Alta Terra di Lavoro

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La Banda del Matese

Posted by on Ago 30, 2016

La Banda del Matese

pubblicando qualche settimana fa un articolo sul Brigantaggio nel Matese Andrea Ianniello, con cui abbiamo presentato il libro da lui scritto Pietre che Cantano a Fossanova, mi ha inviato un bell’articolo di storia che almeno personalmente non conoscevo che di seguito riporto…

Il tentativo anarchico – che oggi pare o “preistoria”, oppure provenire da un altro pianeta – di “provocare una rivoluzione” (che poi “può prender ben o non”, come si diceva, quasi fosse una pianta …) nei territori del Matese ebbe luogo nella primavera del 1877. Dal 1861 era avvenuta la cosiddetta “unità”, più correttamente “annessione”, del Sud, del Regno delle Due Sicilie. Lo stato delle cosiddette “plebi meridionali” era non certo roseo, di certo peggiore di prima. Questo è storia, ma il “notabilato”, le borghesie locali, erano generalmente favorevoli al “nuovo” corso[1], non poi così nuovo in quanto confermava ed accresceva la posizione di detto “notabilato” locale, con significative eccezioni, ma questa fu la norma (non di Bellini). Lo stato – pessimo – delle già ricordate famose “plebi meridionali” spinse un gruppo d’anarchici a sopravvalutarne l’empito cosiddetto “rivoluzionario” di dette “plebi meridionali” ben note, o ignote[2].

Spinti da ideali internazionalisti, che oggi fanno semplicemente ridere, ma con un entusiasmo di cui oggi non v’è paragone, un ristretto numero di anarchici l’8 aprile del 1877, dopo conflitto a fuoco, di occupare il municipio di San Lupo, e, poi, di Gallo Matese e Letino, proclamando, così, un’impossibile utopica “Repubblica del Matese”. La reazione fu di una violenza incredibile: ben dodicimila soldati si mossero contro questa banda di poche persone (tra cui alcuni nomi noti come E. Malatesta, C. Cafiero, P. C. Ceccarelli, S. M. Kravcinkij). Il tutto si concluse con un processo sommario che oggi sarebbe detto “antidemocratico” e con la fucilazione di alcuni rivoluzionari sognatori nell’agosto del 1878, per aver ucciso un carabiniere ed averne ferito un altro. Da tali accuse furono prosciolti, seppur “a malincuore”[3], E. Malatesta, C. Cafiero e P. C. Ceccarelli.

Le motivazioni della violenta risposta erano chiare: gli stessi novi gruppi dirigenti temevano la ribellione delle famose “plebi meridionali”, che in grandissima parte vivevano nelle campagne, e sostanzialmente non accettavano il “nuovo” corso.

Ambedue si sbagliavano, e di grosso: la ribellione fu anarchica nelle forme, non certo negli ideali, nessuna “Rivoluzione sociale” era all’ordine del giorno, piuttosto la ribellione prendeva forme “legittimiste”. In ogni caso, fa sviluppare molte considerazioni e va vista nell’ambito di quei tentativi anarchici dell’epoca, che fan comprender bene come ogni “sinistra” non possa oggi se non essere inesistente: chi mai lotterebbe oggi “per gli altri”? Si lotta solo e soltanto “per sé”. I “diritti di tutti” non possono sussistere e la retorica “identitarista” troppo spesso nasconde i vuoto che le società occidentali sono diventate.

In una parola: quello fu “un mondo che non fu mai”[4]. E dobbiamo rendercene conto: quelle che vediamo sono le fasi di aggravamento di patologie sociali gravi, che peggioreranno. La cosiddetta “decadenza” – io direi “decaduta” – continuerà, come una spirale di fango che non lasci nulla fuori dalle sue collose spire venefiche.

Il resto sono “narrazioni”.

Ma un passo del libro appena ricordato di Butterworth è interessante.

