Alta Terra di Lavoro

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La Bandiera Contarina (o vessillo Contarini) II

Posted by on Giu 23, 2022

La Bandiera Contarina (o vessillo Contarini) II

4 – La bordatura esterna verticale attorno al Leone: le panoplie antiche

Invece sul bordo esterno verticale, sia a destra che a sinistra del Leone, è la gloria militare a fare da padrona: si fronteggiano panoplie o trofei bellici romani antichi, intervallati rispettivamente dai tondi con San Domenico (a sinistra) e con San Francesco (a destra).

Quindi bastoni da passeggio degli ufficiali, archi da frecce, armature, loriche romane, spade e scimitarre, asce, azze, tridenti marini di Nettuno, stendardi di guerra. E poi gli strumenti ordinariamente utilizzati dagli artiglieri e dai bombardieri civici sulle navi o sulle fortezze di Terraferma: scovoli, accenditoi per infiammare le micce degli ordigni balistici, cavastracci o cavastoppacci per rimuovere i detriti dall’interno delle bocche da fuoco e cannoni incrociantisi l’uno con l’altro[1].

5 – I tondi con le figure dei Santi: San Domenico di Guzmán e San Francesco di Assisi, fondatori dei grandi Ordini mendicanti

Entrambi i Santi sono rappresentati a mezzo busto, nella bordatura  verticale dello  stendardo  attorno  al Leone, uno a sinistra e l’altro a destra.

Lo spagnolo San Domenico di Guzmán (1170-1221) fondatore del celebre Ordine dei  Frati Predicatori o domenicani, dall’abito e dalla cocolla bianchi, con sopra la cappa nera, era colui che “non parlava che di Dio o con Dio[2]. Qui è effigiato con l’abito da religioso, il giglio e il libro in mano[3], in attestazione della sua purezza di vita e della sua scienza e dottrina.

San Domenico era sì, il Santo Patrono del Doge Domenico Contarini. Ma l’aristocratico veneziano era anche uno dei grandi protettori ed estimatori dell’Ordine, sostenendone apertamente la riforma in senso rigorista ovvero nel senso di un ritorno alla regola originaria di Sant’Agostino.

Inoltre il fondatore dei domenicani fu l’instancabile apostolo della devozione al Santo Rosario, consegnatogli in un’apparizione dalla stessa Vergine Santissima come strumento per la conversione degli eretici Albigesi[4], Rosario che fu l’arma più importante che consentì alla flotta cristiana di vincere e di piegare gli Ottomani a Lepanto, nella battaglia che pose fine, di fatto, alla quarta guerra turco-veneziana[5].

Proprio a Venezia sorge la Basilica domenicana dei Santi Giovanni e Paolo, che ospita le tombe dogali[6] e la cappella del Rosario. Accanto ad essa riposa il Comandante Marc’Antonio Bragadin, mutilato a tradimento, torturato per 12 giorni e infine martirizzato per scuoiamento il 17 agosto 1571 a Famagosta (Cipro) dal Pascià turco, contro tutti i patti, per non avere voluto abiurare alla Fede cristiana[7]. Nella Basilica domenicana dei Santi Giovanni e Paolo si svolgevano i funerali dei Dogi[8] e non per caso Napoleone nel 1810 la colpì, trasformando in ospedale il convento e mettendo sulla strada tutti i frati, ritornati solo in epoca austriaca.

San Francesco d’Assisi (1181-1226) è Patrono secondario di Venezia, fondatore dell’altro grande Ordine di frati mendicanti, insieme  ai  domenicani, quello dei Frati Minori, cui seguirono tutte le varie famiglie francescane. Qui effigiato col saio e le Stigmate[9], San Francesco ebbe il dono singolare da Cristo di essere partecipe delle sue sofferenze durante la Passione, per la salvezza dell’umanità: ne erano segno le Sacre Stigmate impresse su mani, piedi e costato del poverello di Assisi[10].

Santo purtroppo il più equivocato e travisato dalla propaganda progressista, San Francesco era nient’affatto un pacifista stolido, un relativista o un proto-ecologista, quale le ideologie contemporanee e moderniste interessatamente lo dipingono[11]: così, durante la V Crociata, egli si offre di entrare nel fuoco, per dimostrare al Sultano che Cristo è Dio e il Cristianesimo l’unica vera Religione e per indurlo ad abbandonare il Maomettanesimo, ma nessuno dei religiosi islamici se la sente di sostenere la sua sfida[12].

