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La calabrese più potente della Volkswagen (e dell’industria automobilistica europea)

Posted by on Lug 3, 2021

La calabrese più potente della Volkswagen (e dell’industria automobilistica europea)

Da ascoltare La donna più potente della Volkswagen parla calabrese. Non italiano, «dialetto calabrese» puntualizza Daniela Cavallo in un’intervista al settimanale tedesco Zeit. È la rivendicazione orgogliosa di un’appartenenza sociale oltre che nazionale.

Perché Cavallo, che da aprile è la nuova presidente del consiglio di fabbrica del Gruppo Volkswagen (l’organismo che rappresenta gli oltre 600 mila dipendenti della società in tutto il mondo e in virtù del sistema dualistico con cui viene governata l’azienda contribuisce a sceglierne i vertici), lo ha imparato dai genitori, immigrati per lavorare dalla Calabria a Wolfsburg, dove ha sede la Volkswagen e dove lei è venuta al mondo 46 anni fa. A loro deve anche la sua cittadinanza che, nonostante sia nata e cresciuta in Germania, è ancora e soltanto italiana (alla Zeit spiega che la procedura per aggiungervi quella tedesca è da poco in corso).

La sua ascesa ai vertici dell’azienda è dunque iniziata dal grado zero, quello del padre e della madre, operai immigrati. «I miei genitori hanno sempre parlato molto di cosa significasse per loro venire in Germania da un piccolo paese del sud Italia, per ricominciare qui, anche se prima o poi volevano tornare in Italia» racconta (alla fine non lo hanno fatto, perché patria è dove crescono i figli, e adesso «hanno tutta la loro vita qui in Germania. Wolfsburg è la nostra casa», dice Cavallo, usando la parola tedesca Heimat, che indica la patria come luogo degli affetti).

«Mio padre è arrivato a Wolfsburg e ha imparato solo passo passo la lingua tedesca. È stato lo stesso per mia madre, più tardi. In casa si parlava l’italiano del dialetto calabrese. Ho imparato il tedesco all’età dell’asilo» spiega. Lei a scuola era brava, «anche se i miei genitori non potevano aiutarmi molto». E anche se ha dovuto superare i pregiudizi con cui — ovunque nel mondo — si scontrano i figli dei migranti. Nessuno l’ha mai chiamata con gli insulti tipicamente diretti agli italiani, «Spaghettifresser» («divoraspaghetti», con il termine usato per indicare il cibarsi degli animali), o «Messerstecher» («infilacoltello», un riferimento alla supposta propensione alle risse degli immigrati italiani), che erano termini riservati ai maschi. Ma al liceo era «esotica», perché la maggior parte dei figli di italiani all’epoca frequentava le scuole professionali, o tutt’al più gli istituti tecnici, non certo i licei che preparavano per l’università. E alcuni insegnanti le hanno chiesto se i suoi genitori permettevano davvero «che una ragazza con origini immigrate arrivasse alla maturità». Chissà se quegli insegnanti oggi si immaginano quanto sono fieri oggi i suoi genitori, perché la figlia non è arrivata solo alla maturità, ma anche alla laurea e ai vertici di una delle aziende più importanti della Germania. E quindi dell’industria automobilistica europea e mondiale.

Solo quando è diventata più grande e tutto «era ormai finito», il padre le ha raccontato «come i giovani italiani nei primi anni venissero sempre evitati». Gli è stato detto, per esempio, che «non dovevano mai molestare le nostre donne tedesche» ricorda adesso Daniela Cavallo. Anche se non le “sapeva”, lei queste cose le ha respirate. Perciò è convinta che i luoghi di lavoro siano fondamentali per disinnescare questo tipo di dinamiche distruttive. L’integrazione di suo padre e della sua generazione sul posto di lavoro «è andata più veloce — racconta —. Si aveva un compito comune e si poteva parlare, si sviluppavano amicizie. Questo mi dimostra quanto sia importante il lavoro per l’integrazione. Si è costretti ad avvicinarsi, mentre in privato ci si può evitare».

Cavallo, anche per il suo ruolo, tiene molto alla sua indipendenza politica: non ha mai aderito a nessun partito («Mi identifico molto bene con i valori che incarna la socialdemocrazia. Sono prima di tutto una sindacalista, una rappresentante dei lavoratori, e nel corso degli anni ho scoperto che è molto importante dialogare con tutti i partiti politici» spiega). Ma ce n’è uno con cui non parla: l’Afd, il partito tedesco di estrema destra, che fa dell’ostracismo degli stranieri uno dei cardini della sua politica. «È così in tutta la nostra azienda», aggiunge.

Cavallo però sa che moltissimi dei lavoratori che lei rappresenta votano AfD, non solo nella Germania Est. E capisce le ragioni per cui lo fanno, pur ritenendole sbagliate. Le riassume così: «Fondamentalmente, percepisco una grande insicurezza tra molte persone. Nell’industria automobilistica, dobbiamo affrontare problemi come la trasformazione nell’elettromobilità e nell’era digitale, di cui tutti parlano. Nel frattempo molte persone pensano che “trasformazione” sia una parolaccia, non vogliono più sentirla. Troppo spesso le aziende stesse parlano solo di tecnologie, di motori a energie alternative, di obiettivi climatici da raggiungere e di digitalizzazione. Parlano poco di come preservare i posti di lavoro. Tutto questo fa sentire i dipendenti insicuri, perché sentono ogni giorno dai media che il contenuto dei loro attuali lavori viene completamente messo in discussione. Quindi posso immaginare che alcuni di loro si stiano muovendo nella direzione dell’AfD. Lì i politici fanno promesse molto semplici. “Vogliamo preservare il diesel” è una di queste. Fornisce una sicurezza apparente. Ma poi non hanno piani e idee su come dovrebbe funzionare. Tutti noi, nel consiglio di fabbrica, nel management e nella politica, dobbiamo fare in modo che questo cambiamento non si ritorca contro di noi. Dal mio punto di vista, è davvero una questione socialmente esplosiva».

Dentro c’è la sfida epocale che Cavallo è chiamata ad affrontare nel suo ruolo di rappresentante dei lavoratori di un’azienda globale in un mondo globalizzato. In un mondo sempre più de-contestualizzato dall’avanzare delle nuove tecnologie, la sua storia così concreta di figlia di migranti e operai («so esattamente cosa significa crescere in circostanze umili») le dà qualche attrezzo in più per affrontarla.

Elena Tebano

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1 Comment

  1. Che bella figura!..uscita da un’Italia umiliata nelle sue terre insanguinate per domarla ad una fantomatica illusoria unita’ che alla fine costrinse molti ad emigrare per sopravvivere… ed oggi leggiamo questa notizia con soddisfazione immensa, perche sentiamo riemergere con tutti i suoi valori l’anima piu’ profonda delle sue genti! Quanto dolore e quanto coraggio…lasciare la propria terra e sperare di costruirsi altrove una vita dove poter esprimere se stessi, le proprie energie, le proprie speranze’…
    Tutti se la sono portata nel cuore la propria patria, la terra di origine, splendida… ma ai piu’ era diventata purtroppo matrigna. caterina ossi

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