che risultino pagine mancanti dal brogliaccio. Sappiamo, però, che sanguinose rivolte popolari scoppiarono in tutti i paesi delle province d’Abruzzo e di Terra di Lavoro interessati dal passaggio delle truppe francesi. L’esercito transalpino era composto perlopiù da energumeni brutali, avvezzi alle peggiori violenze ed agli eccessi sanguinari della rivoluzione francese. Gli ufficiali superiori come McDonald, e lo stesso Championnet, consideravano il regno di Napoli terra di conquista, da depredare.
Ai violenti saccheggi si aggiungeva perciò l’imposizione di tributi tanto pesanti da rasentare l’inverosimile. Il popolo si ribellò ben presto con tutte le sue forze, assaltando e spesso sconfiggendo il più potente esercito dell’epoca a colpi di pietre, asce e forconi.
Cominciavano intanto a nascere le prime “masse armate” organizzate, in osservanza del reale dispaccio di Ferdinando IV. L’itrano Michele Pezza, già caporal maggiore del reggimento Messapia e futuro “Frà Diavolo”, correva di paese in paese cercando di organizzare la resistenza. Tutta Terra di Lavoro fu ben presto in fiamme. I pochi che avevano mostrato simpatie filofrancesi, o avevano dato adito a sospetti in tal senso, furono oggetto di rappresaglie feroci. I più fortunati riuscirono a fuggire ed a rifugiarsi a Napoli. Per quanto riguarda Arpino, Ugo Foscolo ci racconta ancora che un “personaggio arpinate d’alta nascita scortato da centogiovani traversa la ribellione, e a Napoli informa di tutto … (omissis) … chiese d’arruolare una legione denominata Tullia a spese del dipartimento. Championnet non acconsentì, o non potesse o non volesse.”.
Continua Foscolo: “chiamasi l’arpinate. S’assolda con 200 svizzeri veterani la legione Tullia contro Fra Diavolo. Troppo tardi s’incammina, né può oltrapassare Teano”.
Queste notizie sono tratte da un articolo scritto per Municipium proprio da Raimondo e superato lo stupore nello scoprire Ugo Foscolo corrispondente di guerra, dobbiamo sottolineare il silenzio nel quale questi avvenimenti furono vissuti dagli arpinati, classe dirigente e popolo minuto.
Una domanda: chi era quel personaggio di Arpino di cui parla Foscolo?
Qui leghiamo la narrazione al quartiere di Civita Falconara di cui siamo ospiti ed alla famiglia dei Marchesi Battiloro.
Il gentiluomo ed avvocato Pietro Abbondio Battiloro, primogenito di Domenico, marchese del S.R.I. e barone di Rocchetta al Volturno, e di Teresa Baglioni dei conti di Civitella, nacque, nel 1737, ad Arpino.
Era fratello maggiore dei benedettini Giustino e Giovanni Vincenzo, del canonico Giuseppe e dell’avvocato Paolo, in gran parte aderenti alla massoneria napoletana.
Pietro Abbondio aderì alla repubblica napoletana del 1799. Rivestì l’incarico di segretario dell’ufficio di presidenza presso il comitato centrale del governo provvisorio, alle dirette dipendenze di Ignazio Ciaia. Dopo la vittoria dell’armata sanfedista del cardinale Fabrizio Ruffo di Calabria, venne arrestato e condannato, il 28 aprile 1800, dalla giunta di stato “all’esportazione del regno vita durante, sotto pena di morte in caso di ritorno”. Sentenza riconfermata, il 13 giugno successivo, da Ferdinando IV di Borbone. Esule in Francia, si dedicò a Parigi, allo studio e all’insegnamento della fisica. Rientrò in Arpino con i napoleonidi. La nota scrittrice ed artista Marianna Candidi Dionigi, durante un viaggio nelle città fondate da Saturno, soggiornò nel palazzo Battiloro in Arpino, ospite del “coltissimo marchese”. Pietro Abbondio morì, in Arpino, il 22 luglio 1814.