Tra le chiese francescane di Venezia, quella di San Francesco della Vigna, costruita su un progetto del Palladio del 1562, su terreni di vigne fiorenti, donde il nome (e puntualmente demaniata poi da Bonaparte) è importante per la decifrazione della bandiera Contarina e della sua simbologia.

Proprio fra i vigneti di San Francesco della Vigna sorgeva infatti una piccola chiesa, dedicata a San Marco, il quale proprio qui aveva trovato riparo dalla tempesta di mare di cui abbiamo già detto[13]; qui aveva ricevuto l’apparizione angelica e il saluto Pax tibi, Marce, Evangelista meus, assurto poi a motto della Repubblica; qui aveva avuto luogo, inoltre, la contestuale predizione della nascita di Venezia, come sede dove avrebbero trovato riposo le spoglie del Santo, come sopra si è accennato.

6 – La bordatura esterna inferiore attorno al Leone: Sant’Antonio da Padova, la Madonna del Santo Rosario e San Marco

Nella bordatura esterna inferiore, in basso, a sinistra, compare Sant’Antonio da Padova (1195-1231) Dottore della Chiesa[14], chiamato “martello degli eretici[15] e acclamato taumaturgo per i suoi strepitosi miracoli. Portoghese di nascita – era nativo di Lisbona – approdato a Padova — è Patrono secondario di Venezia.

Qui è raffigurato con i tradizionali simboli del giglio e del libro in mano[16], ad attestarne la purezza di costumi, la scienza  e  l’intransigente  difesa  della dottrina cattolica. Il Santo indica col dito il giglio, come ad ammonire sull’importanza di una vita moralmente retta, irreprensibile, nel costante rispetto dei X Comandamenti[17].

Sant’Antonio fu universalmente e meritatamente celebre per i miracoli di bilocazione, di profezia, di resurrezione dai morti: come quando, traslatosi nottetempo in Portogallo, provò l’innocenza paterna nel delitto di cui era ingiustamente accusato, risvegliando dalla morte l’ucciso e interrogandolo davanti ai giudici del tribunale. E persino gli animali senza ragione attestavano la verità della sua predicazione, a confusione degli eretici: si pensi alla mula affamata di Rimini che s’inginocchia davanti all’Eucarestia, rinunziando al fieno; ai  pesci del mare che salgono in superficie ad ascoltarlo, durante la sua famosa predica in riva all’Adriatico[18].

Nel tondo al centro della bordatura inferiore, è la Madonna col Bambino, detta del Rosario, che assicurò il trionfo della flotta cristiana a Lepanto, più delle celebri sei formidabili galeazze venete irte di cannoni, che pure durante la pugna fecero faville. A Lepanto, in Grecia, il 7 ottobre 1571, nella più grande battaglia navale della storia, dove metà del naviglio da guerra dell’intera Europa (204 galee) era veneziano, sui legni cristiani, fra i Comandanti e i semplici marinai e soldati, persino fra i vogatori, e poi nel Dogado e sulla Terraferma, fra le mani del grande Papa domenicano San Pio V,  che fu l’artefice della Lega Santa contro gl’infedeli che minacciavano l’Europa, scorreva la corona benedetta del Santo Rosario, che  fu il pegno di vittoria. Sicché il Senato Veneto proclamò e fece dipingere, in ringraziamento, nella sala delle sue adunanze: “Non virtus, non arma, non duces, sed Maria Rosarii victores nos fecit” (“Non il valore, non l’armi, non i condottieri, ma la Madonna del Rosario ci ha resi vittoriosi”)[19].

Sulla potenza del Santo Rosario, scrisse San Luigi Maria Grignion de Montfort: “Recitate il Rosario intero tutti i giorni. Al momento della morte, benedirete il giorno e l’ora in cui mi avrete creduto[20]. E, ancora: “Anche se foste sull’orlo dell’abisso, se aveste già un piede nell’Inferno, se aveste venduto la vostra anima al diavolo come un mago, se foste un eretico incallito ed ostinato come un demonio, presto o tardi vi convertirete e vi salverete, alla condizione che – e notate bene le parole e i termini del mio consiglio – DICIATE TUTTI I GIORNI IL SANTO ROSARIO FINO ALLA MORTE, per conoscere la verità ed ottenere la contrizione e il perdono dei vostri peccati”[21].

