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La grande marina mercantile e militare napoletana.

Posted by on Feb 29, 2020

La grande marina mercantile e militare napoletana.

Il primato delle Due Sicilie sul Mediterraneo si concretizzò nella terza flotta al mondo per tonnellaggio e traffici, rafforzato dalla grande tradizione delle scuole marinare e da un’industria cantieristica all’avanguardia.

Tra le vie del quartiere Flaminio di Roma che portano i nomi di illustri giuristi ve n’è una intitolata al sardo Domenico Alberto Azuni.
Essa è situata proprio accanto al Ministero della Marina, quasi a voler ricordare le benemerenze, vere o presunte, del giurista sardo nel Diritto Internazionale Marittimo.

Non ne esiste invece nessuna intitolata a Michele De Jorio, giurista napoletano autore del primo codice di diritto marittimo, il “Codice Ferdinandeo”.

In una rarissima lettera di Bartolomeo Pagano, nel 1798, il Codice Azuni viene definito “uno sfacciato plagio del Codice Ferdinandeo”; sfacciato perché in molte parti banalmente copiato di sana pianta.

Il Regno delle Due Sicilie fu il terzo paese d’Europa anche nel campo navale: è bene ricordarlo.

Il resto d’Italia viveva stretto tra terraferma e legami stretti con altre realtà statuali, il Lombardo-Veneto gravitava nell’orbita austriaca, pur avendo porti importanti come Venezia e Trieste, ed il piccolo Piemonte vivacchiava di angusti commerci col porto di Genova.

Il Regno del Sud era il più grande e più abitato stato della penisola, con poli di commercio marittimo di importanza internazionale come le Puglie ed i suoi porti di Bari, Brindisi, Gallipoli e Manfredonia.

Intorno a Napoli ferveva la più grande industria navale italiana, e non a caso il primo vapore europeo a solcare il mare, il Ferdinando I, fu qui costruito.

Ebbene anche questo è successivamente stato negato.
In una relazione ufficiale piemontese del 1890 si millantava il primato di un piroscafo sardo che iniziò a navigare su un fiume, e non sul mare, il 6 novembre 1819.

Jules Millenet scriverà nel1834: “In un’epoca in cui la Francia non possedeva alcun battello a vapore, e dove questo sistema di navigazione non era stato ancora adottato in Inghilterra, se non sui fiumi e sui golfi, si costruiva a Napoli il primo bastimento a vapore che abbia attraversato il mediterraneo”.

Dal 1815 al 1830 ebbe il monopolio della navigazione a vapore la “Amministrazione Privilegiata dei Pacchetti a vapore delle Due Sicilie”, società di proprietà del principe di Bufera prima e della Società Sicari, Benucci e Pizzardi, poi.
Ferdinando II decise di abolire il monopolio con un decreto, che accordava anche esenzioni fiscali e facilitazioni “a chiunque, suddito o straniero che, stabilitosi nel Regno, costruisse nei cantieri dello stesso battelli a vapore per destinarli alla marina mercantile delle Due Sicilie”.

Nacquero così tante compagnie di navigazione: nel 1839 Vincenzo Florio fondava l’Amministrazione dei Pacchetti a vapore siciliani, nel 1841 nasceva la Compagnia Andrea De Martino e soci, poi l’Amministrazione Napoletana, la Giglio delle Onde e la Calabro Sicula.

E nel 1853 ancora un primato: il palermitano Salvatore de Pace costituiva infatti la Società Sicula Transatlantica, e con il piroscafo Sicilia iniziava i viaggi periodici con l’America, con scalo a Napoli e Gibilterra, e raggiungendo New York in 26 giorni.

Quelli furono però solo viaggi di affare e di piacere, solo dopo l’unità divennero quella vera e propria tragedia che fu l’esodo di milioni di meridionali verso la speranza di un futuro diverso.
Nel 1860 tutta la flotta mercantile iniziò lo stesso declino che accomunò l’ex Regno delle Due Sicilie.

La società Rubattino di Genova, per intenderci quella che fornì il naviglio a Garibaldi, fu spudoratamente agevolata e nel giro di venti anni divorò la flotta Florio, ed altrettanto accadde per gli altri, che mano a mano scomparirono.

La Marina Militare napoletana era anch’essa tra le migliori del mondo.

