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Ischia, V secolo a.C.: la nascita di un nuovo vulcano

Posted by on Lug 2, 2019

Ischia, V secolo a.C.: la nascita di un nuovo vulcano

a cura di Sandro de Vita, Socio AIV

INGV, Sezione di Napoli Osservatorio Vesuviano

Anno 474 a.C., la colonia greca di Cuma ha appena sconfitto gli Etruschi in una sanguinosa battaglia navale, combattuta nelle acque antistanti il promontorio di Miseno, e vinta solo grazie all’intervento della flotta di Ierone di Siracusa.  Il debito di Cuma nei confronti del tiranno siracusano è grande, in quanto la sconfitta etrusca aveva segnato la fine dell’egemonia di questo popolo sul Tirreno, lasciando ampi spazi all’espansione dei commerci della Magna Grecia e isolando la dodecapoli etrusca in Campania. In segno di gratitudine, quindi, ma anche per mantenere un saldo avamposto alleato, i cumani offrirono a Ierone la possibilità di stabilire un presidio sull’isola d’Ischia, detta allora Pitecusa, l’isola dei vasai.

Le brume dell’alba lentamente si dissolvono al levar del sole sulla palude costiera, all’estremità nord-orientale dell’isola. Il promontorio basso e tozzo che la delimita a oriente sembra una piccola acropoli: il luogo ideale per costruire il tempio che darà protezione all’attracco delle barche da pesca, nella baia e sulla spiaggia, al di là della collina. Ierone, ad Olimpia, ha già offerto a Zeus gli elmi sottratti ai nemici. E’ tempo quindi che anche la guarnigione siracusana a Pitecusa renda il suo tributo agli dei: ad Apollo, forse, o ad Artemide, protettrice di Siracusa.

D’improvviso uno stormo di folaghe si alza in volo, con fragore, abbandonando il canneto fra le grida di altri uccelli nascosti, una coppia di aironi silenziosamente si allontana: forse un predatore, chissà. Poi torna la quiete, un silenzio quasi innaturale, e la terra comincia a tremare, brevemente, in un sommesso brontolio che viene dal profondo, dalle viscere della terra. Ma d’altra parte si sa, i coloni locali e gli indigeni lo dicono, questa terra è inquieta e l’isola va spesso soggetta a scuotimenti tellurici. Poco male, il progetto è già pronto, il tempio si farà…

Anno 2005, i lavori per la costruzione di un depuratore sulla collina di S. Pietro, a est del Porto d’Ischia, mettono in luce i resti della costruzione di un tempio, risalenti al V secolo a.C.: pile di tegole accatastate, lastre di rivestimento decorate, frammenti di antefisse acrome, cataste di mattoni e altri elementi architettonici, testimoniano della presenza di un vero e proprio cantiere, approntato sulla collina per la costruzione di un tempio e abbandonato frettolosamente con tutti i materiali pronti all’uso, seppelliti dai depositi dell’eruzione che formò il cratere dell’attuale Porto d’Ischia (Figg. 1a e b).

L’eruzione (Fig. 2a-d) cominciò con un’esplosione probabilmente innescata dal rilascio improvviso dei gas in pressione, dovuto al surriscaldamento e alla vaporizzazione di acqua superficiale o di una falda a bassa profondità. L’esplosione provocò la formazione di una nube eruttiva di cenere accompagnata dall’espulsione di una grande quantità di frammenti litici, prodotti dall’apertura e dall’allargamento del condotto eruttivo (Fig. 2a).

Blocchi litici fino ad un metro di diametro e brandelli di magma ancora parzialmente fuso furono scagliati tutt’intorno al centro eruttivo e depositati al suolo seguendo traiettorie balistiche, durante la ricaduta continua della cenere dalla nube eruttiva. I primi frammenti balistici, ricadendo sulla collina, impattavano le pile di materiali da costruzione, determinandone la distruzione e il ribaltamento (Fig. 3).

Dopo l’espansione esplosiva di gas e vapore che aveva causato l’apertura del condotto eruttivo l’acqua di falda, inizialmente allontanata dall’onda d’urto, cominciava ad invadere il condotto, interagendo efficacemente con il magma in risalita e provocando forti esplosioni freatomagmatiche (Fig. 2b). La disponibilità di acqua in abbondanza, probabilmente connessa con l’esistenza di una palude costiera in corrispondenza del centro eruttivo, è testimoniata dalla presenza nei depositi cineritici di resti di materiale torboso e sedimenti palustri di argille ancora plastiche.