E infine Suor Lucia, la veggente di Fatima (il ciclo di apparizioni mariane più importanti della storia e più certificate di autenticità da parte della Suprema Autorità Ecclesiastica) dichiara: “Non esiste problema, per quanto difficile, di natura materiale o specialmente spirituale, nella vita privata di ognuno di noi o in quella delle nostre famiglie, delle famiglie di tutto il mondo, delle comunità religiose o addirittura nella vita dei popoli e delle Nazioni, che non possa essere risolto dalla preghiera del Santo Rosario. Non c’è problema, vi dico, per quanto difficile, che non possa essere risolto dalla recita del Santo Rosario[22].

Si noti che il Bambin Gesù regge nella manina sinistra la corona del Santo Rosario, che indica contemporaneamente con la destra; il viso del Divino Infante è rivolto verso il rosario e verso i misteri in esso evocati (specie quelli dolorosi) e verso la Santa Croce con cui la corona ha termine. Lo sguardo del santo fanciullo è singolarmente assorto e pensieroso, a contemplare il mistero della sua futura passione e morte per la salvezza degli uomini che vorranno corrispondere a questa immensa offerta della Grazia Divina. Passione e morte simboleggiate appunto dalla croce[23].

Infine, nel rettangolo a destra, in basso, il principale Patrono di Venezia, San Marco (20 dopo Cristo, circa – seconda metà del I secolo) col leone docilmente accucciato ai suoi piedi e che poggia mansuetamente le zampe sul grembo dell’Evangelista, quale segno di soggezione della natura al Santo, ovvero al modello dell’uomo in grazia di Dio, che ha recuperato la primigenia potestà di dominio sulla terra, conferita dal Creatore ad Adamo nel Paradiso Terrestre, prima del peccato originale[24].

Il Santo ha i tradizionali attributi del Vangelo, della penna d’oca e dell’immancabile Leone al suo fianco[25], assurto a simbolo stesso dell’Evangelista e della Repubblica di Venezia.

Il Leone è metafora di San Marco, certo; ma anche simbolo biblico del Cristo[26], quale ricorre in diversi passi del libro sacro. E, infatti, la fiera qui è rivolta con la testa verso l’osservatore. Lo fissa frontalmente negli occhi e con maestosa dignità. Poggia entrambe le zampe sul grembo del Santo, segno di docilità certo, ma anche di protezione e di possesso, a indicare che quello gli appartiene, appartiene a Cristo-Dio e ch’è sotto la protezione dell’Altissimo[27].

San Marco è il Patrono principale di Venezia, insieme con la Madonna Annunziata e con San Lorenzo Giustiniani (1381- 1456). Del resto, ben due Evangelisti su quattro – sarà bene ricordarlo – riposano in terra veneta: l’altro è San Luca, nella Basilica di Santa Giustina, a Padova[28].

Nativo della Palestina, San Marco fu l’evangelizzatore di Alessandria d’Egitto, dove soffrì il martirio, ad opera dei pagani. Prodigioso è l’intrecciarsi con Venezia delle vicende del Santo, in vita e in morte: dalla profezia sulla sua sepoltura in questa città, allorché fece naufragio a Rialto; al suo glorioso Martirio per Cristo in Alessandria d’Egitto; fino alla sua miracolosa traslazione a Venezia; e al suo non meno prodigioso rinvenimento nella Basilica marciana, dov’era stato nascosto in luogo segreto (ad evitare le profanazioni dei barbari) col rischio di perdere la memoria dell’esatto luogo di sepoltura.

Ecco perché le feste marciane sono tre: il 25 aprile, la più importante; il 31 gennaio, festa della traslazione da Alessandria d’Egitto a Venezia del corpo del Santo[29]; e il 25 giugno, festa dell’invenzione (nel senso latino della parola inventio, cioè ritrovamento) dell’urna del Santo, ch’era stata nascosta dentro la stessa Basilica[30].

