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La condizione delle donne nel Liber Augustalis

Posted by on Apr 8, 2017

La condizione delle donne nel Liber Augustalis

La considerazione che Federico II aveva delle donne si può ritrovarla bene espressa nel Liber Augustalis, sotto forme giuridiche, relative a reati o situazioni legalmente rilevanti.

L’aspetto giuridico non è l’unico per leggere il ruolo che le donne avevano nel regno di Sicilia ai tempi dell’imperatore, ma è quello fondante per una serie di garanzie e limiti che connotano tale ruolo o almeno quello che il sovrano legislatore voleva.

L’epitome o abbreviatio in volgare del capolavoro federiciano, scritta nel XV sec. da Ippolito Lunense su disposizione di Diomede Carafa, conte di Maddaloni, ministro, consigliere e factotum del re di Napoli Ferdinando d’Aragona, è stata scoperta nel 1989 da Domenico Maffei nella biblioteca del castello di Peralada, nei pressi di Figueras, in Catalogna, ove l’illustre studioso e giurista ebbe la segnalazione del codice n. 35.870 dalla cortesissima bibliotecaria Inés Padrosa y Gorgot. Nell’introduzione all’opera, stampata dagli editori Laterza di Bari nella collana “Fonti e studi” del Centro europeo di studi normanni nel 1995, Maffei scrive:

Ormai giunto alla “terza età” io tento […]  di legare le mie sorti di ricercatore anche a vicende alla cui considerazione sono rimasto estraneo per lunghissimo tratto della mia vita.

E specifica:

Non che io, nato ove son nato, potessi ignorare il nome del rifondatore della mia città natale, Altamura, dal sovrano dotata di una stupenda cattedrale, e geograficamente collocata al centro di un mondo con il quale egli ebbe commercio forse più intensamente che con altri del suo grande impero. Federico II li è ancora vivo nella tradizione popolare, nella toponomastica cittadina, nello stesso stemma del comune. E, in luoghi non distanti, aleggiano sue inobliabili memorie e si ergono, intatti o diruti, monumenti possenti congiunti con la sua vita e la sua morte. Non remota è la stessa Melfi, nella quale egli celebrò i suoi fasti di legislatore. Figura dunque estranea ai miei studi ma non avulsa dalla mia prima formazione, sulla quale intensa è stata anche l’incidenza di mio padre cultore di quelle memorie e conoscitore di quei monumenti (nota).

 

Il volume in cui è stampata l’epitome si apre in effetti con la dedica di Domenico Maffei: “Alla venerata memoria dei miei genitori / Lorenzo ingegnere devoto alle costruzioni federiciane / Cannina mia prima maestra”.

Questa fatica dell’insigne altamurano può essere quindi considerata un omaggio reso a Federico II e ad Altamura.

Estrapolando dall’epitome, dal cui linguaggio si potrebbero trarre interes­santi spunti relativi a parole del dialetto pugliese che non hanno corrispondenza in italiano, ma che la ebbero nel volgare quattrocentesco della corte aragonese di Napoli, estrapolando – dicevamo – le norme che riguardano la condizione delle donne, possiamo ricavare che esse erano soggetti deboli nella società del Duecento, ma non privi di una propria dignità che la legge tutelava.

E la tutela non è solo per la classica infirmitas sexus (la presunta inferiorità biologica della donna), ma soprattutto per la dignitas sexus. Questa è la novità più apprezzabile del pensiero federiciano espresso nel suo nuovo codice che ebbe fortuna fino ai tempi moderni come prova “l’epitome ritrovata”.

Si comincia col tutelare le donne consacrate, cioè le monache: “.. .si alcuno furasse una monaca, anchora che non sia velata, deve essere privato de la vita” (I 20), reato probabilmente molto diffuso in tempi di monacazioni forzate.

Altra disposizione tocca l’opposta condizione femminile: il meretricio. La pena di morte, “privato del capo”, era comminata a chi avesse forzato la volontà della donna, sempre che la vittima avesse denunziato la violenza entro otto giorni, “excepto se in quilli octo giorni non stesse in sua libertà” (I 21), altrimenti è considerata consenziente. Quando si pensa al mercimonio che si fa oggi sulle nostre strade di giovani donne extracomunitarie costrette a prostituirsi, ridotte in schiavitù, si vede come forte e importante era la difesa giuridica che Federico II dava ai suoi tempi anche alle donne più reiette della società; difesa uguale a quella data a tutte le altre donne, vergini, spose, vedove, maritate che subissero stupro o rapimento. Lo stupratore o rapitore era sempre passibile di pena di morte.

