Jean-Clément Martin, Un dettaglio inutile? Il dossier delle peaux tannées. Vandea 1794, Edizioni Vendémiaire
titolo originale
Jean-Clément Martin, Un détail inutile? Le dossier des peaux tannées. Vendée 1794, Editions Vendémiaire
Uomini catturati, giustiziati, scuoiati prima di conciarsi la pelle, usati per fabbricare oggetti o rilegare libri… Il fatto è attestato durante la Rivoluzione. Nel dicembre 1793, vicino ad Angers, a Ponts-de-Cé, migliaia di prigionieri vandeani furono uccisi, secondo le testimonianze raccolte dai rappresentanti in missione. Alcuni citano lo scuoiamento di 32 uomini per ordine di un ufficiale sanitario, Pecquel, che ha poi fatto trattare le pelli da un conciatore di Angers.
Un errore isolato o, come suggerisce da due secoli un’oscura leggenda, una vera e propria impresa statale? I membri del Comitato di Pubblica Sicurezza sono accusati di aver installato una conceria di pelli umane a Meudon, per confezionare pantaloni o per rilegare copie della Costituzione.
Jean-Clément Martin si impegna qui ad esaminare i documenti del dossier, per riferire sulle voci, sulle accuse e sui fatti, così come possono essere registrati negli anni 1793-1799. Ma oltre a ciò, colloca questi elementi nella prospettiva più ampia della storia dello scorticamento, della tortura o della pratica chirurgica, anche sociale, identificabile dall’antichità ai giorni nostri.
Recensione di Francisco Javier Caspistegui, Universidad de Navarra
In tempi di studi positivisti, di attaccamento al documento sopra ogni altra considerazione, questo libro non sarebbe apparso. Tuttavia, con la crescente attenzione riservata alla percezione dei fenomeni, ai dettagli rivelatori, agli indicatori di un’atmosfera, questioni come quella affrontata in questo libro da Jean-Clément Martin acquistano maggiore attualità. Che importanza potevano avere nella Rivoluzione francese le voci sulla concia che i rivoluzionari effettuavano con le pelli dei vandeani catturati? Hanno fatto i pantaloni con quelle pelli, hanno rilegato con quelle le copie della costituzione? Come fatto concreto probabilmente non ha alcuna rilevanza al di là del raccapricciante aneddoto, ma come strumento di propaganda controrivoluzionaria il suo impatto è molto più considerevole, soprattutto se arriva ai giorni nostri.
Il libro ruota attorno a questa questione, non tanto come tentativo di dimostrare i fatti in modo attendibile, anche se si cerca di raggiungerli per quanto possibile, ma come un modo per seguire una voce, una leggenda, un argomento di critica e, in definitiva, per mostrare il ruolo della disciplina storica: «si l’histoire à du sens, c’est celui d’arriver à faire passer les passés qui ne passent pas, à les digérer et les intégrer dans la trame de tout ce qui a existé» (se la storia ha un senso, è quello di saper trasmettere passati che non passano, digerirli e integrarli nel tessuto di tutto ciò che è esistito, p. 10). Anche se è quasi impossibile confutare l’impatto che una leggenda provoca, anche se è difficile trarre insegnamento da ciò che è accaduto nel passato (l’autore è ancora più radicale e sottolinea che è impossibile), si tratta almeno di vedere il rapporto con la memoria e il peso che essa ha nelle comunità, “comprendre à quel point l’écriture de l’histoire est servente et point maîtresse” (capire fino a che punto la scrittura della storia sia serva e padrona, p. 122).
Ma segnala anche un’altra questione parallela, e cioè quella di poter verificare l’evoluzione della sensibilità verso il corpo umano sofferente, verso il dolore, trasformazione che coincide con il tempo rivoluzionario e, quindi, con la necessità di contestualizzare cosa c’è dietro queste azioni. Si tratta, in definitiva, di evitare che la nostra sensibilità entri in giudizi di condanna su pratiche che suscitavano meno scandalo di oggi. In effetti, la questione delle pelli umane conciate dai rivoluzionari si collega alla critica al radicalismo e nel solco degli argomenti utilizzati da allora contro i regimi ispirati da una rivoluzione.
