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LA MADONNA DI COSTANTINOPOLI NEL REGNO DI NAPOLI

Posted by on Set 6, 2018

LA MADONNA DI COSTANTINOPOLI NEL REGNO DI NAPOLI

Per comprendere nella sua pienezza quest’apparizione mariana è necessario partire da lontano e precisamente dalla città di Costantinopoli, capitale dell’Impero romano d’Oriente, voluta da Costantino il Grande, a cavallo del Bosforo e del Corno d’Oro sul luogo dell’antica Bisanzio. La città ebbe fin dai primi tempi per la Madre di Dio, la Vergine Theotokos, un culto tutto particolare, ad incrementare il quale non sarebbe stata estranea la madre dello stesso Costantino, l’imperatrice Elena.

Nel V secolo, Teodosio II (408 – 450) eresse a Costantinopoli tre basilichette mariane in luoghi detti Blacherne, Chalcopratia (mercato del bronzo) ed Odeghi (guide). L’immagine venerata agli Odeghi rappresentava la Vergine col Bambino in braccio.
La denominazione Odigitria, da odos, “via”, significa “Colei che indica la via” e per alcuni il nome deriverebbe dal fatto che i condottieri (odigoi) si recavano in questo monastero a pregare, per altri dal nome della via della città imperiale in cui vi era la Chiesa detta “delle guide”, che conservava un’immagine simile, venerata come opera dell’evangelista Luca. Successivamente acquistò un significato personale a causa della posizione del braccio di Maria che indica il Figlio come “via, verità e vita”.
Questa celebre immagine fu considerata la protettrice della citta’ e di tutto l’impero d’Oriente. Furono gli imperatori stessi a portarla alla testa dei loro cortei trionfali, come indicatrice e guida della via, avvalorando in questo modo il titolo di “Odigitria”. Ad incrementarne il culto a Costantinopoli contribuì l’imperatrice Pulcheria che volle stabilire una devozione particolare verso la Madre di Dio nei martedì: questo perché la definizione dommatica della Divina Maternità pare che sia avvenuta di martedì e inoltre perché di martedì, in quello successivo alla Pentecoste, per intercessione della Madonna, il popolo di Costantinopoli avrebbe avuto una vittoria sui persiani che avevano posto l’assedio alla città.
Il tipo iconografico di S.Maria di Costantinopoli, infatti, ritrae generalmente la città turrita e cinta di mura in preda alle fiamme, che alcuni storici descrivono come un imponente incendio; altri spiegano più realisticamente come conseguenza di un assedio di Saraceni.
Le lotte iconoclaste del 700 e la presa di Costantinopoli da parte di Maometto II nel 1453 determinarono, in questo lasso di tempo molto ampio, l’importazione delle immagini care al popolo cristiano d’Oriente nei territori dell’Italia Meridionale.
Non solo, ma anche usi, tradizioni, costumanze liturgiche e architettura bizantina fecero sentire il proprio influsso, innestandosi nella cultura storica e popolare del Sud. Non poche furono la Immagini della Madonna di Costantinopoli la cui devozione si sviluppò in vari centri della Puglia (Bari, Acquaviva delle Fonti), Abruzzo e Molise (Ortona e Portocannone), Campania (Ischia, Terranova e Felitto).

Antesignana della venerazione alla Madonna di Costantinopoli fu però la città di Napoli in un contesto storico e sociale caratterizzato da guerra e pestilenza, due variabili che occupano un ruolo determinante nella nostra ricostruzione storica.
Il diarista Gregorio Rosso scrive infatti che “l’anno 1528 fu infelicissimo a tutta l’Italia, particolarmente allo nostro Regno di Napoli perché ci furono tre flagelli de Iddio, guerra, peste e fame“. I napoletani, presi dal panico, organizzavano processioni di penitenza, ma il viceré le vietò ed invitò il popolo a radunarsi a pregare nelle chiese. Contemporaneamente nel 1528, Francesco I inviò in Italia il visconte di Lautrec che, informato delle difficoltà di Napoli conseguenti alla fame e alla sete, marciò su Napoli, ma un errore tattico della politica dei Francesi alienò loro l’animo degli alleati genovesi. Il Doria passò infatti al fronte spagnolo e tolse il blocco navale, mentre la peste faceva un vero sterminio tra le truppe del Lautrec. I resti dell’armata francese si arresero l’8 settembre 1528, giorno della Natività di Maria.
Il popolo era libero dal nemico esterno, ma viveva ugualmente sotto un terribile incubo; quello della peste che non cessava di seminare morte e lutti. L’epidemia perdurava ancora ai primi del 1529 e riprendeva con maggiore violenza nel mese di marzo. Con l’estate – cosa insolita – il flagello accennò a scomparire.

