Alta Terra di Lavoro

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La grandezza dei Borbone e la turpitudine dei Savoia

Posted by on Mag 12, 2020

La grandezza dei Borbone e la turpitudine dei Savoia

Sul Corriere della Sera del 5 luglio 1999, a firma di Sergio Romano, compare l’articolo: “Se i Borbone sono meglio dei Savoia”. Con riferimento alla celebrazione delle nozze d’oro dei pretendenti al trono delle Due Sicilie avvenuta il 3 luglio nella Reggia di Caserta, l’autore sostiene le ragioni del rientro dei Savoia pur opponendo molti e seri distinguo. Le ragioni a favore (e quelle contrarie) mi trovano perfettamente d’accordo. Non mi trova per niente d’accordo il ricorso, considerando la personalità e la cultura del dottor Romano, ad uno dei piú abusati luoghi comuni nella frase: “… e gli ospiti si sono alzati per rendere omaggio agli eredi di un regno che William Gladstone, leader dei liberali inglesi, definí nel 1851 la ‘negazione di Dio’“.

Non voglio entrare nel merito dei commenti sullo svolgersi della cerimonia, ma mi piace fare almeno una puntualizzazione sulla frase citata. Le Letters to Lord Alberdeen, che Gladstone scrisse, riportavano tra i “si dice”“come mi han detto”“so da fonte rispettabile, ma non sicura”, che il processo agli unitari, setta immaginaria, era stato montato: che i campioni della cultura, dell’intelligenza e dell’onestà politica come Poerio e Settembrini erano stati condannati ingiustamente, gettati in orrende carceri sotterranee, che il regime penitenziario era spaventoso e che i prigionieri erano ammassati in “purulenti carnai”; riportando assolutamente improbabili numeri di prigionieri, torture e mancato rispetto da parte dei sacerdoti perfino del segreto professionale, e concludevano con la forte espressione “questa è la negazione di Dio eretta a sistema”.

Questo quadro orripilante tracciato dal Gladstone (si saprà su mandato di Lord Palmerston, titolare del Foreign Office), fu diffuso per volere dello stesso Palmerston, tradotto in molte lingue e portato a conoscenza di molte nazioni. Se ne fecero un centinaio di edizioni comprensibilmente apprezzate dai rivoluzionari italiani di ogni tipo e furono ampiamente sfruttate dalla stampa sovvenzionata da Cavour. A questa terrificante requisitoria si opposero le polemiche di parecchi intellettuali napoletani e quella di Jules Gondon, che punto per punto demolí il castello di menzogne e di calunnie edificato da Gladstone e funzionale alle mire inglesi sulla Sicilia. Ed a questo proposito aggiungeva: “Per togliere la Sicilia a Re Ferdinando occorre, è naturale, far rivoltare il suo popolo e togliere popolarità al suo governo; ora che cosa disaffeziona meglio un popolo e discredita meglio un sovrano che la calunnia?”.

Analoghe considerazioni fa De Sivo che confronta le condizioni del Regno con quelle veramente terribili dell’Inghilterra e della Francia, rilevando che per queste ultime né il Gladstone, né altri, avevano sentito la necessità di meravigliarsi e di effettuare alcuna denunzia. Le repliche e le confutazioni ottennero l’effetto di spingere Lord Aberdeen, a cui Gladstone aveva chiaramente forzato la mano, di ritirare il patrocinio alla lettera dicendosi desolato per quanto era avvenuto. Nel 1852 lo stesso Gladstone si rimangiò molto di quanto aveva scritto e confessò di essere stato anch’egli raggirato.

Per concludere riportiamo quanto Domenico Razzano scrisse: “Gladstone tornato a Napoli nel 1888 – 1889 fu ossequiato e festeggiato dai maggiorenti del cosiddetto Partito Liberale, i quali non mancarono di glorificarlo per le sue famose lettere con la “negazione di Dio”, che tanto aiutarono la nostra rivoluzione; ma a questo punto Gladstone versò una secchia d‘acqua gelata addosso ai suoi glorificatori. Confessò che “aveva scritto per incarico di Palmerston, con la buona occasione che egli tornava da Napoli; che egli non era stato in nessun carcere, in nessun ergastolo; che aveva dato per veduto da lui quello che gli avevano detto i nostri rivoluzionari”.

Furono diffuse le rettifiche, ma il danno era stato fatto, soprattutto trovando tante orecchie disposte a sentire una sola campana. E il falso ancora resiste, poiché molto piú della verità può la calunnia. Che è dura a morire.

Antonio Nicoletta, Floridia

http://www.duesicilie.org/OLDSITE/Frame-NN5.html?fbclid=IwAR3yFx4UyVa0p9c8ULrF_2AS7ger4Xy7g3k_wJA2SYDTufokUrO8rrHVUx8

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