Tutto ebbe inizio nel numero 872 del Journal des Lois de la République (27/02/1795, 9 anno ventoso III), che conteneva un riferimento all’argomento. Entrò subito nell’arsenale degli argomenti contro le versioni più radicali della rivoluzione, anche se non in modo particolarmente prominente, trattandosi di un mero “si dice”, ma con sufficiente capacità di sopravvivenza per mantenersi nel tempo. Va tenuto presente che la scuoiatura e l’abbronzatura degli esseri umani erano atti isolati e individuali in un contesto di violenza molto più ampia, quindi la loro rilevanza era limitata al periodo del terrore. Inoltre, fino a quel momento non rappresentò un elemento di completa eterodossia, come dimostra il successo di pubblico delle dissezioni e dei teatri anatomici durante tutta l’Età Moderna. Non sorprende quindi che in tempi rivoluzionari ci siano stati alcuni esempi di ciò che la nuova sensibilità che cominciò ad emergere nel XVIII secolo rifiutava, come dimostra la conservazione di una di quelle pelli a Nantes, ma la sua stessa esistenza ne indica l’eccezionalità e il cambiamento di atteggiamento, sebbene si mantenga ancora “[l]a fascination envers le ‘monstre'” (il fascino del ‘mostro’, p. 41), convivendo con la crescente ripugnanza verso gli attacchi contro il corpo, indipendentemente dalla classe sociale.
Perché allora proseguire con le indagini su un fatto eccezionale e in declino? Perché la notizia di ciò ha portato alla creazione di una voce molto più ampia e alla costruzione di un argomento particolarmente duro per la sensibilità successiva, che è stato molto utile in una battaglia di idee. «Les tanneries de peau humaine révéleraient donc la malignité des révolutionnaires, hommes des Lumières et de sciences, mais sans conscience» (Le concerie di pelli umane rivelerebbero quindi la malignità di rivoluzionari, uomini dell’Illuminismo e della scienza, ma senza coscienza, p. 57). Concentrarli su Meudon significava anche concentrare la questione e le sue responsabilità sul Comitato di sanità pubblica, che è servito a mantenere a lungo la critica controrivoluzionaria dopo aver lanciato l’accusa. La domanda potrebbe essere: perché Meudon, solo per una questione politica? E la risposta porterebbe a considerare che ai piedi di quel castello Armand Seguin scoprì il sistema rapido di concia delle pelli, che trovò il sostegno e l’appoggio delle autorità. Era una buona base per diffondere la voce.
Potremmo anche chiederci cosa ci sia dietro i casi accreditati di vandeani usati come cuoio, e la risposta fornita dall’autore si riferisce alla già citata lotta di idee, al loro carattere di nemici sconfitti, “exclus de l’humanité reconnue”. «Considérés, avec tous les autres opsants à la Révolution, comme des ‘brigands’, ils ne sont pas différentes des malfaiteurs condamnés à mort» (esclusi dall’umanità riconosciuta. Considerati, con tutti gli altri oppositori della Rivoluzione, come ‘briganti’, non sono diversi dai criminali condannati a morte, p. 58). Una guerra impari si sviluppò in Vandea, e la libera circolazione della violenza in una guerra già totale fornì il quadro per tutti i tipi di eccessi, compresi quelli di carattere più eccezionale in un contesto sempre più ostile ad essi: «Pillages, violenze et distruzioni se commesse sur fond d’incendie pour terroriser les opposints. Ce qui mérite l’échafaud en temps de paix est toléré, incoraggiato, coperto en tout cas en temps de guerre» (Saccheggi, violenze e distruzioni avvengono in uno scenario di fuoco per terrorizzare gli oppositori. Ciò che merita il patibolo in tempo di pace è tollerato, incoraggiato, coperto comunque in tempo di guerra, p. 99). In un’epoca di trasformazione, in cui il popolo sovrano si sostituisce al monarca e ne assume il potere, manifestandolo, tra l’altro, attraverso il potere sui corpi, la rivoluzione e i suoi leader non favoriscono il mantenimento delle pratiche antiche, anche se non le evitano del tutto né le propagano o le promuovono: «il faut bien reconnaître que le souhait de créer la république vertueuse s’est cassé les dents sur «Le goût de posséder et de détruire, donnant, au moins apparemment raison aux pessimistes, décidément hostiles à toute révolution, quelle qu’elle soit» (bisogna riconoscere che il desiderio di creare la repubblica virtuosa si è spezzato i denti sul gusto di possedere e distruggere, dando, almeno apparentemente diritto ai pessimisti, decisamente ostili a qualsiasi rivoluzione, qualunque essa sia, p. 118).