Viaggiando in nave da Aquileia per recarsi ad Alessandria d’Egitto, su mandato del primo Papa San Pietro, la navicella in cui l’Evangelista era imbarcato, colta dalla tempesta, approdò a Rialto. San Marco trovò ospitalità in una povera capanna di pescatori. Addormentatosi, in sogno gli apparve un Angelo, che gli predisse: “Su questa isoletta, o Marco, un giorno una grande città meravigliosa sorgerà e in questa tu troverai il tuo ultimo riposo e avrai pace. Pax tibi, Marce, Evangelista meus[31].

Scrive il Beato Jacopo da Varazze: “Ma i sacerdoti degli dèi [in Alessandria d’Egitto], accorgendosi che il numero dei fedeli sempre aumentava, tentarono ancora d’impadronirsi di lui. Mentre, nel giorno di Pasqua, Marco celebrava la Messa, lo circondarono, gli passarono una fune attorno al collo e lo trascinarono per la città [Alessandria appunto]. Ed ecco che le carni del Santo cominciarono a cadere a brani ed il sangue a scorrere sul lastricato della strada. Quindi Marco fu chiuso in un carcere, dove scese un Angelo a confortarlo. Anche nostro Signore gli apparve e gli disse: «Pace a te, o Marco, mio Evangelista! Non temere, perché io sono qui per salvarti». La mattina seguente di nuovo fu passata una corda al collo del Santo e di nuovo fu trascinato per le vie della città; mentre così veniva martirizzato, Marco ringraziava Iddio e diceva: «In manus tuas Domine, commendo spiritum meum!» [«Nelle tue mani, Signore, raccomando l’anima mia!»]. Con queste parole sulla bocca spirò: ciò avvenne sotto il Regno di Nerone.

I pagani volevano bruciare quel santo corpo, ma improvvisamente l’aria si turbò e caddero rovesci di grandine con fragore di tuoni e bagliori di folgore. Allora gl’infedeli scapparono, lasciando intatto il corpo di Marco; i cristiani se ne impadronirono e con grande riverenza lo seppellirono in chiesa[32].

Ulteriori miracoli costellano la traslazione del corpo dell’Evangelista a Venezia: “Al passaggio delle sacre spoglie si sparge attorno un insistente profumo; la nave di Buono e di Rustico va a piantarsi velocemente sul fianco di un’altra, i cui occupanti li deridevano, dicendo ch’era stata data loro una mummia e non il corpo del Santo e non si stacca, finché questi ultimi non riconoscono la verità; il salvataggio nella tempesta; gli isolani che vanno incontro alla nave, prodigiosamente avvertiti del trasporto; il demonio che s’impossessa del negatore più ostinato. […] E la preziosa reliquia arriva a Rivo Alto [Rialto]. Le Autorità religiose e civili gli si fanno processionalmente incontro e altri miracoli segnano il sacro trasporto. Mentre ci si avvia per la scala che porta al Palazzo Ducale non c’è neppure il più tenue soffiar di vento, ma il manto che copre il corpo santo si agita come se fosse mosso da un’impetuosa e misteriosa forza e i portatori, cui prima il corpo pesava moltissimo, non fanno più nessuna fatica. Lo si depone in una stanza vicina al palazzo, in attesa di costruirvi la chiesa” [la futura Basilica marciana][33].

Durante l’incendio scoppiato nel 972 in seguito ad una rivolta popolare contro il Doge Pietro Candiano IV […] si era anche perduta ogni memoria circa il luogo ove la preziosa reliquia [il corpo dell’Evangelista] poteva essere stata posta, anche perché esso era stato tenuto nascosto e noto a pochi per paura di un furto. […] I veneziani sono disperati per tale fatto, tanto più che la nuova Basilica è già ricostruita e sarebbe proprio un peccato aver perduto colui per il quale quella reggia era stata fabbricata. Dopo varie e inutili ricerche allora, nel giugno del 1094, il Doge Vitale Falier stabilisce un digiuno di tre giorni con processione solenne nel quarto, perché Venezia possa riavere il suo tesoro. Nei documenti locali è raccontato il fervore del popolo, che invoca con preghiere e lacrime il miracolo. E il prodigio si compie. Le pietre di una colonna «calloprecia» [cioè costruita con più pietre] a poco a poco si smuovono, cadono e lasciano apparire l’arca dove si trovava la salma [e il Santo appare adornato dei paramenti della Santa Messa]. Altri miracoli fioriscono attorno a questo; un profumo meraviglioso che si spande nella Basilica, un’indemoniata guarita al tocco dell’arca, naufraghi scampati da morte sicura, ecc.”[34].


