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La chiesa della Certosa di San Martino: una breve guida pratica

Posted by on Apr 2, 2022

La chiesa della Certosa di San Martino: una breve guida pratica

La Certosa di San Martino fu voluta da Carlo d’Angiò, primogenito del re Roberto, e la sua realizzazione venne affidata nel 1325 all’architetto senese Tino da Camaino, trasferitosi l’anno precedente a Napoli al servizio della corte angioina, collaborato dall’architetto napoletano Francesco De Vito. I lavori dopo la morte di Tino da Camaino nel 1336 furono continuati da Attanasio Primario e Balduccio de Matha e furono completati nel 1368.

La struttura, però, venne completamente rinnovata tra il Cinquecento ed il Seicento ad opera del toscano Giovanni Antonio Dosio e di Cosimo Fanzago. Il primo fu attivo nella Certosa dal 1589 al 1609, anno della sua morte, mentre il secondo, al quale si devono gli interventi più significativi, vi lavorò dal 1623 al 1656. Il grande architetto bergamasco ridisegnò quasi tutto, dando al complesso l’inconfondibile impronta del suo genio e facendone uno dei gioielli del Barocco napoletano.

Alla Certosa si accede da largo San Martino, sul quale affaccia anche la piccola Chiesa delle Donne, disegnata da Giovanni Antonio Dosio negli ultimi anni del Cinquecento. Un portone monumentale immette nel cortile, opera di Giovanni Antonio Dosio, sul quale affaccia la chiesa, il cui ingresso è preceduto dal pronao, realizzato da Cosimo Fanzago nel 1631 ed affrescato da Belisario Corenzio, Giovanni Baglione e Micco Spadaro. La chiesa, che è un’incomparabile raccolta di opere d’arte, si presenta con una navata unica e con tre cappelle per lato. Vi sono, però, altre due cappelle, alle quali si accede dalla prima di destra e dalla prima di sinistra, che non sono visibili dalla navata centrale. Il pavimento in tarsie di marmo è una pregevole opera del frate Bonaventura Presti e fu realizzato tra il 1664 ed il 1667. Gli affreschi della volta, dipinti da Giovanni Lanfranco attorno al 1640, ebbero grande risonanza e divennero un riferimento obbligato nei decenni successivi per gli artisti impegnati nella decorazione delle chiese. La prima cappella di destra, la Cappella di Sant’Ugo, affrescata da Belisario Corenzio, conserva due tele di Andrea Vaccaro e presenta sull’altare la Vergine tra Sant’Ugo e Sant’Antelmo di Massimo Stanzione. Da questa cappella si accede alla Cappella del Rosario, come detto non visibile dalla navata, elegante realizzazione settecentesca del poliedrico Domenico Antonio Vaccaro. Passiamo, quindi, alla seconda cappella di destra, dedicata a San Giovanni Battista, che, come quella di fronte, fu realizzata da Cosimo Fanzago attorno al 1630. In questa cappella, decorata con un ciclo di affreschi di Massimo Stanzione, vi sono due tele dello stesso Stanzione, due tele di Paolo De Matteis e sull’altare il Battesimo di Cristo, dipinto dal romano Carlo Maratta nel 1710. La cappella successiva, dedicata a San Martino, verso la metà del Settecento fu oggetto di un radicale intervento ad opera di Nicola Tagliacozzi Canale e Giuseppe Sanmartino. Caratterizzata da un importante ciclo di affreschi di Paolo Finoglio, conserva due tele realizzate attorno al 1733 da Francesco Solimena e il San Martino con angeli di Battistello Caracciolo, collocato sull’altare.   

Continuando nella visita, incontriamo la stupenda balaustra dell’altare, realizzata nel 1761 da Nicola Tagliacozzi Canale e Giuseppe Sanmartino. L’altare maggiore, in legno dorato ed intarsiato, è stato disegnato da Francesco Solimena ed è decorato con due angeli reggifiaccola di Giuseppe Sanmartino. In corrispondenza dell’altare, sulla destra, vi è la porta di accesso all’elegante Coro dei Conversi, realizzato su progetto di Cosimo Fanzago, affrescato da Micco Spadaro e arredato con stupendi stalli lignei cinquecenteschi, che in origine erano nel coro della chiesa. Dal Coro dei Conversi si accede alla Cappella della Maddalena, piccolo e raffinato ambiente settecentesco, sul cui altare è conservata un’intensa rappresentazione della Maddalena, opera di Andrea Vaccaro.