Il Rosso attribuì all’intervento della Madonna, come la fine dell’assedio, così pure quello della peste:

“Nello mese di giugno di questo anno 1529, il terzo giorno di Pasca Rosata (martedì di Pentecoste), fu ritrovata vicino le mura della città di Napoli una immagine della Madonna Santissima Madre di Dio, per rivelazione de una vecchierella, che abitava là vicino, alla quale fu promesso dalla Madre di Dio il fine della peste, come si vedde con effetto; et perciò la Città di Napoli diede principio subito ad edificare una Chiesa a detta Immagine, con lo titolo di Madonna di Costantinopoli, et si spera, che la protegga da detto morbo per l’avenire in ogni tempo futuro. E non solamente la Madonna di Costantinopoli liberò Napoli dalla peste, ma anco dalla guerra…”.

La Vergine disse:

“Rallegrati, o figlia, perché si è placata l’ira del mio Divin Figlio; porta questa buona nuova ai tuoi afflitti concittadini. Dirai loro, da parte mia, che in rendimento di grazie scavino la terra qui vicino, ove troveranno dipinta sopra un muro la mia immagine nascosta sotto le rovine di un’antica cappella. Qui voglio che, ad onore del Mio Figlio Gesù ed a Mio nome, sia edificata una chiesa, dove onorandomi mi farò conoscere loro pietosa avvocata”.

La vecchietta fu subito creduta perché la città era allo stremo delle forze causa la peste. Effettuati gli scavi, vennero trovati i resti di un’antica chiesa dedicata a Santa Maria di Costantinopoli e su una parete l’immagine mariana. La chiesa venne subito riedificata e consacrata il 15 agosto dello stesso anno.

L’immagine della Vergine (rinvenuta dalla vecchietta) è di ispirazione chiaramente bizantina: l’affresco fu eseguito su tavola di marmo tufaceo da un manierista napoletano della fine del 1400. La Vergine è rappresentata a mezzo busto, assisa sulle nubi, nell’atto di reggere sulla destra il Bambino Gesù, che le si tiene stretto al petto. Indossa un corsetto rosso cinabro e un manto azzurro l’avvolge tutta scendendole dalla testa bionda. Dietro, in alto, due angeli tengono spiegata una cortina verde che fa da sfondo alla Vergine e ai due personaggi che la fiancheggiano: S.Giovanni Battista e S.Giovanni Evangelista. Sotto, due angeli genuflessi fanno l’atto di reggere le nuvole che dividono la visione celeste dal panorama della città di Costantinopoli in preda alle fiamme, sulla quale due piccoli angeli versano l’acqua da due anfore.
D’Engenio Caracciolo, storico napoletano del 1600, riferisce con serietà documentaria, che la chiesa di S. Maria di Costantinopoli in Napoli era “di grandissima divotione e non solo il giorno della sua festività, ma anco tutti i martedì dell’anno vi concorre tutta Napoli, e buona parte di quella in cotal giorno s’astiene anco di mangiar carne, e latticini… La festa principale del titolo con grandissima solennità si celebra nel primo martedì dopo la Pentecoste con straordinario concorso di popolo”.

Le origini del quadro

Intorno al 1625 scoppiò in Sicilia la peste che in poco tempo fece migliaia di vittime (si calcola che a Palermo perirono 22 mila persone); contemporaneamente alla peste che inizia a minacciare le terre di Calabria, grossi movimenti tellurici investono il territorio dal marzo al novembre del 1626. La popolazione cominciò a ricercare nella protezione del divino il rifugio allo stato di calamità esistente. La fama del culto della Madonna di Costantinopoli venerata a Napoli si era estesa in Calabria, come scrive lo storico Domenico Lamannis: “Pervenuta era alla mia patria Gimigliano la fama delle grazie, che si ottenevano mercè l’invocazione della Vergine sotto il titolo di Costantinopoli, e non solo in Napoli, ma in ogni dove erasi estesa la devozione, e non solo nei casi di peste, ma per ogni altro flagello”.
La presenza di due sacerdoti annoverati tra gli uomini più sapienti della Gimigliano del 1600, facilitarono il desiderio del popolo di venerare una immagine della Madonna di Costantinopoli dello stesso tipo iconografico napoletano. A evidenziare la continuità e il richiamo alla tradizione orientale e napoletana, anche a Gimigliano fu osservato il digiuno a pane ed acqua perché lo Spirito Santo ispirasse correttamente il pittore incaricato di eseguire il lavoro. L’artista prescelto fu un pittore dozzinale di Gagliano, piccolo sobborgo della vicina Catanzaro, di nome Marco Pizzuto, soprannominato Marcangione.

