Alta Terra di Lavoro

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L’ “oro verde” di Itri in un fumetto di Davide Manzi

Posted by on Mag 24, 2017

L’ “oro verde” di Itri in un fumetto di Davide Manzi

Per le Edizioni D’Arco di Formia, è stato stampato un fumetto di Davide Manzi, un omaggio che il vignettista aurunco rende alla sua terra sul tipico prodotto dell’oliva, invidiatoci da tutto il mondo, molto usato nella cucina itrana. Le olive (grosse, ovali, con polpa abbondante) prodotte nelle campagne e sulle verdeggianti colline hanno delle peculiarità esclusive, sia per gusto che per proprietà alimentari.

Esse sono a duplice attitudine, adatte sia al consumo come “oliva bianca” o “oliva nera in salamoia” al naturale, sia alla trasformazione in olio. Queste olive presentano delle peculiarità organolettiche che trovano confronti solo in rarissimi altri casi del nostro Paese ed in tutto il bacino del Mediterraneo. L’oliva itrana in salamoia è ottima con aperitivi e negli antipasti, utilizzata, come abbiamo già accennato, in cucina per alcuni piatti tipici. Famoso è il suo olio. Ce ne danno conferma tutti i manuali tecnici, i cataloghi agricoli ufficiali, le enciclopedie. L’olio ottenuto dalle polpose olive nere è, dunque, rinomato da secoli. Esso è tipico, mutevole nelle sue caratteristiche con il periodo di raccolta, che si protrae fino a primavera inoltrata, ma sempre di basso contenuto di acidità, essendo le olive prelevate direttamente dall’albero, dal gusto deciso come i terreni accidentati in cui vive la pianta.

Di questo sorprendente tesoro, si approvvigionava il duca Ercole I, della famiglia d’Este, alla cui corte fiorirono il Boiardo, il Guarino e i Tebaldeo, munifico signore, che, pazzo della cosiddetta “oliva di Gaeta”, chiedeva al suo ambasciatore a Roma, Feltrino Manfredi, di procacciargli il gustoso frutto. Era il 14 gennaio 1499, sei anni prima che morisse. L’ambasciatore dovette esaudire la sua richiesta. Il mediatore di pace tra Carlo VIII e la lega degli Stati italiani ripetette la richiesta, dandone l’incarico, questa volta, a Girolamo Sacrati. Non ci sorprende affatto l’interessamento del nobile ferrarese, amante delle lettere e delle arti, ma anche della buona tavola, perché le “olive di Gaeta” prodotte sulle feraci colline itrane, dal gusto particolarmente gradevole, godevano, già allora, di ottima fama. Ercole I si rivolgeva al mercato romano, preferendo l’oliva nostrana a quella pugliese o a quella ligure.

L’ulivo è stato, in tutti i tempi, un albero celebre. I Greci ne facevano serti, con i suoi rami, per fregiarne il capo del vincitore alle Olimpiadi e dei nuovi sposi. Esso era l’emblema del Popolo, di Dio e della Pace. Gli ateniesi avevano consacrato l’ulivo ad Atena o Pallade, che i Latini chiamavano Minerva, dea della sapienza. Rammentiamo che, quando Cecrope ebbe fondato Atene, bisognava dare il nome a quella città. Atena e Nettuno si fecero avanti accampando, ciascuno, il proprio diritto. Gli dei, radunati da Zeus, stabilirono di consacrare l’Attica e di intitolarla a chi, fra i due, avesse fatto all’umanità il dono più utile. Nettuno battè con suo forcone dai tre rebbi la riva del mare e si vide balzar fuori uno sbuffante cavallo. Atena colpì il suolo col ferro della sua lancia ed ecco sorgere un albero dai contorti rami, dalle aguzze e grige foglie, dal rude e nodoso tronco e dalle piccole, brune bacche: l’ulivo.

Gli dei sentenziarono saggiamente che “Atene sia sacra a Pallade perché l’umanità ha più da guadagnare dal mite ulivo, simbolo di pace, che dal cavallo, destinato a tirare i carri di guerra, ed a spandere la morte sui campi di battaglia”.

Alessandro Magno, conquistatore di tutta l’Asia Minore, che era un fanatico dell’ulivo (oh! E’ una passione poco micidiale), aveva bisogno, tutti i giorni, di pezzi di pane annaffiati di olio d’oliva ed accompagnati da una cipolla cruda. E’ emozionante per i semplici di cuore.

In questo breve saggio, nato da un’idea di Osvaldo Agresti, del Movimento Giovanile “Per Itri”, nell’ambito di un progetto che vede la partecipazione delle scuole medie ed elementari di Itri, Davide Manzi fa capire che gli olivi sono una continuità della terra, oltre che rimedi di longevità, di salute (una cucchiaiata di olio prima delle libagioni preserva dall’ebbrezza), perché l’olio di oliva è ricco di vitamine e di minerali, che proteggono dalle malattie cardiovascolari, avendo un’influenza benefica sul tasso di colesterolo.

Detto del prodotto in questione, è da osservare che il talentuoso disegnatore aurunco ha nel sogno la chiave della sua arte, che si sostanzia di antichi ricordi ancestrali, del tempo in cui i valori della Religione, della Famiglia e della Patria avevano un significato spirituale, morale e civile. Di sogni Davide Manzi si è rimpinzato, potendo in quello degli altri e nei suoi impastare l’immaginario e il reale, trovando così le sorgenti dirette del suo universo. E materia da sognare (un’immensa provvista di sogni), egli ne ha. Innanzitutto è nutrito delle opere di Jules Verne, di Robert Louis Stevenson, di Rudyard Kipling, di Herman Merville e di Joseph Conrad. Nelle tavole dei libri precedenti, soprattutto in quello inerente Michele Pezza, alias “Fra’ Diavolo”, c’è una sovrabbondanza di avventure, di esperienze.

Lungo tutta la sua opera, sempre radicata nella propria terra, legata alle sue bellezze vive, splendenti, Manzi ha voluto provare che il fumetto, mestiere che adora, non è che un divertimento, che, però, grazie al tono e al suo modo di disegnare, si eleva al livello della letteratura e della pittura, che si intrecciano quasi in un viluppo inestricabile, con figurazioni incancellabili, create dal sentimento di nostalgia, non coinvolto l’artista nelle convulse forme esistenziali. C’è in Davide Manzi, in ultima analisi, un connubio tra sentimentalità, senso dell’umano e la cultura dell’essere nella sua totalità, soprattutto come aspirazione ad una vita equilibrata, senza troppe discontinuità e contraddizioni, che creano dispersioni, tormenti interiori.

di Alfredo Saccoccio

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