“Se si osserva quel mondo dalla posizione che costoro [gli anarchici] occupavano ai margini della società, vuoi per scelta, vuoi per malasorte, la cosiddetta Belle Epoque, detta anche ‘età dell’oro’per la sua scintillante apparenza, si staglia in una luce cruda. L’effetto è inquietante, che molti tratti di quello scenario ricordano straordinariamente quelli del nostro tempo, che dovrebbe farci arrossire e destare profondo allarme [che arrossiscano le attuali classi dirigenti è puro pio desiderio e che detto allarme al contrario è giusto, ma lo desta solo su chi ha un minimo di consapevolezza; nota mia]. Vergognose disparità nel tenore di vita tra ricchi e poveri erano acutamente evidenti negli ultimi decenni dell’Ottocento, e in città come Londra spiccavano fianco a fianco: disuguaglianze, peraltro, oggi appena meno sconvolgenti e addirittura più estreme se si considera il villaggio globale. A quei tempi, lo sfruttamento industriale della manodopera e l’avidità dei pochi producevano ingiustizia sociale ed instabilità economica e, d’altro canto, la riluttanza dei politici ad affrontare il pernicioso potere finanziario e societario [questo è rimasto intatto se non accresciuto, nota mia] induceva alla disillusione, anche in quelle che passavano per democrazie; il tutto sullo sfondo di sistemi economici in perenne ondeggiamento tra crisi e crisi, incapaci d’imbrigliare un capitalismo rampante e selvaggio. La religione costituita, screditata dalla scienza, non riusciva a far fronte alla propria perdita d’autorità, mentre c’era chi individuava la maggior minaccia alla spiritualità nella nascente cultura consumistica e nella pubblicità. L’emigrazione di massa metteva alla prova la capacità di adattamento delle culture nazionali e creava un forte internazionalismo frutto di fecondi intercambi. Nel frattempo, in un mondo multipolare foggiato dalla geopolitica di ‘grande potenza’, mutamenti negli equilibri e nei dinamismi economici minacciavano la pace, con alleanze faticosamente stipulate nella speranza d’evitare o di ritardare la deriva verso il precipizio. Si dovrebbe esser estremamente cauti nel supporre che la storia abbia anche solo delle assonanze, tanto meno che si ripeta. Ciò malgrado, le notizie salienti degli ultimi anni, da me spesi nel fare ricerche per questo libro e per scriverlo, mi hanno sempre più lasciato l’impressione che il secolo intercorso si sia in qualche modo ripiegato all’indietro. Dobbiamo davvero sperare di non trovarci anche noi inconsapevolmente catturati in un’analoga deriva mortale e augurarci che le conseguenze più nefaste delle pecche di quel mondo non abbiano a ripresentarsi [cinque anni dopo si lascia ad ognuno “fare il punto” della situazione …, nota mia]. Per tutto il periodo in questione operò un silenzioso, segreto meccanismo d’intrighi e manipolazioni per proteggere lo status quo, proprio come oggi, tuttavia allora come adesso c’era il rischio di non valutare appieno gli effetti imprevisti”[5]. Ed anche questo è come oggi, anche oggi non si son valutati bene questi “imprevisti cosiddetti, questi cosiddetti “effetti collaterali”, davvero pericolosamente pessimi.

Andrea A. Ianniello

 

[1] Si vedano le pubbliche dichiarazioni di sostegno da parte di elementi significativi delle borghesie napoletane all’entrata di Garibaldi in Napoli stessa. Ora, fra queste stesse “borghesie locali”, è di gran voga “fare la ruota” sul proprio passato borbonico: mica nel momento in cui serviva però … Nihil sub Sole novum, per parafrasare l’ Ecclesiaste (Qohelet, in ebraico).

[2] Per la migliore ricostruzione, cfr. B. Tommasiello, La Banda del Matese 1876-1878. I documenti, le testimonianze, la stampa dell’epoca, Galzerano Editore, Casalvelino Scalo (SA) 2009.

[3] Ivi, p. 9.

[4] Cfr. A. Butterworth, Il mondo che non fu mai. Una storia vera di sognatori, cospiratori. anarchici e agenti segreti, Einaudi editore, Torino 2011.

[5] Ivi, pp. XI-XII, corsivi miei.

foto prese dalla rete

 

lapidematese

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