La mano dell’imperatore si stende sulla violenza più comune che la donna possa subire: essere posseduta contro la sua volontà, anche se il “possesso” si vuole ammantarlo di legittimità sposando la vittima. Il cosiddetto “matrimonio riparatore” che per secoli è stato praticato nel Sud, soprattutto in Sicilia, e che già allora era antica consuetudine, è vietato da Federico II: “.. .cessante quell’antiqua consuetudine che voleva che, si lo raptore la pigliasse per mogliere, non fusse tenuto ad alchuna pena.” (1.22.1). Una norma avveniristica che non fu seguita però nella prassi popolare.

Se una donna grida aiuto e chi la sente non la soccorre, è punito, “excepto se fusse sordo overo zoppò […], se debia componere con la corte in quattro augustali” (I 23), che era una multa altissima.

Se una vedova va in giudizio, ha diritto al difensore d’ufficio (I 34); le donne senza marito o altro congiunto, o molto povere, possono comparire di persona nei tribunali (I 104.2); se sono “ingannate in iudicio per sua facilità et ignorantia, o per fraude de procuratori o ignorantia, siano restituiti in integro” (Il 44). Ecco che la dignità propria riaffiora quando la tutela del maschio non c’è. Quando c’è, ed è un delinquente, “foriudicato”, le madri e le mogli non “deveno havere preiudicio in le loro robbe et dote, et de quelli boni non se ne deve nutrire lo foriudicato” (Il 8); robba è una parola sopravvissuta nel dialetto dell’Italia meridionale per indicare i beni.

 

Frontespizio dell’Epitome

 

La donna era maggiorenne a 18 anni esattamente come l’uomo. Infatti “dice che li minori son quelli che non hanno deceocto anni tanto li mascoli quanto le femine excepto li francesi che in quindece anni se iudicano de età perfecta” (II 42). E a 18 anni, se non aveva fratelli sempre “preferiti a le femine”, ereditava i beni del padre-barone morto e se era minorenne veniva presa in carico dalla corte con i suoi beni che venivano restituiti all’atto del matrimonio. Anche questa, a fronte della cupidigia dei maschi, era una tutela economica e personale delle giovinette orfane che intanto arricchivano e allietavano la corte di Federico II assorbendone l’educazione.

C’è poi una sequenza di articoli che riguardano l’adulterio, punito con la confisca dei beni per l’uomo, col taglio del naso o fustigazione per la donna (III 74). Era già un grande progresso vietare l’uccisione dell’adultera e lasciare al marito tradito la scelta fra lo sfregio fisico e la fustigazione. Correo è considerato l’uomo che non vieta atteggiamenti ambigui della moglie “con tali homini cantatori et ama tori” (III 75) vietando si di poterla accusare di adulterio e anche colpendo si con l’infamia se la moglie è adultera manifesta (III 76). Ma per gli uomini la manica è sempre più larga: se si uniscono con una meretrice consenziente, non c’è reato (III 77). Alla madre che induce la figlia a commettere adulterio “sia tagliato lo naso come a ruffiana” (III 80). “Punito come ruffiano” è pure quel marito che, trovata la moglie con un altro, lascia andare l’altro e si tiene la moglie (III 82). Il marito che scopre la moglie con un altro uomo in flagrante può ammazzarli: è l’unico caso di omicidio autorizzato; l’onore del marito è più forte della dignità e della vita stessa della donna, per quanto adultera.

Il Liber Augustalis è frutto di tempi diversi dai nostri, è Medioevo… nonostante gli sprazzi di luce federiciana!

Questo e altro si può ricavare dall’utile riproposizione del testo in esame, magistralmente curato da Domenico Maffei ed elegantemente pubblicato dagli editori Laterza.

Per le donne nel Liber Agustalis si confrontino anche gli articoli: I 24, 90.1, 106; II 2; III 13, 16, 19-21, 23.1, 26-7, 81, 84.

 

Nota:

  1. MAFFEI; Un’epitome in volgare del “Liber Augustalis “, Bari, Laterza, 1995, p 5. (Torna su)

 

Bianca Tragni

da “Alba Pratalia” periodico dell’ Associazione Culturale “Amici della Biblioteca De Leo” di Brindisi. Direttore Rosario Jurlaro.

 

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