Tuttavia l’accusa persistette e, soprattutto, crebbe dopo la Restaurazione, quando la parola venne liberata e si creò un mercato letterario in cui le memorie – genere già classico in Francia – divennero di moda, sia che contenessero verità o falsità, sia che riflettessero fatti o si concentrassero su atrocità. Ma anche in questo contesto erano ancora pochi a parlare di concia delle pelli umane, cosa che cominciò ad avere maggiore importanza a partire dagli anni Cinquanta. Uno dei principali autori della diffusione di questo numero fu Granier de Cassagnac, collaboratore di Crétineau-Joly, la cui opera stabilì una tradizione e ebbe un’eco nazionale. Da lui venne l’episodio che fu poi ripreso da alcuni romanzieri, che ne fecero usi inaspettati, come Alexander Dumas, che lo attribuì a un giovane vandeano che indossava un gilet e pantaloni fatti con la pelle di suo fratello. Ciò che colpì fu il silenzio degli storici sull’argomento, poiché nessuno dei più noti vi fece riferimento.
Quando si consolida la voce, quando entra nel cuore dell’opinione pubblica? Si era all’inizio del XX secolo: varie pubblicazioni raccolsero testimonianze e attraverso fonti d’archivio cercarono di sostenere l’accusa con pretese di scientificità. È da questo movimento che nascono gli argomenti degli attuali revisionismi, in cui “les peaux tannées servono d’aneddote accrochant les immaginations et les revendications” (le pelli conciate servono come aneddoti che catturano immaginazioni ed esigenze, p. 94). Si può infatti dire che questo libro risponde a una domanda del presente, come tutti gli altri, si potrebbe obiettare, ma a maggior ragione tenendo conto che fatti come questi continuano ad essere utilizzati nel dibattito pubblico, al di là della ricerca storica.
Le voci di un tempo turbolento, di profonde trasformazioni, diventano, quindi, il quadro ideale per la crescita di idee la cui traiettoria può essere indicata con una certa precisione, ma i cui effetti rimangono al di fuori di ogni razionalizzazione, poiché non sono argomenti della ragione, ma del cuore o, quel che a volte è peggio, del fegato.
Jean-Clément Martin è professore emerito all’Università di Parigi I Panthéon Sorbonne ed ex direttore dell’Istituto per la storia della Rivoluzione francese. Autore di una numerosa collana di libri, tra i quali vale la pena segnalare, tra quelli degli ultimi anni: La Terreur. Parte maudite de la Révolution, Parigi, Gallimard, 2010; Maria Antonietta, con Cécile Berly, Parigi, Citadelles-Mazenod, 2010; ha diretto il Dictionnaire de la Contre-Révolution, Parigi, Perrin, 2011; La macchina à fantasmi. Relire l’histoire de la Révolution française, Parigi, Vendémiaire, 2012; Ha pubblicato l’edizione critica di Peut-on prouver l’existence de Napoléon?, di Richard Whately, Parigi, Vendémiaire, 2012 e Nouvelle Histoire de la Révolution française, Parigi, Perrin, 2012.
Reynard Secher, Vendée : du génocide au mémoricide: Mécanique d’un crime légal contre l’humanité,
Venticinque anni dopo la pubblicazione del suo libro, Il genocidio franco-francese: Vendée-Vengé, Reynald Secher, grazie alla scoperta negli Archivi nazionali di documenti del tutto inediti, dimostra, con prove a sostegno, che il genocidio della Vandea è stato effettivamente concepito, votato e attuato personalmente dai membri del Comitato di Pubblica Sicurezza e dalla Convenzione, e che l’esercito e l’amministrazione si sono limitati a eseguire ordini. Per sfuggire alle proprie responsabilità e mascherare la logica ideologica e politica che inevitabilmente portò la Repubblica giacobina al genocidio, questi criminali e i loro eredi politici lo negarono. i fatti, hanno imposto alla nazione l’autoamnistia e l’impunità generale. Perpetrarono così un secondo crimine, quello del memoricidio, che, per un perverso capovolgimento, designò le vittime della Vandea come carnefici e trasformò i carnefici giacobini in vittime. A questo primo scandalo se ne aggiunse un secondo: questi carnefici beneficiarono di tutti i favori e gli onori dello Stato, mentre le vittime e i loro discendenti, traumatizzati, furono ridotti al silenzio e perseguitati permanentemente, ritrovandosi così esclusi da una cittadinanza che era loro di diritto.