[1] La bandiera Contarina, seconda metà del secolo XVII, il  più bel  vessillo  veneziano giunto fino noi, cit., p. 22.

[2] CELI Domenico, Vita del gloriosissimo Patriarca San Domenico fondatore del Sacro Ordine de’ Predicatori, raccolta dal Padre Fra’ Domenico Celi messinese, professo del Convento di Santa Maria Novella di Firenze del medesimo Ordine, dedicata all’Illustrissimo Signor Marchese Francesco Riccardi, Maiordomo maggiore e del Consiglio di Stato dell’Altezza Reale di Toscana. In Firenze per Piero Matini Stampatore Arcivescovile. Appresso Ottavio Buonaiuti, Libraio all’Insegna di San Domenico. Firenze 1709, p. 11.

[3] L’abito bianco col mantello nero dei domenicani; il cane pezzato bianco e nero che regge fra i denti una fiaccola accesa (dominicani, Domini canes ovvero cani del Signore); e, ancora, il giglio e il libro, il rosario, la stella sulla fronte, l’ostensorio sono i simboli che più frequentemente contraddistinguono San Domenico, raffigurato come giovane frate sbarbato. Cfr. RICCI Elisa (a cura di), Mille Santi nell’arte, cit., p. 178. RECANATI Maria Grazia (a cura di), Repertorio di iconografia cristiana medievale, Istituto Italiano Edizioni Atlas, Bergamo senza data, p. 13. Cfr. pure https://sites.google.com/site/sacroeprofanocaravaggio67/ITA/santi-e-iconografia/santi-e-attributi#M

[4] Ivi, cap. XIV, pp. 39-42. Grignion de Montfort Luigi Maria (San), Il segreto ammirabile del Santo Rosario per convertirsi e salvarsi, § 11.

[5] E la Repubblica di Venezia non lasciò scritto, a perpetua memoria, che a Maria  Santissima del Rosario unicamente [la vittoria] si doveva? Non virtus, non arma, non duces, sed Maria Rosarii victores nos fecit [Non il valore, non l’armi, non i condottieri, ma la Madonna del Santo Rosario ci rese vincitori]”, in GHILARDI Giovanni Tommaso, Sull’importanza della vittoria di Lepanto. Pastorale  di Monsignor Giovanni Tommaso Ghilardi de’ Predicatori, Vescovo di Mondovì. Presso G. Bianco Tipografo Vescovile. Mondovì 1871, p. 4.

[6] PAVANELLO Giuseppe, La Basilica dei Santi Giovanni e Paolo: Pantheon della Serenissima, Marcianum Press Editore, Venezia 2013.

[7] FONTANA Gian Jacopo, Marcantonio Bragadin, eroe veneto. Edizioni della Lanterna. Pordenone 2018, pp. 92-95.

[8] SALVATICO Pietro, LAZARI Vincenzo, Guida artistica e storica di Venezia e delle isole circonvicine. Coi tipi dello Stabilimento Nazionale di Paolo Ripamonti Carpano. Venezia, Milano e Verona MDCCCLII (1852) pp. 119 e seguenti.

[9] Stigmate e Santo Bambin Gesù fra le braccia (ma anche il pesce, il teschio, il lupo e gli uccelli) sono gli elementi iconografici più comuni per designare San Francesco d’Assisi, raffigurato tonsurato, in saio marrone scuro, con la corda annodata in tre punti, cfr. RICCI Elisa (a cura di), Mille Santi nell’arte, cit., p. 252. RECANATI Maria Grazia (a cura di), Repertorio di iconografia cristiana medievale, cit., pp. 14-15. Cfr. pure https://sites.google.com/site/sacroeprofanocaravaggio67/ITA/santi-e-iconografia/santi-e-attributi#M

[10] DAZA Antonio, Descrizione delle Stimmate del nostro Serafico Padre San Francesco, raccolta dal Martirologio e Breviario Romano, da trenta Bolle di diversi Sommi Pontefici, e da dugento Autori, e Santi per il Reverendo Padre Fra’ Antonio Daza, Minore Osservante della Provincia della Santissima Concezione in Spagna. Dal Reverendo Padre Fra’ Daniello delle Rheti di Santa Maria in Bagno, Lettore, e Predicatore Generale de’ Minori Osservanti, Guardiano nel Convento de’ Santi Cosmo, e Damiano al Vivajo, tradotta in lingua italiana. Con l’aggiunta dell’attestazione de’ luoghi in Margine fedelmente rivisti, della Tavola de’ Capitoli, e delle cose più notabili. Con Licenza de’ Superiori, e privilegio. Appresso i Giunti. In Firenze, MDCXXI (1621).

