LA CANZONE NAPOLETANA DAL 1799 AL 1887
Per lungo tempo, il repertorio tutt’oggi conosciuto col nome di “canzone napoletana”, ha mescolato forme di epoche differenti, rendendo comunque possibile ai giorni nostri la sopravvivenza di canzoni anche molto antiche, rivisitate dai cantanti di “genere”.
La ricerca sulle tradizioni popolari degli anni 60 e 70 ha cercato di dimenticare il retaggio ottocentesco (da salotto), ignorando però come proprio esso abbia contribuito a tramandare per iscritto molte delle preziose canzoni di cui questa incisione si occupa.
A parte pochi casi, sono qui presenti composizioni di fonte scritta frutto di quel fermento tutto napoletano legato alla editoria musicale, che ebbe inizio con i francesi Girard e Cottrau e che si amplificò, lungo tutto l’ottocento, sino ad arrivare ai noti Bideri e Ricordi.
Simbolo forse di una transizione storica, questo cd percorre un secolo di canzone napoletana; dalla fine del settecento agli ultimi anni del ottocento. La scelta è volutamente circostanziata da fatti e documenti che testimoniano la nascita e lo sviluppo di un genere tutto partenopeo che, dall’anonima arietta Si tu nenna, ci porta sino ai monumenti della poesia in musica dell’ultimo quarto dell’ottocento di cui Di Giacomo e Costa sono di certo i più alti rappresentanti.
Si diceva quindi dell’importanza dell’editoria musicale a Napoli; essa contribuì nettamente dapprima alla riscoperta e messa alle stampe di un repertorio prettamente orale e poi allo sviluppo della canzone d’autore. A Bernard Girard e Guillaume Cottrau (entrambi francesi) si deve lo sforzo di tramandare reperti musicali di origine popolare che, attraverso le loro mani, si trasformarono in arie da salotto e divenenendo la base di un genere canzonettistico che avrà un respiro internazionale. Sono qui presenti diversi esempi tratti dall’edizione del 1824 e 1825 raccolte nei “Passatempi Musicali” pubblicati proprio a Napoli. Le canzonette e le calascionate qui proposte partono dall’arrangiamento armonico suggerito da Cottrau nella parte per pianoforte e sono rielaborate secondo un criterio più consono allo strumento di accompagnamento scelto, in questo caso la chitarra.
I brani selezoinati sono: Tu m’aie prummise, Cannetella, Fenesta vascia, La Fattura e Né né Guè Guè trabotta. Certamente molto più antichi dell’epoca in cui vennero pubblicati, sono il punto di contatto con la tradizione popolare sebbene qui rispecchino già uno stile più romantico.
Il caso di Si tu nenna è interessante: probabilmente un’arietta del teatro buffo, è riconducibile alla fine del settecento; il canto era conosciuto anche con un primo verso parodistico che recitava: Carulì si m’amave n’aut’anno. Sarebbe riconducibile quindi ai moti rivoluzionari napoletani (1799) e con un primo verso riferito a Maria Carolina di Borbone. La versione viene proposta tiene presente della grande popolarità che il canto ottenne nell’ottocento, testimoniata anche dalle variazioni per chitarra scritte a Mauro Giuliani (1781 – 1829) su questa canzone.
Certamente al teatro musicale napoletano si deve la nascita di alcune ariette che divennero veri successi; è il caso di Palommella, che è ciò che resta dell’opera Molinarella di Nicola Piccinni rappresentata a Napoli nel 1766. Questa aria, cantata dal personaggio “Brunetta”, rimase nell’orecchio ai napoletani al punto che, Domenico Bolognese a metà del secolo successivo darà alla luce una personale rielaborazione che, per noi, resta l’unico reperto scritto di questa canzone.
Lo stesso si potrebbe pensare della breve aria La nova gelosia che ha per noi un interesse dovuto anche alla tematica della finestra che avrà un suo filone nelle serenate ottocentesche (si veda Fenesta vascia, Fenesta ca lucive).