Recensione di Hélène Piralian-Simonyan
Nel suo libro precedente, La disinformazione intorno alle guerre della Vandea e del genocidio vandeana (Anet, WorkshopFol’Fer, 2009), situato nel lignaggio delle opere di Gracco Babeuf e Raphaël Lemkin, Reynald Secher continuò con testardaggine e coraggio la sua battaglia (intrapresa sin dalla difesa della sua tesi nel 1985 e la pubblicazione del suo primo libro in cui dimostrava “documenti giustificativi, che La Vandea corrispondeva a un sistema protoindustriale di annientamento legale e sterminio di una parte del popolo francese non per quello che ha fatto, ma di quello che era”; Il genocidio franco-francese: la Vendée-vengé, Parigi, University Presses della Francia, 1986) affinché il Terrore della Vandea sia riconosciuto come genocidio. Ha testimoniato inoltre, in un capitolo intitolato “1985: Una nuova problematica in relazione alla storia della Vandea”, effetti distruttivi che lo svelamento di questo genocidio e la sua negazione hanno messo a dura prova lui e la sua famiglia.
Non noteremo i dettagli degli argomenti che furono usato contro di lui per screditare la sua ricerca tranne per dire che sono rappresentativi delle pratiche negazioniste. Noteremo semplicemente il suo stupore di essere diventato il bersaglio di un omicidio sociale avvenuto accompagnato da minacce di morte, furto di manoscritti e tentata corruzione. Atti di violenza i quali lo hanno portato a interrogarsi sulle ragioni di questo diniego e sulla violenza che l’accompagna: “È per paura per far riemergere ufficialmente questo antichissimo passato che dà un altro volto alla nostra rivoluzione?» (Ronald Secher, Disinformazione sulle guerre della Vandea e il genocidio della Vandea, Anet, Atelier Fol’Fer, 2009, p. 82).
Perché, dice: “Possiamo legittimamente porci la questione di sapere come un popolo sovrano, chi ha fatto la rivoluzione in nome dei diritti umani e del cittadino, ha potuto progettare e realizzare questo annientamento e questo sterminio di parte di se stesso in nome di questi stessi diritti” (ibid.). E’ questa contraddizione fondamentale a dover essere nascosta in quanto servì, per non essere stata riconosciuta e condannata, per legittimare altri terrori da loro compiuti anche in nome del bene? È questo che mantiene questa negazione attiva e virulenta? È anche questo il motivo dei suoi effetti condizioni psicologiche devastanti continuano a indebolire una popolazione sempre più divisa, dall’origine della quale, silenziosamente ma violentemente, sarebbe continuata a minarla e distruggerla a sua insaputa? È per tutte queste domande che aprono questo luogo alla parola finora preclusa dal dolore legato a questo genocidio negato, a tutti coloro che sono vittime inconsapevoli perché eredi di queste morti assassinate, che questo testo sembra fondamentale.
Per quanto riguarda quest’ultimo libro, Vandea. Dal genocidio a memoricidio, ne è la logica continuazione in quanto continua il lavoro di decifrare i meccanismi di questo genocidio partendo dalla scoperta fatta da Renald Secher Archivio nazionale di documenti del tutto inediti. Documenti firmati di mano dagli autori di questi crimini, vale a dire i membri del Comitato di Pubblica Sicurezza e in particolare Robespierre, Carnot, Barrére e altri e che ci permettono di dimostrare di più proprio questa politica di sterminio intrapresa dal potere rivoluzionario contro la Vandea non si limita alla campagna militare delle colonne infernali, ma cominciò ben prima, nell’autunno del 1793.
Inoltre, in una seconda parte, questi stessi documenti ci permettono di introdurre la nozione di memoricidio le dimensioni dell’atemporalità e dell’imprescrittibilità (cfr Hélène Piralian-Simonyan, “Memoricidio: un crimine ancora al lavoro? “) che sono le caratteristiche di tutti i genocidi. Decrittazione che consente di mettere portare alla luce gli effetti devastanti della negazione di ciò Il genocidio nel presente dei cittadini e la necessità del riconoscimento ufficiale che gli conferisce riconoscerebbe il diritto al dolore.