[11] VIGNELLI Guido, San Francesco antimoderno. Difesa del Serafico dalle falsificazioni progressiste. Edizioni Fede & Cultura, Verona 2013.

[12] BONAVENTURA DA BAGNOREGIO (San) Legenda major Sancti Francisci, Caput IX, De fervore caritatis et desiderio martyrii, § 8.

[13] SALVATICO Pietro, LAZARI Vincenzo, Guida artistica e storica di Venezia e delle isole circonvicine, cit., p. 131. Ovviamente anche la chiesetta di San Marco a San Francesco Della Vigna non fu risparmiata dalle demaniazioni napoleoniche e fu abbattuta nel 1810 (ivi).

[14] Proclamato Dottore della Chiesa nel 1946, col titolo di Doctor Evangelicus, da Papa Pio XII. PIO XII, Lettera Apostolica Exulta, Lusitania felix del 16 gennaio 1946, in Acta Apostolicae Sedis 38 (1946) pp. 200-204. Queste le parole iniziali del documento magisteriale: “Exulta, Lusitania felix; o felix Padua, gaude: tantum enim genuistis terrae caeloque, haud imparem micanti sideri, virum”. “Esulta, felice, o Portogallo; rallegrati Padova, perché avete generato alla terra e al cielo un uomo [Sant’Antonio] che non brilla meno di una stella fulgente” (ivi).Si legge nel testo: “Nos, Franciscalium omnium ceterorumque suffragatorum votis ultro libenterque concedentes, praesentium Litterarum tenore, certa scientia, ac matura deliberatione Nostris, deque Apostolicae potestatis plenitudine, Sanctum Antonium Patavinum, Confessorem, Ecclesiae Universalis Doctorem constituimus, declaramus”. [“Noi, sovvenendo ai voti di tutti francescani e degli altri suffraganti, spontaneamente e ben volentieri, a tenore della presente Lettera Apostolica, con Nostra certa scienza e in forza di Nostra ponderata deliberazione e in ogni modo con la pienezza della Nostra apostolica autorità, proclamiamo Sant’Antonio da Padova, Confessore, Dottore della Chiesa Universale”].

[15] DE AZEVEDO Emmanuele, Vita di Sant’Antonio di Padova, taumaturgo portoghese, dell’Abate Emmanuele De Azevedo di Coimbra. Sesta edizione ricorretta e con nuove illustrazioni. Nella Tipografia Emiliana. Venezia MDCCCLII, p. 272.

[16] Gli usuali attributi iconografici di Sant’Antonio da Padova sono quelli di un giovane frate francescano che reca in mano il giglio e un libro. Oppure col Bambin Gesù tenuto fra le braccia; talvolta il Santo tiene un crocifisso fiorito, un pane o ha al fianco dei pesci o un asino inginocchiato innanzi al Santissimo Sacramento, a ricordo dei due grandi miracoli avvenuti a Rimini, quello della predica ai pesci, in riva all’Adriatico e quello della mula affamata che adora l’Eucarestia, cfr. RICCI Elisa (a cura di), Mille Santi nell’arte, cit., p. 60. RECANATI Maria Grazia (a cura di), Repertorio di iconografia cristiana medievale, cit., p. 10. Cfr. pure https://sites.google.com/site/sacroeprofanocaravaggio67/ITA/santi-e-iconografia/santi-e-attributi#M

[17] La bandiera Contarina, seconda metà del secolo XVII, il  più bel  vessillo  veneziano giunto fino noi, cit., p. 35.

[18] Ibidem. DE AZEVEDO Emmanuele, Vita di Sant’Antonio di Padova, cit., pp. 27-28, 30 e 62-63.