Il fratello Giovanni Vincenzo (nato il 5 febbraio 1747), monaco celestino di san Pietro a Maiella, ebbe, sotto la repubblica del 1799, gli incarichi di commissario organizzatore del Garigliano e commissario del potere esecutivo del dipartimento del Volturno. Dopo aver costituito, nella propria circoscrizione, un corpo di gendarmeria, approntò, all’inizio del mese di marzo, la leva per la legione “Tullia” (dal nome della figlia di cicerone, illustre oratore di Arpino), destinata alla provincia di Capua, affidando il comando al tenente-generale Giuseppe Onofrio. Si trattò di un povero contingente, senza armi e mezzi. Incarcerato, subì, il 30 gennaio 1800, la medesima condanna di Pietro Abbondio, con sentenza riconfermata, il 20 febbraio successivo, da Ferdinando IV di Borbone.
L’altro fratello Paolo (1740-1848) servì nella milizia civica repubblicana con il grado di tenente. Promosso capitano di linea, venne condannato dalla giunta di stato, nella stessa data di Giovanni Vincenzo, al perpetuo esilio…
Durante il “decennio francese” (1806-1815), comandò il Castello dell’Ovo, consegnandolo, dopo la restaurazione, il 26 aprile 1815, al maggiore borbonico Falcone. Amico di Teodoro Monticelli, finì la sua carriera militare col grado di colonnello.
Una certa Pietra Battiloro fu compagna, nel gennaio 1800, di Luisa Sanfelice nel carcere criminale della Vicaria (denominato dal popolo “’o panaro”). Secondo Benedetto Croce, era, probabilmente una parente dei citati fratelli Battiloro. Se l’ipotesi risultasse veritiera, la sfortunata donna dovrebbe essere la moglie di Pietro, Marianna Zuccaretti, essendo il nome di Pietra assente tra le donne , appartenenti all’originaria famiglia Battiloro.
Abbiamo qui esposto l’adesione della classe erudita e nobile alla repubblica partenopea, ma non possiamo sottacere l’episodio che lega tutto il popolo di Arpino al passaggio dei francesi in viaggio verso Roma.
La mattina dell’11 marzo fu assalita Castelliri, ma il loro obiettivo principale erano Arpino e Sora, le campane di tutte le chiese di Arpino suonavano a distesa chiamando alle armi, mentre il popolo implorava l’aiuto dal cielo e la protezione della madonna di Loreto, nella chiesa di san Michele avevano portato non solo la statua della madonna di Loreto, ma anche tutte le altre statue delle madonne venerate nelle varie chiese cittadine. All’avvicinarsi del pericolo le statue furono portate “Fuori porta” era il 17 di aprile 1799 quando i francesi marciarono contro Arpino, dove passavano mettevano tutto “a ferro e fuoco”, ma quando le truppe francesi arrivarono tanto vicino da vedere il paese abbandonarono l’idea di attaccarlo e battettero in ritirata
Fra Giuseppe Palma, converso certosino presso l’abbazia di Trisulti, dichiarò, anche per iscritto, (la sua testimonianza è allegata al verbale della seduta del decurionato) che la ritirata dei francesi e la conseguente salvezza di Arpino era da attribuire alla prodigiosa apparizione di un esercito vestito di bianco nel numero di 9 o 10 mila, in quei giorni il frate si trovava nei pressi di Tecchiena e vide l’esercito francese passare e ripassare, e parlando con i comandanti, apprese da loro che si erano dovuti ritirare, visto l’immane esercito che veniva loro incontro.
Gli arpinati si sentirono debitori nei confronti della madonna di Loreto, e con una pubblica petizione chiesero di dichiarare questa principale protettrice di Arpino.
La petizione fu presentata al pubblico parlamento l’8 settembre del 1799, ma solo alla fine del 1801 il vescovo Colajanni, invitò il camerlengo a procurare l’elezione del principale protettore della città. Così il parlamento cittadino, con votazione segreta e all’unanimità, elesse la madonna di Loreto come protettrice principale di Arpino lasciando come minori: s. Michele Arcangelo e s. Pietro martire. E si scelse come giorno della festa solenne il 10 dicembre di ogni anno.
Domenico Rea
Arpino 20 ottobre 2024