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Kaj Munk

Posted by on Set 17, 2025

Kaj Munk

Gianandrea de Antonellis

Il danese Kaj Munk (1898-1944), è stato uno dei più importanti drammaturghi della sua epoca.

Come in altri autori scandinavi (in primo luogo Henrick Ibsen) le sue opere sono caratterizzate da tematiche filosofiche e religiose; affrontò in particolar modo il dibattito della “filosofia sulla vita” che animava il mondo culturale danese del tempo, con la religione contrapposta al marxismo e al darwinismo, proponendo personaggi che lottano con convinzione per i propri ideali.

 

La sua opera di predicatore religioso, articolista e drammaturgo dette tanto filo da torcere alla Germania nazista che per eliminarlo venne inviato appositamente da Berlino, su ordine di Himmler, il gruppo di Otto Skorzeny, il commando autore della spettacolare liberazione di Mussolini sul Gran Sasso d’Italia.

Recentemente, l’editore D’Amico ha pubblicato tre delle principali opere di Kaj Munk.

La Parola o Il Verbo (1925) è incentrato su temi religiosi, mentre gli altri due drammi costituiscono un esempio di “teatro politico”, con un esplicito attacco alla propaganda razzista della Germania nazionalsocialista(Egli –  cioè Cristo – siede davanti al crogiolo, 1938) e con un breve dramma storico (Prima della battaglia di Canne, 1943) che immagina un colloquio tra Quinto Fabio Massimo e Annibale, sotto le cui vesti sono in realtà delineati Churchill e Hitler.

La Parola

Il nucleo del lavoro è la possibilità, attraverso la Fede, di vedere operati miracoli anche ai nostri giorni, una eventualità comunemente (ed ufficialmente) accettata nel mondo cattolico, ma dura da ammettere in quello protestante.

La fede non impedisce a Munk di guardare con occhio critico la religiosità del suo Paese: nonostante egli sia stato cresciuto in ambiente grundtvigiano (una forma meno rigida del luteranesimo, opposta a quella della Missione inter­na, tanto dura da avvicinarsi a certe forme estre­me di calvinismo[1]), Munk dipinge l’avversario del suo ramo confessionale come una figura sì rigida, ma poi disposta a perdonare, mentre il vecchio Mikkel Borgen, fervido seguace di Grundtvig, è mostrato come un uomo talvolta presuntuoso e a tratti addirittura violento, incapace di far perseverare nella fede il proprio primogenito ed inadatto ad affrontare le prove che incontra.

Il testo è pieno di citazioni evangeliche e veterotestamentarie (in tutto una cinquantina), segno dell’attenzione che Munk dava al proprio lavoro: sicuramente l’autore riteneva che la risposta ai perché dell’esistenza dovesse venire più dalla fede e dalla lettura del Vangelo che non dall’astratta speculazione e dalla lettura dei testi filosofici. Ecco perché nella più kierkegaardiana delle opere di Munk, Kierkegaard è citato in maniera secondaria; anzi, alla lettura dei suoi lavori è attribuita la follia di Johannes: un giudizio che viene dal fratello maggiore Mikkel (il giovane, per distinguerlo dal padre).

Da La Parola il regista Carl Theodor Dreyer trasse il proprio capolavoro, Ordet – La Parola (1955), vincitore del Leone d’Oro alla 16ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.

Egli siede davanti al crogiolo

Colui che siede di fronte al crogiolo – di fronte, non sotto, cioè assistendo a quanto avviene dentro al recipiente senza esserne la causa diretta – è Gesù stesso. Il titolo è una citazione del verso di un inno religioso, molto noto in Danimarca. Sostanzialmente, la vicenda si incentra sul libero arbitrio: infatti il dramma si svolge in una Germania nazista che, nonostante le leggi razziali, non sembra ancora inevitabilmente indirizzata verso il precipizio bellico, come a sperare che qualche presa di posizione più ferma degli intellettuali tedeschi avrebbe potuto mutare il corso degli avvenimenti. Importante il ruolo della Chiesa, qui incarnata nel vescovo protestante Beugel (in realtà la chiesa luterana tedesca, a differenza di quella danese, fu più accondiscendente al regime hitleriano di quella cattolica), vista come elemento di razionalità nei confronti dei deliri superoministici incarnati dal professor Dorn, che appare – anche in virtù della propria divisa – più come un politico che come uno studioso.

Prima della battaglia di Canne

Nella sua ultima opera completata prima di morire, Munk immagina un colloquio tra il generale romano Quinto Fabio Massimo ed il comandante cartaginese Annibale: due contrapposte visioni del mondo sono messe a raffronto ed è palese come le differenze ideologiche del terzo secolo avanti Cristo siano una metafora di quelle di ogni tempo e del ventesimo secolo in particolare. Munk ha solo quarantacinque anni, ma sente vicina la propria fine che, infatti, arriverà di lì a poco. Scrive un dramma breve, in cui s’identifica in un vecchio, un nonno con tanti nipotini, prima che un grande condottiero romano: Quinto Fabio Massimo, in cui i critici hanno visto Churchill, individuando Hitler in Annibale. Il Cartaginese è descritto come un uomo che da piccolo che non ha mai giocato – e che non vuole perdere tempo a guardare i bambini giocare –, i cui ricordi infantili sono quelli delle città distrutte dalle guerre e del padre morente in seguito ad una battaglia contro i nemici di sempre, desideroso di riscattare sé e il proprio popolo (una metafora delle umiliazioni del trattato di Versailles?) ad ogni costo.

Fabio parla di Roma come Churchill parlerebbe dell’Inghilterra e Munk dell’Europa cristiana, opponendosi a un fanatismo vitalistico (allora nero, dalla seconda metà del XX secolo divenuto rosso e ai nostri giorni anche verde – non solo in senso islamico – e arcobaleno).

Fondamentale è lo scambio di battute: «Ho cinque figli e tredici nipoti. Mi piace vedere i bambini giocare» sostiene Fabio, dopo aver ricordato l’importanza della sopravvivenza di Cartagine, con cui Roma potrà commerciare; a queste serene parole Annibale/Hitler replica: «Io non sono sposato, non ho né figli né nipoti. Penso di non aver mai visto giocare dei bambini. E poi non sono un commerciante. Il modo di agire che io preferisco non ha niente a che fare con il denaro». Una presa di posizione più aristocratica, indubbiamente, ma meno umana e dalle conseguenze disastrose. La volontà di potenza, aumentata vittoria dopo vittoria, porterà inesorabilmente Annibale alla rovina, e tutto un popolo con il suo condottiero. Ecco il motivo delle “condoglianze” per la vittoria che aspetta i Cartaginesi. Indicativamente, la didascalia finale pone l’accento sul fatto che i passi di Fabio, che si allontana, risuonino «come un esercito in marcia»: Roma sconfitta a Canne è già prefigurata come la futura vincitrice di Zama.

Kaj Munk, Teatro. La parola – Il verbo. Egli siede al crogiolo. Prima di Canne, D’Amico Editore, Nocera Superiore 2025, p. 226, € 14

https://www.damicoeditore.it/d-amico-editore/2296-kaj-munk-teatro.html


[1] Su queste correnti del luteranesimo, cfr. note 1 e 2 del dramma La Parola.

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