Aveva combattuto molto poco, salvo che nella Campagna di Sicilia del 1849, ed era dotata di navi moderne con equipaggi di prim’ordine, fedeli alla patria ed al re, ma non fu altrettanto onorata nei suoi ufficiali.

Il conte d’Aquila, fratello di Ferdinando II, Comandante Generale della marina, non fu mai uomo di polso e lasciò sempre fare agli altri, non nascondendo spesso atteggiamenti frondisti nei confronti dello stesso re.

Solo alla fine, nell’estate del 1860, capì quel che sarebbe accaduto e tentò senza successo di riprendere le redini della situazione, per ristabilire un governo autenticamente nazionale che non facesse da battistrada a Garibaldi e a quel che ne seguì.

Il lavoro di corruzione operato sugli ufficiali di marina fu incessante e continuo, e portò come inevitabile conseguenza al dissolvimento dell’arma nelle vicende finali del Regno: a parte alcuni uomini, come gli ammiragli Lettieri e Del Re ed i comandanti Pasca e Flores, il grosso passò più o meno apertamente al nemico fin dal maggio 1860.

Ma dal punto di vista tecnico e marinaresco i napoletani non furono secondi a nessuno: la piccola marina sarda sembrava una flottiglia di pescherecci disastrati a confronto con quella delle Due Sicilie.

La cantieristica napoletana, oltre a costruire tutto il naviglio interno, eseguiva lavori per mezza Europa.
Il 14 agosto 1852 fu inaugurato a Napoli il bacino di raddobbo per le grandi riparazioni, con una spesa di 300000 ducati, unico del mediterraneo.

Intorno al polo cantieristico, grazie alla ferrovia costruita appositamente per unire la capitale con le realtà industriali, nacquero altre industrie private, oltre Pietrarsa, che prosperarono anche grazie a quel polo, aggiungendo agli oltre 2000 addetti di Castellammare ed ai 4000 di Pietrarsa quelli della Zino & Henry, della Guppy & Co., dello stabilimento Pattison ed altri ancora.

Per non parlare del ferro utilizzato, tutto, proveniente dalle fonderie pubbliche e private della Calabria.

Con l’arrivo dei “liberatori” tutte queste industrie furono sistematicamente portate al fallimento, con decine di migliaia di persone gettate in mezzo ad una strada, come testimoniato dalle prime rivolte operaie represse nel sangue, e cancellando per di più anche il ricordo di tale operosità e ricchezza e iniziando quella serie di luoghi comuni relativi al Sud povero, mafioso ed incapace di iniziative imprenditoriali.

Proprio dove oggi sorge un anonimo museo ferroviario morirono, falciati dal fuoco dei bersaglieri, degli operai

di Roberto Maria Selvaggi

Tratto da:
“Il SUD Quotidiano” del 20/12/97

3 Comments

  1. I dati sulla marina mercantile napoletana, comparati con quelli di altri stati, tratti da fonti ufficiali borboniche o dalla documentazione archivistica, li trovate in A. Clemente, La marina mercantile napoletana dalla Restaurazione all’Unità. Flotta, tecniche e rotte tra navigazione di lungo corso e cabotaggio, «Storia economica», anno XIV, n. 2, pp. 207 e ss. Per smentirli non basta evocare pretese benemerenze storiche di un signore piuttosto sciatto: la “Compagnia dei pacchetti a vapore” fu fondata dal principe di “Butera”, non di “Bufera”, nel 1829 il principale azionista della nuova compagnia di navigazione era George Sicard, non “Sicari”, il numero massimo di occupati nel giugno 1860 a Pietrarsa fu di 1050, non di 4000. Usare dati sbagliati serve a screditare chi lo fa, bisogna essere molto attenti quando si scrive.

  2. roberto maria selvaggi e stato uno storico importante e credibile che ha fatto una ricerca sull esercito napoletano che nessuno ha mai fatto e accreditata ovunque anche nel mondo accademico

  3. Nel 1860 la flotta mercantile del Regno delle Due Sicilie (domini citra ed ultra Pharum) raggiungeva le 302.068 tonnellate di stazza, comprense 6000 imbarcazioni che avevano una stazza inferiore alle 10 tonnellate, erano cioè poco più che barche da pesca adatte soltanto al piccolissimo cabotaggio. Per restare in Europa, la flotta inglese raggiungeva le 4.669.000 tonnellate di stazza, quella francese 1.011.000, quella tedesca 808.000. Ometto per brevità i dati relativi ad altri paesi come gli Stati Uniti.

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