Alta Terra di Lavoro

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IPSE  DIXIT ?

Posted by on Mar 4, 2025

IPSE  DIXIT ?

      Le continue  richieste di “autonomia differenziata”, “spesa storica”, “territorializzazione” da parte di alcune regioni alle quali stiamo assistendo attualmente sono un  sintomo inequivocabile, oltre che del disaccordo nei riguardi di una scelta che si perpetua con un continuo  passaggio di testimone già dal 1861, di una chiara volontà separatista.

Ora, considerando che il presente è sempre figlio del passato, cerchiamo di individuare le origini di questo malcontento, risalendo  al periodo storico del quale esso è figlio. A ritroso, dalla Seconda e poi dalla Prima Guerra Mondiale, arriviamo al momento più celebrato della nostra storia:il Risorgimento, quando, dopo la proditoria invasione e successiva annessione da parte del Piemonte dei vari Stati che costituivano la realtà politica dell’Italia del XIX secolo, fu comunicato al mondo che l’Italia era fatta. Nel merito la vulgata  attribuisce al marchese Massimo d’Azeglio la famosa frase “Abbiamo fatto l’Italia ora dobbiamo fare gli italiani”. In verità, di tale affermazione esiste più di una variante. Ma qualunque sia quella giusta, viene da chiedersi se questa possa essere considerata  come un segno dell’acume politico del marchese o non sia piuttosto una semplice battuta. Di certo c’è solo un dato di fatto incontrovertibile:che oggi, a distanza di ben 164 anni dalla tanto sbandierata “unità”,  non solo gli italiani – considerati come popolo con una comune e condivisa memoria storica – sono ancora da fare, ma – eclatante fallimento del tanto decantato e celebrato Risorgimento – è ancora da fare anche l’Italia che sia intesa come “patria” e non come semplice entità politica. Che quella “espressione geografica”  non sia diventata “patria” ma “nazione” lo si deve ad una situazione  che può ben essere considerata un difetto di origine: quello, cioè, che, o per scarso interesse o per incapacità degli artefici del Risorgimento,  un coacervo di genti diverse per storia e tradizioni non si è riusciti ad amalgamarle e a renderle figlie della nuova realtà che doveva diventare la madre di tutti. Ciò ha generato negli ex sudditi, diventati nel frattempo cittadini,  una diffusa indifferenza  nei riguardi della politica in genere e delle varie compagini politiche che si sono avvicendate nei palazzi del potere. Ma perché c’è stata così poca attenzione nei confronti  di queste masse che, secondo la propaganda, si voleva far diventare “popolo”, ”fratelli”? Perché, fin dai primi giorni dopo l’ unificazione, essendo molte le violenze e le azioni vergognose da non poter rendere pubbliche, i vincitori non hanno ritenuto opportuno di far tesoro delle ricchezze storiche e culturali dei vari popoli sottomessi né di fare i conti con il passato come hanno fatto altre nazioni, in modo che sia il bene che il male di spalmassero in egual misura sui vinti e sui vincitori, proprio come un rimescolamento di DNA che avrebbe fatto sì che tutti i cittadini avessero dei cromosomi in comune.   Per scrivere e tramandare una storia comune e condivisa sarebbe stato necessario intraprendere un processo di epurazione almeno per le persone obiettivamente più compromesse con le varie epoche della storia nazionale. Invece, rimanendo nella scia della denuncia a suo tempo fatta dal Saint-Jorioz, si è continuato a premiare l’incompetenza e l’incapacità, concedendo premi ed avanzamenti di carriera proprio ai più incapaci e ai più colpevoli. Nessuna categoria  merita l’assoluzione, perché il mancato confronto col passato ed il continuo riciclo da una realtà politica all’altra ha riguardato magistratura, forze armate, mondo della cultura, dell’informazione, dell’industria e della finanza senza che  qualche singola categoria avvertisse il bisogno di fare un “mea culpa” per potersi presentare con la coscienza pulita innanzi al giudizio della storia o che il governo di turno ritenesse politicamente corretto – anche solo per soddisfare l’opinione pubblica, ammesso che essa trovi posto nelle considerazioni dei politici – di  indagare su colpe e connivenze. Anzi, se un intervento c’è stato, esso ha mirato a dilatare al massimo i tempi dei processi fino ad insabbiarli  mentre la stampa asservita continuava ad ingannare le masse, con titoloni a tutta pagina, comunicando l’intenzione (ma solo quella!) della nuova classe politica di fare i conti col passato, mediante un radicale repulisti, per costruire una memoria storica condivisibile da tutti. Questa ostinata volontà di non prendere una posizione critica col proprio passato continua a pesare  come un macigno sulla nostra memoria pubblica e questo è il motivo principale per cui  ancora oggi non si è riusciti non solo a “non fare gli italiani”, ma addirittura a non essere stati capaci nemmeno di creare una nazione che potesse essere sentita come la patria di tutti e quindi amata. Questo modo di non fare i conti con il passato e di non sottoporre a giudizio e allontanare dai posti di comando nemmeno persone  su cui gravavano prove di essere criminali di guerra o compilatori e responsabili della promulgazione di leggi  che prevedevano il genocidio  finirono per diffondere la convinzione che, per non “sporcare” la propria storia, invece di un repulisti si preferì mettere in atto un condono generale, e così quelli che avrebbero dovuto pagare per i loro errori o le loro colpe, invece di affondare, rimasero sulla cresta dell’onda  continuando a trovarsi sempre nella posizione di protagonisti della scena pubblica, della storia e dei destini della nazione. Ovviamente in un Paese che aveva conosciuto più di una guerra civile e più di una rivoluzione calata dall’alto e che si voleva fosse un vestito su misura che potesse andar bene a chiunque un tal modo di agire poteva convenire solo a chi aveva interesse a celarne la parte meno nobile, ma non poteva non  lasciare scontenti e insoddisfatti gli esclusi, che, come comprimari o vittime, erano stati anch’essi coinvolti dagli stessi eventi. Scontento e insoddisfazione che poi avrebbero dato origine alla indifferenza della maggior parte dei cittadini nei riguardi della politica in genere, al mancato senso di appartenenza e all’odierna situazione sociale in cui  molte regioni, ove si sta radicando sempre più una velleità secessionista, cercano di tirare quanta più acqua possibile al proprio mulino, alla faccia della fratellanza e dell’unità.

Castrese Lucio Schiano – 27 febbraio 2025

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