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LA CONQUISTA ARAGONESE di NAPOLI

Posted by on Mar 15, 2025

LA CONQUISTA ARAGONESE di NAPOLI

Il punto di forza di Napoli risiede nel fatto che in ogni suo anfratto risiedano storie affascinanti ed intrise di meraviglioso mistero. Quando si visita la città non si può non rimanere esterrefatti nell’ascoltare leggende e aneddoti a cui hanno fatto da sfondo anche le stradine più semplici e, di primo acchito, austere. Nel corso dei secoli innumerevoli testimonianze storiche sono pervenute riguardo la Napoli che fu, grazie ad autori prestigiosi rimasti incantati innanzi allo splendore della città della Sirena.

Benedetto Croce tesse scenari straordinariamente intensi nei suoi scritti. Su tutti, Storie e Leggende napoletane, da cui è tratto il racconto oggetto di quest’articolo, dove narreremo la storia del Pozzo di Santa Sofia e della conquista aragonese di Napoli. Il XV Secolo fu un periodo storico particolarmente tumultuoso nella cronistoria partenopea. Il caos dinastico gettò la nobiltà napoletana nel panico più totale, con Giovanna II D’Angiò rimasta senza eredi. L’incertezza sul futuro della corona era l’unica a regnare sovrana e, nel frattempo, il popolo covava non poca idiosincrasia nei confronti dei reali francesi. Passarono diversi anni, fino a quando Renato d’Angiò non successe al trono. Il regno di Renato, soprannominato il Buono, però, durò poco. Il 2 giugno del 1442, infatti, Alfonso d’Aragona rivendicò Napoli, dichiarando l’unione del Regno di Sicilia e quello partenopeo. Il Croce narra dell’assedio aragonese come un vero e proprio bagno di sangue che, per lungo tempo, tormentò i sogni di re Alfonso. Il sovrano giocò d’astuzia sfruttando metodi poco convenzionali, non passando per le impenetrabili mura che cingevano la città. Alfonso, infatti, varcò il confine partenopeo attraverso un pozzo sito nella botteguccia di Santa Sofia di un umile sarto. “…E rivedevo la sorpresa e lo spavento della famigliuola del sarto, e gli uomini d’arme che minacciavano morte o persuadevano al silenzio, e l’irrompere per le strade delle schiere, e il tumulto e la mischia coi soldati di Renato, e l’apertura della porta della città, per la quale entrava a furia l’intero esercito assediante”. Sono queste le parole con cui la penna del Croce ci riporta a quegli istanti caratterizzati da tensione, panico e dinamismo estremi. Gli aragonesi assaltarono il Maschio Angioino e provocarono la morte di molti napoletani innocenti. Renato fuggì e Alfonso poté entrare in Napoli trionfante, senza nascondere il segreto del suo successo. Il re ricompensò generosamente il sarto e i cittadini che l’avevano assistito nell’impresa. A ricordo di quel momento storico esiste un detto napoletano che dice: “Me pare o’ puzz’ è santa Sufia” Si dice di persone che non sono mai soddisfatte, come se avessero una sete insaziabile, proprio come il pozzo di Santa Sofia.

A Napoli, per la natura del suo sottosuolo, si è sempre scavato per estrarre il tufo e tutti materiali idonei all’edilizia come sabbia, pozzolana e lapilli. I vuoti, così ricavati, non furono mai abbandonati, ma utilizzati come cisterne pluviali o come cisterne collegate ad acquedotti; c’è sempre stata, quindi, acqua fluente sotto Napoli, che poteva essere attinta dai pozzi esistenti in ogni abitazione. Napoli, è stata un esempio di innovazione nell’uso dell’acqua potabile, sfruttando una complessa rete sotterranea per garantire risorse idriche alla città.

Tre furono gli acquedotti che scorrevano sotto la città: l’Acquedotto della Bolla, di origine greca III secolo a.C. (L’acquedotto della Bolla risale al 400 a.C., costruito dai Greci. Partiva da una depressione paludosa vicino al Vesuvio, nella piana di Volla, e si estendeva per circa 10 km, portando acqua fino a Porta Capuana), l’Acquedotto Augusteo, romano (L’Acquedotto Augusteo era una rete idrica costruita dai Romani nel I secolo a.C. Partiva dalle sorgenti del Serino, nell’Appennino campano, e attraversava tutta la Campania per arrivare a Napoli, rifornendo vari centri lungo il percorso entrava a Napoli attraverso la zona di Capodimonte, per poi diramarsi in diverse direzioni, rifornendo le principali aree della città, incluso il centro storico) e l’Acquedotto del Carmignano del 1600 (L’acquedotto del Carmignano fu costruito dai Carafa nel XVII secolo per rifornire le loro residenze a Napoli; partiva dalle sorgenti del Serino e arrivava sino al Palazzo Reale). Questi tre acquedotti, che si intersecano e si scambiano le acque, hanno costituito una rete fittissima di cunicoli e cisterne che coinvolge tutti i palazzi costruiti fino al 1885, anno in cui, a causa di una pestilenza, fu costruito l’acquedotto a pressione, che mandò in pensione quelli ad acqua fluente.

Nel 1885 si poteva scendere in uno dei 4628 pozzi e percorrere, nel sottosuolo, la città in lungo e in largo da Santa Caterina a Formiello a Monte di Dio, dai Ponti Rossi a Capo Misero, da San Giovanni a Carbonara alla Sanità. Molti conquistatori, per impadronirsi della città di Napoli, pensarono di tagliare i suoi acquedotti: per esempio, nel 537 Belisario, comandante dell’esercito di Giustiniano, nella campagna d’Italia contro i Goti, giunto a Napoli, nascose un intero reggimento di cavalleria nella grotta degli Sportiglioni, sotto Capodichino, egli si accampò di fronte alla porta di Santa Sofia, oggi via San Giovanni a Carbonara.

Anche Belisario tagliò gli acquedotti esclamando, secondo il Melisurgo: “… questi napoletani li faremo rendere per sete.” Il caso volle, però, che un soldato, Isauro, inoltratosi lungo un cunicolo dell’antico acquedotto delle Bolla, dopo pochi metri, rivide la luce da sotto un pozzo; risali lungo la canna, usando le tacche dei pozzari, e si trovò al centro della guarnigione che presidiava la Porta di Santa Sofia.

Lungo la stessa canna salirono, di notte, alcuni soldati di Belisario, sopraffecero le guardie e aprirono le porte, permettendo alle truppe di conquistare la città. Nel 1442 le truppe di Alfonso I d’Aragona, comandate da Diomede Carafa, si accamparono allo stesso posto. Alfonso I, uomo colto, aveva letto di Belisario, e perciò diede mandato al Carafa di trovare questo accesso.

Il Carafa contattò due pozzari, Aniello Ferraro e Roberto Esposito, che lo condussero nella casa di “mastro Citiello cosetore”, un sarto che con la moglie “donna Ciccarella” ed i figli “Elena e Leone” abitava proprio di fronte alla porta di Santa Sofia, dove oggi sorge la scuola Bovio e dove allora c’era, proprio sotto la casa del sarto, un pozzo. Questa volta entrarono i marinai di Alfonso I: essi furono chiamati perchè più esperti di corde e scalette. Fu cosi che, per la seconda volta, la città di Napoli fu presa con lo stesso espediente.

Cambiano i luoghi ma restano i cunicoli, i pozzi e le antiche cisterne, queste ultime ampliate, durante la seconda guerra mondiale, per essere adattate a ricoveri.

fonte

un popolo distrutto

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