Sul riferimento iconografico della Vergine di Costantinopoli, Marcangione abbozzò con la dovuta cura e dovizia di particolari i lineamenti principali dell’immagine da riprodurre, rimandando al giorno seguente la coloritura e l’espressività dell’effige. Scrive il Lamannis:

“Venuto il giorno seguente, dato di piglio alla tavoletta dei colori e dei pennelli, si avvicina al quadro per l’esecuzione, ed oh qual rimase sorpreso vedendo compito il lavoro, non da mano umana, ma angelica”.

Anche il quadro di Gimigliano rientra così nella tipologia delle Acheropite, cioè delle immagini non dipinte da mano umana: il significato del termine è da ricercarsi nella tradizione iconografica. Infatti il pittore prima di accingersi all’esecuzione dell’opera, digiuna per lasciarsi ispirare dalla Provvidenza, riproducendo quindi immagini sacre riferibili a bellezze divine. Il Quadro di Marcangione, conteso dalle popolazioni di Catanzaro e Gagliano, fu riconosciuto alla fine di proprietà dell’Arcipretura di Gimigliano, per cui l’Immagine fu custodita nella Chiesa Madre.

Il Quadro rappresenta la Madonna che tiene sul braccio destro Gesù Bambino nell’atto di allattare dal seno della Madre. Due angeli con una mano sostengono una cortina, mentre con l’altro sorreggono la corona posta sul capo della Vergine. Sul manto azzurro è dipinta una stella (caratteristica della Madonna di Costantinopoli o Odigitria). Mancano, rispetto all’icona di Napoli, i particolari del Battista e di Giovanni l’Evangelista, nonché la città di Costantinopoli in preda alla fiamme. Di particolare bellezza è il volto della Madonna, così descritto da mons.Giuseppe Pullano: “Veramente celestiale, spirante soavità e dolcezza; specialmente lo sguardo, che segue sempre l’osservatore, ovunque si ponga è divinamente accogliente, profondamente penetrante al punto da toccare il cuore e da strappare le lagrime: tutti, anche i più indifferenti, anche quelli venuti solo per curiosità lasciano ai piedi di quell’Immagine una lagrima…”.
Gimigliano istituì una devozione tutta particolare per la Madonna di Costantinopoli: la sacra immagine, così come a Costantinopoli, fu ordinariamente coperta da un velo (Lamannis scrive “acciò fosse più venerabile”) e scoperta durante le sacre liturgie; il martedì, come per Costantinopoli e Napoli, divenne anche per Gimigliano il giorno dedicato alla Madonna e si istituì anche la festa del martedì di Pentecoste.
Tra le altre costumanze riconducibili alla tradizione orientale, già alla fine del Settecento si usava precedere, alla festa, la pratica dei Sette Martedì che la precedono (anche in quella circostanza veniva rispettato il digiuno). Nel primo dei Sette Martedì si usava benedire i semi del baco da seta, dinanzi al Quadro della Vergine.

L’apparizione della Madonna di Porto

Il territorio di Gimigliano è lambito dal fiume Corace, l’antico Crotalus, che etimologicamente potrebbe essere inteso come fiume mormorante dei corvi. Avendo una portata caratterizzata da una forte variabilità, il fiume è andato via via ritirandosi formando un larghissimo greto in una vallata distante quattro chilometri da Gimigliano: Porto. Nei tempi antichi, la località assumeva una grande importanza strategica per la comunicazione con i paesi del comprensorio di Gimigliano, in quanto non esistendo il tracciato di strada per Tiriolo e Catanzaro, gli abitanti dei vari centri percorrevano una strada mulattiera che passava appunto da Porto che per la sua posizione rappresentava un punto d’incontro per passanti e viaggiatori. Porto era destinato a diventare, in effetti, un luogo di sacra devozione alla Madonna e un punto di incontro per pellegrini e devoti alla ricerca del “sacro”. A metà del XVIII secolo nei boschi circostanti il paese, viveva un giovane di nome Pietro Gatto. Era da tutti considerato un brigante. In realtà era un semplice ladruncolo, ma era comunque costretto a nascondersi.

