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La legislazione della rivoluzione francese

Posted by on Mag 16, 2019

La legislazione della rivoluzione francese

La soppressione delle corporazioni

Il 17 giugno 1791 l’Assemblea nazionale votò la legge che prendeva il nome dal deputato Isaac Le Chapelier, che l’aveva redatta e proposta. Con questa legge furono dichiarate sciolte e non più ricostituibili le associazioni dei maestri artigiani e in genere di chi esercitava una stessa professione (corporazioni o “giurande”), una delle più radicate istituzioni dell’Europa di antico regime. Alla base di questo provvedimento vi erano motivazioni politiche ed economiche, ma esso ebbe in ogni caso l’effetto di lasciare i lavoratori urbani indifesi di fronte al potere sostanziale degli imprenditori.

1. Poiché l’eliminazione di ogni specie di corporazione di cittadini dello stesso stato e professione è una delle basi fondamentali della costituzione francese, è vietato ristabilirle di fatto, sotto qualsiasi pretesto e forma.
2. I cittadini di uno stesso stato o professione, gli imprenditori, chi ha una bottega in attività, gli operai e gli apprendisti di qualsiasi arte o mestiere non potranno, allorché si troveranno insieme, nominare né presidenti né segretari o sindaci, tenere registri, prendere decisioni o deliberazioni, stabilire regolamenti sui loro pretesi interessi comuni.
3. È vietato a ogni corpo amministrativo o municipale ricevere messaggi o petizioni a nome di uno stato o professione e di darvi risposta, ed è fatta loro ingiunzione di dichiarare nulle le deliberazioni che potrebbero essere in tal modo prese e di vegliare con cura a che non sia dato ad esse alcun seguito ed esecuzione.
4. Se, contro i principi della libertà e della costituzione, cittadini che svolgono la stessa professione, arte e mestiere prendessero deliberazioni o stabilissero fra di loro accordi tendenti in maniera concertata a rifiutare o a non accordare che ad un prezzo determinato la prestazione della loro industria o del loro lavoro, le dette deliberazioni e accordi sono dichiarate incostituzionali, attentatorie alla libertà e alla dichiarazione dei diritti dell’uomo e prive di effetto […].
6. Se le suddette deliberazioni, convocazioni, manifesti, lettere o circolari contenessero qualche minaccia contro gli imprenditori, artigiani, operai o giornalieri che vengono da fuori a lavorare nel luogo, o contro coloro che si contentano di un salario inferiore, tutti gli autori, istigatori e firmatari degli atti o scritti saranno puniti con una ammenda di mille lire e con tre mesi di prigione. […]
8. Ogni assembramento composto di artigiani, operai, apprendisti, salariati, eccitato da loro stessi contro il libero esercizio dell’industria e del lavoro – diritto che appartiene a chiunque e sotto qualsivoglia accordo liberamente stipulato –, ovvero sollevato contro l’azione della polizia e l’esecuzione delle sentenze emesse in questa materia, e così pure contro le aste e gli appalti pubblici, sarà ritenuto come assembramento sedizioso e come tale sarà disciolto dai depositari della forza pubblica e punito secondo tutto il rigore delle leggi sulle persone degli autori, istigatori e capi dei detti assembramenti e di tutti coloro che saranno passati a vie di fatto commettendo atti di violenza.

L. Cahen, R. Guyot, L’oeuvre legislative de la Révolution, Alcan, Paris 1913, pp. 461-463.

fonte https://keynes.scuole.bo.it/siti_tematici/farestoria/percorsi/p07_02_03.html

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