Tornati nella chiesa, alle spalle dell’altare troviamo il coro, lungo le cui pareti sono quaranta stalli lignei in radica di noce intagliato, realizzati nel Seicento. La volta fu affrescata da Giuseppe Cesari, noto come il Cavalier d’Arpino, e dal fratello Bernardino Cesari. Nella parte superiore delle pareti sono cinque grandi tele, delle quali quattro sono veri e propri capolavori, la Lavanda dei piedi di Battistello Caracciolo, la Comunione degli Apostoli di Jusepe de Ribera, l’Adorazione dei pastori di Guido Reni e i Preparativi per l’ultima cena di Massimo Stanzione. Sulla parete di fondo sono due sculture, la Vita contemplativa di Giovanni Battista Caccini e la Vita attiva diPietro Bernini, che fu molto attivo nella Certosa. Questo artista, nato a Firenze nel 1562, visse a Napoli tra il 1584 ed il 1606 ed infatti il figlio Gian Lorenzo, che poi sarebbe diventato il massimo esponente del Barocco a Roma, nacque nella nostra città nel 1598. La seconda porta sulla destra del coro conduce alla Sala Capitolare, anche questa rivestita di stalli lignei del Seicento, che conserva un ciclo di affreschi di Belisario Corenzio e tele di Battistello Caracciolo, Massimo Stanzione, Paolo Finoglio, Simon Vouet e Francesco De Mura. Da questa sala, attraverso un piccolo ambiente affrescato da Bernardino Cesari, si accede al Parlatoio.

Passiamo ora al lato sinistro della chiesa e dal coro accediamo alla sagrestia, che è decorata con affreschi sulla Passione di Cristo di Giuseppe Cesari e che è arredata con pregevoli armadi di legno intarsiati, realizzati alla fine del Cinquecento. Sulla controfacciata è la Crocifissione di Giuseppe Cesari, mentre sull’arco della parete di fondo si può ammirare il dipinto Gesù che esce dalla casa di Pilato, realizzato da Massimo Stanzione con la collaborazione di Viviano Codazzi. Dalla sagrestia si passa ad un piccolo vano, affrescato da Massimo Stanzione e Paolo De Matteis, che conserva due tele di Luca Giordano ed una tela di Andrea Malinconico. Da questo locale si accede alle sale del Tesoro Vecchio e del Tesoro Nuovo, nelle quali erano conservati i preziosissimi reliquari, gli argenti e l’oreficeria del convento, in buona parte requisiti alla fine del Settecento per rinsanguare le casse dello Stato. Nel Tesoro Nuovo si conservano due gioielli della pittura napoletana, l’affresco sulla volta Il Trionfo di Giuditta, realizzato da Luca Giordano nel 1703, e la struggente Pietà del Ribera, collocata sull’altare.

Tornando nella navata centrale, incontriamo la terza cappella di sinistra, la Cappella dell’Assunta, che deve il suo aspetto attuale, come quella di fronte, all’intervento settecentesco di Nicola Tagliacozzi Canale e Giuseppe Sanmartino. Gli affreschi sono di Battistello Caracciolo e le tre tele esposte sono di Francesco De Mura. Da questa cappella si accede alla Sagrestia Vecchia, decorata con affreschi di Belisario Corenzio, che conserva sull’altare il San Nicola ed il garzone Basilio di Pacecco De Rosa. La seconda cappella, dedicata a San Bruno, è simile a quella di fronte dedicata a San Giovanni Battista. Realizzata dal Fanzago attorno al 1630, per l’eleganza e la raffinatezza del lavoro divenne un modello seguito fino alla fine del Seicento. Di grande rilievo è il ciclo di pitture e di affreschi che conserva, eseguiti da Massimo Stanzione. La cappella successiva, quella di San Gennaro, fu affrescata da Battistello Caracciolo e dello stesso autore sono le due tele sulle pareti laterali, mentre le sculture ed il bassorilievo sull’altare sono di Domenico Antonio Vaccaro. Da questa cappella, che è la prima di sinistra, si accede, come dalla prima di destra, ad una cappella non visibile dalla navata, la Cappella di San Giuseppe, che è decorata con pregevoli stucchi dorati di Domenico Antonio Vaccaro e conserva cinque tele di Paolo De Matteis. Sulla controfacciata della chiesa troviamo un altro capolavoro, la Pietà di Massimo Stanzione, e ai suoi lati sono due tele di Jusepe de Ribera, che raffigurano Mosè ed Elia.

Terminata la visita della chiesa, si torna nel cortile e da questo si passa al Chiostro dei Procuratori, realizzato da Giovanni Antonio Dosio, che ricorda il chiostro piccolo del Convento dei Gerolomini, opera dello stesso architetto. Da qui si accede agli altri ambienti del convento, nei quali è ospitato il Museo Nazionale di San Martino. Nato nel 1866 come museo civico, raccoglie testimonianze della cultura, dell’arte e della storia di Napoli, provenienti da enti pubblici, da donazioni, da chiese, o da altri musei.

Sul lato sinistro del chiostro si apre un corridoio, dal quale si accede alla nota sezione presepiale, collocata negli ambienti dove erano le cucine. Il pezzo più famoso di questa sezione è il presepe Cuciniello, così chiamato dal collezionista che nel 1879 lo donò al Museo, ma di grande pregio è anche il delicato gruppo proveniente dalla Chiesa di San Giovanni a Carbonara, commissionato nel 1478 da Jaconello Pepe agli scultori Pietro e Giovanni Alamanno. Insieme ai presepi sono conservati anche pezzi singoli, alcuni dei quali sono piccoli capolavori, opere non secondarie di grandi scultori del nostro Settecento, quali Matteo Bottigliero e Giuseppe Sanmartino.

Enrico Fagnano

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