[19] La bandiera Contarina, seconda metà del secolo XVII, il  più bel  vessillo  veneziano giunto fino noi, cit., p. 34-35.

[20] Grignion de Montfort Luigi Maria (San), Trattato della vera devozione alla Santa Vergine, cit., n. 254.

[21] Grignion de Montfort Luigi Maria (San), Il segreto ammirabile del Santo Rosario, cit., §§ 1 e 4.

[22] dos Santos Suor Lucia, intervista al Padre Agustin Fuentes del 26 dicembre 1957, cit. in Chiesa viva, ottobre 2002, n. 343, p. 2.

[23] La bandiera Contarina, seconda metà del secolo XVII, il  più bel  vessillo  veneziano giunto fino noi, cit., p. 33.

[24]  Ivi, p. 36.

[25] Leone alato e libro (talvolta la penna d’oca, a indicare ch’è l’estensore di uno dei quattro Vangeli) sono gli attributi iconografici più frequenti di San Marco Evangelista, cfr. RICCI Elisa (a cura di), Mille Santi nell’arte, cit., p. 413. RECANATI Maria Grazia (a cura di), Repertorio di iconografia cristiana medievale, cit., p. 19. Cfr. pure https://sites.google.com/site/sacroeprofanocaravaggio67/ITA/santi-e-iconografia/santi-e-attributi#M

[26]L’interpretazione cristologica del leone si estende a tutti quei passi dell’Antico Testamento in cui la belva è immagine di regalità e forza, pur non avendo in origine alcuna va­lenza simbolica. [Così Sant’Ippolito] riferisce a Cristo (Proverbi 30, 30): «La più forte delle bestie è il leone, che da nessuna bestia è volto in fuga o spaventato»; [tanto che, per Sant’Ippolito, persino] l’uccisione del leone da parte di Sansone (Giudici, 14, 5 e seguenti) diventa allegoria della morte di Gesù, che Sansone-Israele «squarciò come un capretto» cioè alla maniera ignobile dei peccatori e nella cui bocca «fu tro­vato il miele» della predicazione evangelica; la metafora del leone ruggente, davanti al quale tremano lutti gli animali della foresta (Amos 3, 4 e 8) viene trasferita dal Dio d’Israele al Signo­re Gesù, la cui voce è per i santi invito alla salvezza, giudizio di condanna per i peccatori”, SCHIANCHI Giorgio (a cura di), Il Battistero di Parma. Iconografia, iconologia, fonti letterarie. Edizioni Vita e Pensiero. Milano 1999, p. 391. E così il leone — in senso positivo —rappresenta il trionfo di Cristo nell’Apocalisse (ibidem).

[27] La bandiera Contarina, seconda metà del secolo XVII, il  più bel  vessillo  veneziano giunto fino noi, cit., p. 37.

[28] FALASCA Stefania, Luca riposa a Padova, 30 Giorni, n. 11 del 1998, consultabile anche alla pagina web: http://www.30giorni.it/articoli_id_14423_l1.htm

[29] http://venetiae.blogspot.com/2018/01/31-gennaio-festa-di-san-marco-dei-mezeni.html

[30] http://traditiomarciana.blogspot.com/2018/06/la-festa-dellapparizione-di-san-marco.html

[31] La bandiera Contarina, seconda metà del secolo XVII, il  più bel  vessillo  veneziano giunto fino noi, cit., pp. 37-38. Cfr. supra nota 30.

[32] DA VARAZZE (VARAGINE) Jacopo, Legenda Aurea, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1985,   pp. 273-274.

[33] Tramontin Silvio, San Marco, in Culto dei Santi a Venezia, «Biblioteca Agiografica Veneziana 2», Venezia, Studium Cattolico Veneziano, 1965, pp. 54-57.

[34] Ivi, pp. 62-63.

continua……..

1 Comment

  1. Ovvio che la bandirera col leon su sfondo rosso e’ sempre esposta nel Veneto al balcone di tutti i principali edifici pubblici, scuole comprese.. e il 25 aprile (!) anche al mio balcone il giorno di San Marco… qualcuno in giro lo vedo magari abbinato al tricolore…. Il fondo rosso della bandiera era anche sui pennoni delle navi, rosso appunto perche’ fosse visibile in lontanaza e non si confondesse colle acque del mare… in terraferma al rosso si alterna il blu… caterina ossi

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