Tra i brani forse più importanti della prima metà dell’ottocento troviamo Te voglio bene assaje; è certamente la prima canzone d’autore del repertorio napoletano dell’ottocento. Conosciamo il creatore dei versi, l’ottico Raffaele Sacco, meno sappiamo del compositore musicale (si pensa a Gaetano Donizetti?). Con questa canzone scritta nel 1835 si apre la napoletanissima tradizione di presentare il 7 settembre, durante la festa della Madonna di Piedigrotta, nuove canzoni scritte durante l’anno. È il caso di questo brano che ebbe una notorietà incredibile e che suscitò addirittura polemiche sui quotidiani dell’epoca al suono di sferzanti litigi tra sostenitori e polemici critici verso l’esasperante notorietà del canto. Fu stampato un foglietto in cui un anonimo gentiluomo scrisse: per ogni strada o vicolo – quel canto mi sgomenta – e, caso tremendo, insopportabil è. – Giovani, vecchi, bamboli – ognun convien che abbai: – Te voglio bene assai – e tu non pensi a me.
Ma la celebrità del caso che giunse fino nelle stanze dell’alto clero contribuì alla sua fama al punto che ne nacque una versione con testo religioso dal titolo: L’uomo e Dio. Il successo di questa canzone fruttò una discreta fortuna anche all’editore, si dice che ne furono stampate oltre 170.000 copie.
Di certo con questa canzone ha inizio la scalata e la nascita di talenti noti e osannati dal popolino e dalla borghesia; assume un ruolo di prestigio la figura dell’autore – poeta a cui si accostano i compositori musicali che da Teodoro Cottrau a Raffaele Costa contribuirno ai grandi successi di questo genere musicale.
Quando, nel 1849, morì Guillaume Cottrau era già in piedi una casa editrice di questa famiglia che passò nelle mani del figlio Teodoro (“il francese di Mergellina”); questi fu attivo editore a al tempo stesso compositore, diede vita al periodico L’eco del Vesuvio che restò in vita fino al 1870. A lui si deve una notissima canzone ancor oggi conosciuta in tutto il mondo: Santa Lucia; pubblicata nel 1850, tutt’oggi riecheggia nei carillon venduti a Napoli. La melodia prende forse spunto dall’aria Com’è bello, quale incanto dalla Lucrezia Borgia di Donizetti. La versione proposta è quella con i versi originali in lingua napoletana che però all’epoca vennero presto sostituiti da quelli in italiano di Enrico Cossovich con cui oggi è ancora conosciuta la canzone.
Si arriva così a toccare il più famoso dei poeti napoletani: Salvatore Di Giacomo (1860 – 1934); autore che insieme al compositore Mario Costa meriterebbe un volume a se, viene qui ricordato con due canzoni che sono pietre fondamentali del repertorio di ogni cantante che si rispetti. Era di Maggio uscita per la Società Musicale Napoletana nel 1885 sarà un clamoroso successo che forse contribuì a dimenticare la drammatica epidemia di colera che aveva afflitto la città un anno prima. Il caso invece de La luna nova scritta nel 1887 dimostra la passione del pubblico napoletano verso quest’autore; infatti questa canzone inserita in una rappresentazione del 1887 voluta dall’impresario Persico per il teatro La Fenice, fu l’unico brano che si salvò dai fischi del pubblico accorso alla prima di quella disastrosa piece. Questa canzone uscì per i tipi della Società Musicale Napoletana divenendo la canzone preferita di Papa Leone XIII che spesso la fece suonare in Vaticano.
Nell’affrontare una incisione di canzoni napoletane ci si è posti come traguardo quello di un certo rigore filologico, sia nel canto che nell’esecuzione delle armonie. La scelta della chitarra come unico strumento di accompagnamento vuole essere un omaggio ad un tipico esecutore del repertorio del passato: il posteggiatore, capace di cantare accompaganndosi alla chitarra. La scelta degli strumenti d’epoca ci aiuta a riportare in vita il suono del tempo, con un tipo di prassi di desunta dai compositori per chitarra del primo ottocento, tra tutti il pugliese Giuliani e il napoletano Ferdinando Carulli (1770 – 1841), di cui sono presenti alcune composizioni per strumento solo. Non di meno la scelta di introdurre o interpolare le canzoni con brani per chitarra di questi autori offre la possibilità di far ascoltare preludi o variazioni altrimenti de-contestualizzate in un lavoro esclusivamente chitarristico. Il tutto è stato eseguito su strumenti originali* e con tecnica in stile (ad esempio l’uso del mignolo della mano destra appoggiato sul piano armonico come in uso per la chitarra barocca).
Stefano Albarello
fonte
http://www.stefanoalbarello.com/Echo%20del%20Vesuvio.htm