La Caio Lucilio di Sessa Aurunca Laboratorio Culturale dell’Alta Terra di Lavoro 1^ parte
La Scuola Media, mi piace chiamarla all’antica maniera, Caio Lucilio di Sessa Aurunca da sempre ha un prestigio che anche nel terzo millennio continua ad avere con orgoglio e passione. L’Ass. Id. Alta di Lavoro è fedele testimone che il suddetto prestigio non è frutto di fantasia o di una rendita che viene da un passato glorioso ma di un duro lavoro che ogni giorno il corpo insegnante, il personale non docente e soprattutto i ragazzi non lesinano nell’attività didattica come è accaduto il 21 novembre scorso in cui s’è parlato del Brigantaggio Insorgente. Questa sera cominciamo a pubblicare una delle relazioni che i ragazzi hanno preparato ed esposto lasciando di stucco lo stesso FERNANDO RICCARDI che di seguito potete ammirare.
TOMMASINO
Abbiamo conosciuto la storia di Francesco Tommasino leggendola dal libro di Pasquale De Luca “Antichi racconti sessani”, nell’ambito del laboratorio svolto nelle ore di Storia sul “Brigantaggio meridionale”.
Francesco era stato un giovane timorato di Dio nativo di Tuoro, accusato innocentemente come un ladro; aveva cercato di difendersi da quell’accusa schiaffeggiando il Delegato che non gli credeva, scappando poi per non essere chiuso in una prigione.
Tutta la sua famiglia fu allontanata dal paese e da quel giorno da buono divenne cattivo e fu capobrigante.
Un giorno mentre era sdraiato sotto un albero nel bosco, nella selva di Vallemarina, incontrò Meneca, una giovane sui vent’anni, forte, bionda, con le guance carnose.
Da quel giorno Meneca non tornò più a casa e la madre disse al paese che era ammalata, ma la gente capì e zittì.
Tutte le notti Francesco andava a trovare la ragazza e le regalò un paio di orecchini e degli anelli magnifici. Insieme erano due giovinezze rigogliose, sature di vitalità. Lui in quelle ore dimenticava tutto e si sentiva superiore a tutto il mondo. Meneca, andò, poi, via con lui e ogni giorno lo aspettava con ansia alla finestra per consumare insieme il frugale cibo fatto per lo più di fagioli cotti sul camino acceso.
Francesco era rimasto solo per una questione avuta col capo di un’altra banda, a cui s’era unito con la sua, Fuoco, e lui era stato abbandonato dai suoi compagni vigliacchi, che, per avere diminuita la pena, si erano presentati al Delegato. Ma Francesco aveva tenuto duro come una pietra e andava vagando, affrontando ogni sorta di pericolo. Derideva la giustizia e spesso si vestiva da “pacchiana” per assistere, così camuffato, alla festa dell’Immacolata in mezzo al mercato di Sessa.
Pareva impossibile che quel giovane, che prima viveva pacificamente nel suo villaggio, ora facesse tremare tutta una provincia.
Un giorno, un suo compare si presentò a lui chiedendogli ospitalità perché era evaso dal carcere. Francesco, credendolo incapace di tradire, lo accolse nella sua casa e da allora andarono per i campi. Su Francesco c’era una taglia, e il traditore non aspettava che il momento per sorprenderlo.
Un pomeriggio Francesco si sentiva stanco, sfinito per il lungo cammino fatto la notte precedente. Era stato a Tuoro per rivedere il suo mulino, la sua casa in cui aveva passato tanti momenti felici. Quella sera gli sembrava più bello tutto. Ma come mai? Aveva ricordato i mementi felici con la madre, con Angela-Rosa, il suo primo amore e una lacrima gli spuntò negli occhi.
Una civetta fece udire il suo malaugurato gemito. Un sinistro presentimento gli ronzava negli orecchi. Raccomandò al compare di sorvegliare bene, si sdraiò per terra e si addormentò. C’era un’afa densa tra le messi ondeggianti al sole. Finalmente il compare lo aveva nelle sue mani.
Egli dormiva di un sonno profondo e il traditore già sognava la taglia che avrebbe ricevuto. Si accostò a Francesco, si impadronì del fucile, appoggiò le canne al petto di lui e due colpi rimbombarono sordamente. Francesco, stordito, incerto tra il sonno e la morte, sbarrò gli occhi e cercò il fucile, ma emettendo un ultimo grido, boccheggiò.
Per la 3C
Emma Kalista D’Angelo