Tuttavia, fino ad ora, le vittime di questo massacro avevano difficoltà a riconoscersi come tali e quindi per chiedere questo riconoscimento, che ha avuto il effetto non solo che questo genocidio resti negato, ma, peggio ancora della richiesta del suo riconoscimento è usato da alcuni pensatori, e non ultimo, come esempio di tali richieste ingiustificate come usurpatori del termine (vedi, tra gli altri, l argomenti di Pierre Nora o Vladimir Jankelevich: www.genocide.fr/documents.htm; consultato il 19/09/12)
Sembra infatti che il genocidio dei Vandeani sia stato il l’unico le cui vittime sono designate come colpevoli, e vivono oscuramente così poiché rivendicarsi vittime equivarrebbe, tra l’altro, designare se stessi, agli occhi degli altri, come nemici della Repubblica e dei diritti della l’uomo. Il che si traduce nel produrre contemporaneamente un investimento eccessivo in genocidi e la necessità di una presentazione quasi permanente di questi per evitare che scompaiano, poiché loro non vengono raccolti o detenuti da alcuna autorità riconoscimento collettivo (vedi il simbolismo del soldato sconosciuto: Jean-François Jagielski, Il Milite Ignoto, Parigi, Ed. Imago, 2005). Questa onnipresenza di genocidi, prodotto di un lutto impossibile, arriva nello stesso momento impedire a questi discendenti di percepirne gli effetti sensitivi attuali distruttivi che genera in loro la distruzione subita dai loro antenati. È questa distruzione che ritorna come un boomerang dentro di noi famiglie, tanto più violentemente man mano che si trovano oscurato i legami di significato che collegano queste disgrazie presente alla massiccia distruzione degli antenati. È mentre, in modo insensato, ritornerebbe l’eternità ai genocidi e alla distruttività verso i loro discendenti.
Il memoricidio mantiene e mantiene questo taglio legami di significato tra passato e presente, il distruzione degli antenati e disgrazie familiari, che diventano incomprensibili. Quindi i soggetti che furono prima decostruiti, distrutti, sconnessi e come strappati alla loro umanità sono i genocidari una seconda volta da parte di questi che sostengono il memoricidio. Perché è l’impossibile realizzazione di un’area di accoglienza collettiva che costituisce il riconoscimento di un genocidio che blocca negazione e mantiene il memoricidio, che consente il la violenza genocida potrebbe ripetersi ancora e ancora.
Di conseguenza, questi discendenti vivono in a una sorta di esilio entro confini invisibili, dove vivono i genocidi, ma anche dove vivono la separazione con loro, cioè il loro lutto, non era possibile. Questo li costringe a fondersi con i loro antenati una temporalità abolita, fissata nel tempo del trauma genocida, dove la differenza di generazioni ma anche quello tra i sessi risulta cancellato in un’indistinzione che li precipita gli uni contro gli altri altri in una prossimità incestuosa, per mancanza di punti di riferimento, quelli costituiti dalla separazione dei viventi e i morti, il succedersi delle generazioni e il proibito dell’incesto. Questo tipo di prossimità può solo portare a dare alla luce lo stesso, quindi eterno sopravvissuti.
Questa violenza può solo essere controllata e scomparire a partire dalla consapevolezza del suo significato rispetto al genocidio come violenza rivolta contro se stessi, di questo che hanno sofferto i loro antenati. Così mettono in scena, incarnano ciò che viene negato, l’unico modo per mostrarlo che non si può dire a se stessi o agli altri.
Che però è un vicolo cieco perché non esiste più visto o sentito, né da se stessi né da altri. Del allora, come sarebbe possibile per questi discendenti di partecipare alla vita collettiva, appartenere a una nazione che nega le morti che ha causato e continua questa negazione da un memoricidio che mantiene, giorno dopo giorno, queste genocidiato fino all’inesistenza. Come potrebbero? senza rinnegare se stessi e diventare complici dei complici dei loro carnefici, cioè i cittadini francesi che attualmente persistono nel sostenere attivamente questo memoricidio? Ecco perché è possibile farlo capire che questa società della Vandea si è ritirata lei stessa sta cercando disperatamente di restare in disparte della cosiddetta società francese, cioè repubblicana, rifiutandone i simboli che, per lei, restituiscono il Vendéens a ciò che è indissolubilmente legato all’origine della loro distruzione. Sarebbe questa compagnia della Vandea? poi una società in lutto ma che non osa per esprimere il suo dolore perché la sua origine sarebbe diventata inconfessabile, perché inammissibile in sola lettura farebbero “gli altri”? Questa è la forza del memoricidio che grava sui discendenti delle vittime del genocidio dei Vandeani e che paralizza il loro pensiero. Infatti, questo rifiuto di vedere e sapere chi tocca il collegamento delLa rivoluzione di questo genocidio è stata senza dubbio pagata prezzo dell’ondata di totalitarismo globale del XX secolo (Stéphane Courtois, “Historiens neorobespierristes e memoricidio della Vandea) su cui questi ultimi erano sostenuti e ciò permetteva di sedersi sia la loro impunità che la loro giustificazione.
