La festa della Madonna di Campegna. Un’altra radice recisa
Un’altra tradizione andata ormai perduta è quella relativa alla festa che veniva organizzata in onore del santo protettore. Nel caso specifico la Patrona del luogo era la Vergine, qui venerata col nome di Maria Santissima dell’Arco di Campegna.
La chiesa, con i muri esterni ricoperti di mattoncini rossi fino ad un’ altezza di qualche metro e mezzo (come nei miei ricordi), era ad una sola navata, e molto ampia. Certo, per quanto grande, non sarebbe stata in grado di contenere tutti i residenti se costoro avessero deciso di partecipare contemporaneamente ad una delle due messe domenicali. Ma, da questo punto di vista, non c’era motivo di preoccuparsi. La maggior parte dei paesani non erano di quelli di cui si potesse dire che fossero dei rigidi osservanti o degli assidui frequentatori delle funzioni religiose. Molti di essi saranno entrati in chiesa solo le volte necessarie per ricevere i sacramenti previsti dalla nostra religione o per partecipare a cerimonie in cui tali sacramenti venivano somministrati. Altri – e si trattava di persone arricchitesi di recente con operazioni più o meno lecite – vi si recavano solo per ostentare la loro condizione, indossando costosi cappotti o stole di pelliccia, enormi collane o bracciali d’oro con maglie così grandi da poter ben figurare, insieme ad una palla, ai piedi dei detenuti. Nessuno, però, si sarebbe mai sognato di non varcare la soglia del sacro tempio, nelle festività pasquali, per prostrarsi ai piedi della Vergine. Per chi l’avesse fatto, la spiegazione era solo una: che stesse per chiudere i conti con questo mondo e le sue vicende.
Cominciamo col dire che la festa cadeva tra il Sabato Santo, la Domenica di Pasqua e il Lunedì in Albis e rappresentava il coronamento di un intero anno di “cerca”, ossia di questue, porta a porta, di cui era incaricato un apposito Comitato. Anche per questa occasione i recenti arricchiti non mancavano di mostrare la loro grossolanità o offrendo qualche bigliettone da mille lire (il cosiddetto lenzuolo!) che, appena si era sicuri di avere un buon numero di spettatori, veniva platealmente lanciato alla volta del questuante oppure, durante la “vendita”, acquistando ad un elevato prezzo un oggetto di pochissimo valore. In questa circostanza, in considerazione del numeroso pubblico presente all’asta, il gesto acquistava un’esaltante risonanza per i parvenu. Al giorno d’oggi il cosiddetto lenzuolo corrisponderebbe all’incirca ad una misera moneta da 50 centesimi di euro che non è consigliabile dare nemmeno ad un parcheggiatore abusivo. Al tempo dei fatti, però, giusto perché il lettore moderno possa farsi un’idea, con una banconota da mille lire si potevano acquistare dieci chilogrammi di pane, mentre, appena pochi anni prima, se ne sarebbero potuti acquistare ben seicentoventicinque chilogrammi!!
