La legislazione della rivoluzione francese
La soppressione delle corporazioni
Il 17 giugno 1791 l’Assemblea nazionale votò la legge che prendeva il nome dal deputato Isaac Le Chapelier, che l’aveva redatta e proposta. Con questa legge furono dichiarate sciolte e non più ricostituibili le associazioni dei maestri artigiani e in genere di chi esercitava una stessa professione (corporazioni o “giurande”), una delle più radicate istituzioni dell’Europa di antico regime. Alla base di questo provvedimento vi erano motivazioni politiche ed economiche, ma esso ebbe in ogni caso l’effetto di lasciare i lavoratori urbani indifesi di fronte al potere sostanziale degli imprenditori.
1. Poiché l’eliminazione di ogni specie di corporazione di cittadini dello stesso stato e professione è una delle basi fondamentali della costituzione francese, è vietato ristabilirle di fatto, sotto qualsiasi pretesto e forma.
2. I cittadini di uno stesso stato o professione, gli imprenditori, chi ha una bottega in attività, gli operai e gli apprendisti di qualsiasi arte o mestiere non potranno, allorché si troveranno insieme, nominare né presidenti né segretari o sindaci, tenere registri, prendere decisioni o deliberazioni, stabilire regolamenti sui loro pretesi interessi comuni.
3. È vietato a ogni corpo amministrativo o municipale ricevere messaggi o petizioni a nome di uno stato o professione e di darvi risposta, ed è fatta loro ingiunzione di dichiarare nulle le deliberazioni che potrebbero essere in tal modo prese e di vegliare con cura a che non sia dato ad esse alcun seguito ed esecuzione.
4. Se, contro i principi della libertà e della costituzione, cittadini che svolgono la stessa professione, arte e mestiere prendessero deliberazioni o stabilissero fra di loro accordi tendenti in maniera concertata a rifiutare o a non accordare che ad un prezzo determinato la prestazione della loro industria o del loro lavoro, le dette deliberazioni e accordi sono dichiarate incostituzionali, attentatorie alla libertà e alla dichiarazione dei diritti dell’uomo e prive di effetto […].
6. Se le suddette deliberazioni, convocazioni, manifesti, lettere o circolari contenessero qualche minaccia contro gli imprenditori, artigiani, operai o giornalieri che vengono da fuori a lavorare nel luogo, o contro coloro che si contentano di un salario inferiore, tutti gli autori, istigatori e firmatari degli atti o scritti saranno puniti con una ammenda di mille lire e con tre mesi di prigione. […]
8. Ogni assembramento composto di artigiani, operai, apprendisti, salariati, eccitato da loro stessi contro il libero esercizio dell’industria e del lavoro – diritto che appartiene a chiunque e sotto qualsivoglia accordo liberamente stipulato –, ovvero sollevato contro l’azione della polizia e l’esecuzione delle sentenze emesse in questa materia, e così pure contro le aste e gli appalti pubblici, sarà ritenuto come assembramento sedizioso e come tale sarà disciolto dai depositari della forza pubblica e punito secondo tutto il rigore delle leggi sulle persone degli autori, istigatori e capi dei detti assembramenti e di tutti coloro che saranno passati a vie di fatto commettendo atti di violenza.
L. Cahen, R. Guyot, L’oeuvre legislative de la Révolution, Alcan, Paris 1913, pp. 461-463.
fonte https://keynes.scuole.bo.it/siti_tematici/farestoria/percorsi/p07_02_03.html