Durante questa fase dell’eruzione l’esplosività andava progressivamente aumentando, determinando la frammentazione spinta del magma e la formazione di ceneri finissime, che venivano distribuite attorno al centro eruttivo attraverso la formazione di correnti piroclastiche diluite e turbolente (base surges). Questa è la fase più energetica dell’eruzione, durante la quale le correnti piroclastiche si propagavano radialmente a partire dal centro eruttivo (Fig. 2b), spazzando ad alta velocità la collina e lasciando su di essa un deposito di cenere di circa 3 m di spessore, che seppellì il sito su cui si stava edificando il tempio. L’accumulo dei materiali piroclastici anche attorno al centro eruttivo e il probabile allargamento del condotto, unitamente ad una ridotta disponibilità di acqua di falda, rimasta in qualche modo tagliata fuori dal condotto, determinarono un cambiamento nello stile eruttivo, probabilmente dovuto anche all’arrivo in superficie di un magma già in parte degassato e quindi meno esplosivo. L’eruzione quindi proseguì con una fase Stromboliana che, verosimilmente, dovette protrarsi a lungo, per giorni o settimane, determinando la deposizione di uno spesso livello di scorie da caduta e di ceneri grossolane, connesse con la formazione di una colonna eruttiva bassa e instabile (Fig. 3c). Con l’arrivo di magma sempre più degassato e con la progressiva diminuzione dell’esplosività, dopo una breve fase di fontanamento di lava che depose scorie saldate attorno al centro eruttivo (Fig. 3c), l’eruzione andò perdendo di energia e si esaurì con il ristagno del magma residuo che si solidificò all’interno del condotto (Fig. 3d). L’eruzione lasciò un cratere di circa 400 m di diametro, che in seguito venne colmato dall’acqua, formando un piccolo lago costiero, separato dal mare da una barra di poche decine di metri di larghezza (Fig. 4a).

Sebbene questa eruzione sia stata di energia abbastanza ridotta, essa ebbe un impatto locale devastante, distruggendo l’insediamento che stava nascendo sulla collina e modificando l’aspetto del territorio circostante, con la formazione di un nuovo lago. Le fonti storiche confermano che furono abbandonati sia il progetto della costruzione del tempio sia il presidio da parte della guarnigione siracusana. La locale colonia greca di Pitecusa invece, sebbene profondamente colpita da questa calamità naturale, proseguì la sua esistenza sull’isola, anche a dispetto di due ulteriori episodi effusivi che, successivamente, interessarono la zona del lago.

Il lago d’Ischia, o lago de’ Bagni, come a lungo è stato chiamato nei secoli a venire, ha continuato ad essere frequentato fino ai nostri giorni, dimostrando una eccezionale resilienza della locale popolazione, che ha imparato a sfruttare la potenziale fonte di ricchezza costituita dalle sorgenti termali e dalle fumarole ad alta temperatura a scopi curativi e per attività ricreative.

Fino alla metà del XIX secolo il lago rimase tale, anche se sin dal 1670 era stato aperto un canale artificiale, non navigabile, per consentire il ricambio delle acque. Nel mese di luglio del 1853 infine, per ordine del re Ferdinando II di Borbone, cominciarono i lavori per la rimozione dell’istmo di terra che separava il lago dal mare per trasformare l’antico cratere in un porto (Fig. 4b). Il 17 settembre del 1854, con una solenne cerimonia, il nuovo porto fu inaugurato e ancora oggi costituisce il principale approdo dell’isola (Fig. 5).

Fino alla metà del XIX secolo il lago rimase tale, anche se sin dal 1670 era stato aperto un canale artificiale, non navigabile, per consentire il ricambio delle acque. Nel mese di luglio del 1853 infine, per ordine del re Ferdinando II di Borbone, cominciarono i lavori per la rimozione dell’istmo di terra che separava il lago dal mare per trasformare l’antico cratere in un porto (Fig. 4b). Il 17 settembre del 1854, con una solenne cerimonia, il nuovo porto fu inaugurato e ancora oggi costituisce il principale approdo dell’isola (Fig. 5).

fontehttps://www.aivulc.it/it/archivio-notizie/107-ischia-v-secolo-a-c-la-nascita-di-un-nuovo-vulcano.html?fbclid=IwAR36qeZOjf74dZEnw0Azsb2BOtNTL2rYE8mdL8Eavn680-ErKchUREPFDVg

segnalato da Fiorentino Bevilacqua

Figura 1. a) le cataste di tegole abbattute dai depositi dell’eruzione. (foto di S. De Vita)
Figura 4b) dettaglio dei materiali da costruzione (foto di S. de Vita)
Figura 2. Le fasi dell’eruzione del Porto d’Ischia. a) fase di apertura; b) fase freatomagmatica principale; c) fase stromboliana; d) solidificazione del magma residuo all’interno del condotto eruttivo (da de Vita et al., 2013)
Figura 3. L’impatto dei blocchi balistici sulle cataste di materiali da costruzione. Le frecce rosse indicano la direzione di provenienza (da de Vita et al., 2013)
Figura 4. a) il lago d’Ischia nel XVIII secolo
Figura 4b) i lavori per l’apertura del Porto d’Ischia nel 1853

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