Ma torniamo alla festa. Essa rappresentava davvero un evento eccezionale, e per tutta la sua durata non faceva che registrare un progressivo aumento di visitatori. Artistiche luminarie multicolori allestite già da alcuni giorni si allungavano dappertutto. Una grande arcata (la cosiddetta Porta), più grande e più elaborata delle altre, veniva posta poco dopo Piazza Bagnoli. Il flusso di visitatori che l’evento richiamava era veramente impressionante e conferiva alle strade del paese l’aspetto di un brulicante formicaio, facendo lievitare sensibilmente anche le “offerte” in chiesa, che solitamente (e questo lo so per esperienza diretta) erano tutt’altro che generose. La gente veniva dai molti paesi della provincia e anche da fuori, sobbarcandosi i disagi rappresentati da collegamenti difficili legati a loro volta ad una situazione delle infrastrutture abbastanza disastrosa, considerando che la Seconda Guerra Mondiale era finita da pochi anni. Ma questi sacrifici venivano sopportati con piacere, tanta importanza aveva raggiunto la festività, divenuta, per molti anni, un appuntamento fisso. Il flusso delle numerose comitive iniziava di buon mattino. I loro componenti, con grossi borsoni di fibra vegetale o fagotti pieni di ogni ben di Dio: maccheroni al forno, frittate di maccheroni, parmigiana di melanzane, peperonate varie, casatielli (rustici o dolci), pastiere e quant’altro per trascorrere un’intera giornata fuori casa, si avviavano verso il Parco della Rimembranza (alias Parco Virgiliano) o si riversavano sull’arenile su cui, prima che venisse inquinato dalle polveri di un cementificio, era possibile sedersi anche indossando pantaloni o gonne bianche senza paura di sporcarsi. All’ombra del Parco della Rimembranza o sulla morbida sabbia dell’arenile, tra un piatto di pasta, una porzione di parmigiana, una fetta di casatiello e una di pastiera, si aspettava l’inizio della festa … E questo arrivava come per incanto. In meno che non si dica, infatti, ogni spazio, era stato occupato dai baracconi delle giostre, da una moltitudine di bancarelle che offrivano i prodotti più disparati: per e muss (piede e guanciale di maiale) annegato in spremute di limone e spruzzato di abbondante sale che veniva fuori da un corno di mucca adibito a saliera; cozzicari, maruzzari (venditori di piccantissime zuppe di cozze e lumache), tarallari, castagnari, venditori di frutta secca(nocciole, arachidi, susine, semi di zucca e ceci tostati), che di quando in quando riempivano l’aria, già satura di ogni sorta di rumori, di laceranti fischi provenienti dalla caldaia in cui tostavano le arachidi o le nocciole; venditori di palloncini; di palle riempite di segatura; di strummoli (trottole di legno); di torrone; di caramelle e dolciumi vari. Tutto questo trambusto durava fino a tarda sera … ma senza eccedere, perché anche per gli eventi che prendevano spunto da motivi religiosi c’erano dei limiti che non si potevano superare. E infatti raramente si superava la mezzanotte. La manifestazione, oltre alla degustazione di tutto quel ben di Dio di cui si è appena detto, comprendeva anche giornate dedicate :
– alla musica (sia operistica che napoletana classica), i cosiddetti concertini;
– alla vendita, cioè un’asta, condotta da un eccezionale banditore (Reccù), al secolo Salvatore Assardo, che oggi sicuramente avrebbe avuto una grandissima fortuna nelle televendite ;
– ai fuochi pirotecnici.
Relativamente all’aspetto religioso, la festa era di tale importanza che il Lunedì in Albis Coroglio meritava la visita dell’ Arcivescovo di Napoli (1) che, nell’ occasione, somministrava la Prima Comunione , impartendo contemporaneamente anche il sacramento della Cresima, per cui, oggi, bisogna seguire un corso specifico.
Per quanto riguarda il momento canoro, nessun artista delle vecchie glorie voleva perdersi una partecipazione alla Festa di Campegna, e posso garantire che tutti gli interpreti del repertorio napoletano classico si sono esibiti sul palco innalzato per l’ occasione.
La festa culminava con lo spettacolo dei fuochi pirotecnici nei quali si confrontavano diversi maestri fuochisti e che, la notte del Lunedì in Albis metteva la parola fine alla manifestazione.
Lucio Castrese Schiano
Vorrei sapere a che periodo risale la chiesa
Molto interessante
Salve ho letto con piacere questa descrizione della festa.Ho abitato a Coroglio fino al 1970 dove sono nato,ho fatto la comunione e cresima nel 1960 officiata dalCardinale Alfonso Castaldi.Ho foto della processione nel 1952 per il trasporto della immagine sacra della Madonna dalla vecchia chiesa a quella attuale.