Ciò che è essenziale capire è, da a genocidio e altro ancora quando tutti i protagonisti – vittime, sopravvissuti, testimoni e carnefici – sono morti, in ciò che produce la persistenza della distruzione genocida è memoricidio. Ma anche che la società che ne è complice non può che esserlo colpite anche da questa violenza prolungata e non simbolizzato che può poi apparire in esso solo in sacche di violenza il cui vero significato rimane, in specchio della violenza genocida, entrambe inconsce e sconosciuto.
Possiamo allora capire e pensare che siano legittime e necessarie, per la pubblica sicurezza Cittadini francesi come Vendéens, i voti di il disegno di legge presentato all’Assemblea Nazionale volto a riconoscere ufficialmente il genocidio della Vandea e così formulato: “La Repubblica francese riconosce il genocidio della Vandea del 1793-1794” come la legge depositato al Senato che chiede l’abrogazione dei decreti dello sterminio promulgato nel 1793 contro la popolazione della Vandea (su questo argomento si veda La Lettre dell’associazione Vérité per la Vandea, 29-30)?
Recensione di Jean-Clément Martin
Questo volume forte, molto ben illustrato, riprende in un momento in cui si concentrano i dibattiti politici riprendere il riconoscimento dei genocidi e la loro inclusione della legge, le tesi difese da R. Sécher dal 1985. Diverse innovazioni meritano comunque da sottolineare. Il libro è preceduto da G.-W. Goldnadel, che si presenta come presidente di Avvocati Senza Frontiere, e i cui interventi in favore di Israele ma anche le posizioni favorevoli a Le Pen, ed è postfatta da H. Piralian, psicoanalista, discendente degli armeni, studiando le conseguenze di genocidio commesso dallo Stato turco, e infine da S. Courtois, direttore della raccolta, che in particolare ha diretto Il libro nero del comunismo. Con un tale entourage, le tesi difeso da Sécher assumono una dimensione ancora più polemica di quelle che il La pubblicazione del 1985 aveva già avuto. L’altra innovazione arriva da una presentazione ha rinnovato la tesi dell’esistenza di un “genocidio” in Vandea facendo valere “pezzi di carta” che l’autore avrebbe trovato all’ultimo minuto negli Archivi Nazionali e alcuni dei quali sono riprodotti in fac simile.
Dà anche la sua “scoperta” a versione romantica che farebbe sorridere se i “pezzi di carta” non ci fossero stati in parte già pubblicato negli Actes du Comité de Salut pubblico da A. Aulard in fine del XIX secolo e se la lettura dei brani fosse stata effettuata correttamente. Cosa troviamo dentro effetto? Il desiderio di distruggere i briganti e i ribelli senza dubbio, il conferma dei poteri di Turreau da parte di Carnot nel gennaio 1794, ovvero tanti testi conosciuti, già discussi che mostrano come la repressione degli oppositori del La rivoluzione si fece allora, senza che ci fosse l’ordine di annientamento “Vendée” in quanto tale. Inoltre l’autore cita integralmente il decreto del 1° agosto 1793 (cosa che prima non fece) e riproduce in fac simile l’inizio del decreto del 1° ottobre, due testi che ordinano lo sterminio dei briganti della Vandea ma ordinare che donne, bambini, anziani e perfino uomini disarmati essere protetti e portati nelle retrovie dei combattimenti. Come conciliare questi testi citati con l’accusa che è stato ordinato un genocidio, il lettore dovrà dubitarne, a meno che lui non si lascia sopraffare da frammenti di testi decontestualizzati e dalla certezza di l’autore, che è chiaramente lo scopo deliberato di questo libro. È opportuno ritornare su alcune ragioni che si oppongono alla qualificazione del genocidio come Guerra della Vandea.
- La Vandea è nata durante la guerra, prima della guerra non esisteva un’identità “Vandée”. 1793, ma forse dopo il 1814 quando “i Vandeani” furono riconosciuti dal Controrivoluzione. “La Vendée” non ha mai avuto esistenza al di fuori delle invocazioni controversie, sono i limiti territoriali entro i quali doveva essere attuata la repressione è rimasto impreciso.
