Dopo l’annessione del Regno delle Due Sicilie avvenuta alla fine del 1860 le masse popolari dell’Italia meridionale, siritrovarono in una situazione di grave malessere sociale ed economico, aggravata da altre scellerate decisioni, come lo scioglimento, da parte di Garibaldi, dell’esercito napoletano, che tolse agli ex soldati di Francesco II, ingiuriati e derisi, ogni possibilitàdi reinserirsi nella vita civile. In seguito, lo scioglimento da parte del nuovo governo italiano colpì anche l’esercito garibaldino, che nel frattempo si era ingrossato di delinquenti comuni, falsi liberali, evasi dalle carceri, vagabondi affamati, che speravano di ottenere il condono e l’assunzione retribuita in servizio regolare nel nuovo esercito unitario.
Ma l’aggravamento delle imposte e l’estensione anche al Sud della coscrizione militare obbligatoria che comportava l’allontanamento dal lavoro di molti giovani, peggiorò irrimediabilmente le condizioni economiche delle famiglie. Molti meridionali si convinsero che i piemontesi erano solo degli invasori che non sapevano comprendere le necessità del Mezzogiorno. Intanto lo spodestato Francesco II dal suo esilio romano appoggiava la guerriglia contro l’usurpatore piemontese, tentando di organizzarli per riconquistare il suoregno, con l’appoggio economico dello StatoPontificio, ostile all’unita nazionale.Molti meridionali vi aderirono e divampòcosi il “brigantaggio”, che era già spontaneamente attivo per iniziativa di pastori e contadini affamati, che si erano dati alla macchia e quindi ora assumeva anche caratteristiche politiche.Le bande dei briganti divennero numerosissime nell’Abruzzo, nel Molise, nella Terra di Lavoro, nel Matese, in Capitanata,in Basilicata, in Calabria; erano formate da uomini rotti ad ogni avversità, guidate da capi famosi per la loro audacia, fra i tanti il brigante Crocco, ex pastore e disertore, che tanti anni fa fu immortalato nello sceneggiato televisivo ”L’eredita della priora” e che sarebbe istruttivo rivedere.Il brigantaggio fu considerato dal governoitaliano un’esplosione di delinquenza e di insubordinazione e venne perciò combattutocon estrema energia, con l’intervento di unesercito di 120.000 soldati e carabinieri ed ebbe il carattere, dal1861 al 1873, di unavera guerra civile,con migliaia di mortifra i cittadini, fucilazioni in massa, deportazioni, distruzioni di interi paesi e incendi di foreste, deportazioni in lager piemontesi, deportazioni, distruzioni di interi paesi e teste mozzate! Anche la zona vesuviana ebbe il suo brigante. Antonio Cozzolino nativo di Boscotrecase, detto Pilone per la sua villosità e per la folta barba, da giovane era scalpellino della pietra vesuviana. Fu arrestato una prima volta a causa di alcuni dissidi avuti col comandante della guardia urbana diBoscotrecase per porto d’armi abusivo. Nel 1860 in Sicilia, quale soldato dell’esercito napoletano, combatté contro i Mille di Garibaldi e compì un atto di valore prendendo in battaglia una bandiera ”piemontese”, esposta poi, a mo’ di trofeo, nella Reggia di Portici. Dopo l’annessione del Regnodelle Due Sicilie si fece brigante di Sua Maestà borbonica e con la sua banda combatté in tutta la zona vesuviana, fra Ottaviano, Boscotrecase, Boscoreale, Torre Annunziata e Torre del Greco. Aveva ottima conoscenza del Vesuvio e dei suoi nascondigli e per parecchio tempo riuscì a nascondersi e a sfuggire all’esercito piemontese.Si racconta che nel 1861, in piazza Annunziatella aBoscotrecase, sequestrò inpieno giorno il marchese Avitabile, direttore del Banco di Napoli, comunicando poi alla famiglia che questi sarebbe stato ucciso se entro tre giorni non gli fosse stata versata lasomma di ventimila ducati d’oro.Un amico della famiglia Avitabile ebbe l’incarico di portare il denaro richiesto nel luogo indicato, quasi sulla cima del Vesuvio e, pensando di far risparmiare agliAvitabile parte della somma, nascosediecimila ducati in un anfratto e si presentò al brigante. Lo trovò con quattro dei suoi e all’offerta di 10miladucati, il Pilone si ritirò in disparte per decidere con i suoi, poi tornò dicendo che si accontentava. Stese a terra il suo mantello e su di esso fu contato il denaro. Poco dopo fu fatto comparire il marchese.“Potete andare – disse Pilone – e perdonateci”. Il marchese e l’amico erano già lontani quando furono richiamati, con sommo sgomento, da uno dei briganti. “Ecco ilvostro fucile – disse questi al marchese – velo riporto perché non diciate che siamo dei ladri”.Lo stesso Pilone assalì, sulla strada che porta al Vesuvio dal versante di Boscotrecase, il corteo con l’allora principe Umberto di Savoia, il quale non fu maltrattato, ma spogliato di tutto ciò che aveva e rilasciato.Pilone scelse come suo quartier generalela Villa delle Ginestre in Torre del Greco, che apparteneva ai Ferrigni, la nobile famiglia napoletana che vi aveva ospitato il poeta Leopardi fra il 1836 e il 1837. Enrichetta Carafa Capece -Latro, che ebbe come nonna materna Enrichetta Ranieri sorella di Antonio, amico del Leopardi, racconta in un libretto che fa la storia della villa, che per appropriarsi della villa, il brigante Pilone minacciò con le pistole il guardiano e la moglie, costringendoli a mettere la casa a sua disposizione. Racconta ancora che, saputodell’avvicinarsi della gendarmeria, Pilone con la sua banda si allontanò e i due poveri guardiani furono arrestati per favoreggiamento e condannati a dieci anni di carcere, che scontarono interamente.“Ricordo – scrive Enrichetta Carafa – diaver visto in casa di mia nonna i due vecchietti usciti dal carcere. Io, bambina, li guardavo con un misto di curiosità e di terrore. L’uomo non parlava, ma la donna, una vecchietta arzilla, col viso grinzoso come unamela d’inverno, raccontava vivacemente la loro terribile avventura. “Bisogna compatirci – diceva -se li aveste veduti quei diavoli! Da una mano avevano la pistola e dal-l’altra una borsa piena d’oro”.Dopo molti combattimenti contro l’esercito piemontese, Pilone fu costretto a lasciare il napoletano e a rifugiarsi nello Stato Pontificio dove si recavano tutti quei briganti che cercavano un luogo sicuro in caso di pericolo. Qui fu prima incarcerato, ma in seguito, ospitato da Francesco II nel palazzoFarnese e rimandato nel 1869 a Napoli a riprendere la lotta. Tradito da un compagno, il 14 ottobre 1870, a Napoli cadde in un agguato tesogli dalla polizia napoletana. Scontrato si con gli agenti nei pressi dell’Orto Botanico in via Foria, tenne testa coraggiosamente agli assalitori, ma colpito da una pugnalata al cuore, fu ridotto all’impotenza etrasportato in questura, ove spirò poco dopo.Intorno al collo gli fu trovato un sacchettinodi stoffa nel quale furono trovate immaginidi santi; in tasca aveva un pezzetto di cartasul quale era scritto ”Antonio Cozzolino iosono figlio della Madonna Addolorata perché in cielo c’è il Signore che più di tutti è il Padrone”. Nel portafogli aveva 40 lire e un libricino di dottrina cristiana.