- La logica dell’esclusione nella Francia rivoluzionaria prende di mira innumerevoli oppositori, raggruppati sotto il termine “briganti”, questo nel retaggio della cultura della violenza proveniente dall’Ancien Régime. Lo stesso termine verrà utilizzato per coprire la repressione militare successiva 1795-1796, in particolare nel sud-est della Francia o in Italia durante la campagna di Bonaparte (per non considerare le campagne dell’Impero). Non c’era alcuna specificità né regionale né temporale.
- Non esisteva alcuna dottrina organizzata attorno ad un progetto ideologico di sterminio “Vendéens”, mentre si creavano fondi destinati a distribuire gli aiuti ai profughi della Vandea nelle regioni circostanti. Più di 10.000 persone e sicuramente più del doppio di coloro che furono salvati per anni interi e anche dopo le esecuzioni de Charette e Stofflet, da parte dello Stato repubblicano, senza che si possa pensare che il I “rifugiati” erano autentici repubblicani, tutt’altro. Than Dry e i suoi prati – e i postfacer non tengono conto di questa realtà ben nota, soprattutto perché il la pubblicazione della tesi di Guy-Marie Lenne su questo argomento lascia senza parole. Se il genocidio La Vandea viene all’Assemblea, bisognerà ancora spiegare il perché della Repubblica assetati di sangue davano così tanti soldi, anche in assegnati, a una popolazione che si supponeva fosse in debito scomparire.
- Nessuna organizzazione materiale sistematica, nessuna pianificazione degli omicidi lo è presenti in Vandea. Ricordiamoci che anche i tribunali eccezionali hanno rispettato i termini della legge. Ci furono molti massacri, distruzioni massicce e atrocità (annegamenti in particolare) commessi da gruppi militanti o truppe poste sotto il comando responsabilità dei rappresentanti in missione o dei generali. Resta il fatto che questi atti non erano nessuno dei due sistematico, né approvato in modo duraturo da tutte le autorità repubblicane e rivoluzionari locali, regionali e nazionali, prima ancora di essere disapprovati formalmente dal gennaio 1794.
- Il silenzio della Convenzione, del Comitato di Pubblica Sicurezza e di Robespierre nei mesi di l’autunno del 1793 e l’inverno del 1794 sollevano interrogativi. Questi uomini lo avevano senza dubbio conoscenza degli eventi accaduti in Vandea. Ovviamente hanno lasciato che questa guerra accadesse liberarsi dalla minaccia interna mentre tutta l’Europa combatteva per la Francia sopprimere il regime politico, ucciderne i leader e punirne i sostenitori. Che c’era un La logica della guerra mortale nel 1793-1794 è una realtà che riguarda entrambi i campi e quale non è riservato alla strategia rivoluzionaria. Tuttavia, va sottolineato che non esiste una politica statale, unanimità nella distruzione, né una definizione delle popolazioni da distruggere. Fare l’avvocato del diavolo, se vogliamo trovare la repressione legata ad un’esistenza regionale, prendiamo in considerazione la deportazione dei baschi del lavoro in 1794.
Alcuni massacri e omicidi dovrebbero essere intesi come crimini di guerra commessi da individui e gruppi scarsamente comandati e scarsamente supervisionati, i loro leader avere la loro parte di responsabilità in questi fatti. Questa qualifica è sufficiente serio, tanto da fermarci a esso e considerarlo nella storia stessa della Rivoluzione I francesi riconsiderano quella che spesso viene vista come una guerra sfortunata. Ma non dovremmo avere solo l’abitudine di attenuare la presentazione delle atrocità legati alla guerra della Vandea sono motivo di radicalizzazione emotiva portando alla conclusione dell’esistenza di un genocidio. Come abbiamo scritto altrove (La Vandea e la Rivoluzione), “il vantaggio indiscutibile dell’utilizzo di questa nozione è […] dare una risposta semplice e veloce per tutte le menti desiderose di comprendere il mondo in bianco e nero. » Oggi più che mai è necessario fare la storia rifiutando il presentismo, la compassione, l’emotività di fronte alle vittime e i preconcetti ideologico. Ma oggi la posta in gioco politica è considerevole, immediata ed è opportuna che la comunità storica faccia sentire la sua voce.


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