Una notte, nell’ottobre del 1753, nel sogno la Madre di Dio lo invita a cambiare vita “…e gli fece sentire essere sua volontà ch’egli Le erigesse una piccola cappellucia, volgarmente detta Cona, colla sua Immagine, consimile al Quadro esistente nella Chiesa di Gimigliano, nel luogo detto Porto, sopra quel promontorio di pietra che gl’indicò e dove, scorrendo il fiume, le andava da vicino ad urtare”.
Il racconto, contenuto nell’opera “la Gran Madre di Dio” di Lamannis, lascia pochi dubbi sulla realtà della vicenda: Pietro Gatto, cioè, aveva deciso di cambiare stile di vita e di convertirsi, anche se nessuno volle prestare attenzione alla sua decisione. Neanche l’arciprete di Gimigliano gli volle credere. Ma Pietro Gatto volle dare ascolto all’invito della Vergine: si recò a Porto e decise di costruire con le sue mani il proprio monumento di fede. Così Pullano interpretò i sentimenti e l’animo di Pietro Gatto : “E’ facile immaginare con quanta devozione e commozione insieme, il nostro giovane abbia compiuto quel lavoro in cui vedeva un disegno divino : ogni pietra che collocava ed assestava era come un nuovo pegno di amore e di riconoscenza. Ma Pietro Gatto non era un muratore, non usò certamente lo squadro ed il piombo, e la cappelluccia riuscì molto ir regolare ed imperfetta”. 

Era sorta un’opera di fede e un piccolo monumento ricco di significato e di valori: Pietro Gatto cambiò radicalmente vita, indossò un saio di frate e mutò il suo nome in Frà Costantino. Visse la sua vita nella valle di Porto, riparandosi in un romitorio costruito in prossimità della “Cona” e soddisfando ai bisogni con l’obolo dei fedeli che, passando da Porto, notavano la piccola costruzione sorta sulle rive del Corace, nella quale il Gatto fece dipingere l’immagine della Madonna di Costantinopoli da un pittore improvvisato. Intorno alla cappelluccia sorse un’artistico piccolo santuario – costruito per preservare la costruzione di Pietro Gatto – che iniziò ad essere meta di costanti pellegrinaggi.
Il Santuario della Madonna di Porto, che è stato il primo ad essere riconosciuto diocesano nel territorio di Catanzaro-Squillace, è così diventato uno dei centri più alti della spiritualità mariana in Calabria.
Un legame storico e devozionale unisce in particolare la città di Catanzaro e l’intera provincia alla Madonna di Porto. Infatti Catanzaro consacrò la sua devozione alla Madonna il 18 maggio del 1948, quando il quadro della Vergine fu accolto da migliaia di persone in Piazza Prefettura e ospitato nella Basilica dell’Immacolata. Fu un avvenimento che rinsaldò l’appartenenza e la memoria storica dei cittadini alla Madonna di Porto, iniziata nel 1807 durante l’invasione delle truppe napoleoniche.

La conversione del Colonnello Gouguet

Il 24 febbraio 1807, i Francesi, dopo accanita lotta occuparono, saccheggiarono e incendiarono Gimigliano. Un colonnello francese, probabilmente il Gouguet, entrato in chiesa e vista l’immagine della Madonna di Costantinopoli, rimase rapito dalla sua bellezza, e subito la fece togliere dalla sua cornice, l’avvolse e la portò a Catanzaro. E’ facile immaginare il dolore dei gimiglianesi che consideravano il Quadro come il pegno più caro dei loro affetti: a tal riguardo lo storico D. Lamannis riferisce che essi “piangevano più la perdita dell’immagine che delle proprie sostanze”.

Alla sera, il citato colonnello, stanco delle fatiche del giorno, si pose a letto, desideroso soltanto di riposo; ma quale non fu la sua grande meraviglia e il suo timore, quando spento il lume, vide all’improvviso illuminata la sua stanza da una luce misteriosa che proveniva dall’immagine della Vergine riposta nell’armadietto.
La meraviglia e il timore nell’animo del vecchio legionario si trasformò in un sentimento di devozione profonda.

Alle prime luci dell’alba scrisse una lettera ai sacerdoti di Gimigliano, pregandoli di andar subito a Catanzaro per ricevere la Sacra Immagine della Madonna che egli intendeva restituire all’amore dei suoi figli.

Il territorio dell’intera provincia fu coinvolto dalla “Peregrinatio” della miracolosa immagine nel 1949: la Madonna di Porto fu ospitata da 47 paesi (del lametino, del soveratese e della presila) che ad essa si consacrarono.

Da allora è un crescendo di devozione, testimoniata dai pellegrinaggi che, frequentati da migliaia di persone provenienti da ogni parte della Calabria, iniziano ufficialmente il primo martedì dopo la Pasqua e raggiungono l’apoteosi nel giorno della festa (il martedì di Pentecoste), quando migliaia di persone invadono Gimigliano e la valle di Porto con un rituale suggestivo, denso di contenuti riferibili alla tradizione popolare orientale : un viaggio verso il luogo sacro compiuto dai più ancora a piedi, l’usanza della “incubatio” nella notte della vigilia, ossia della pratica di vegliare in Chiesa e al santuario e lo scioglimento del voto.

Del fenomeno religioso-popolare di Gimigliano si è occupato il Dipartimento di Sociologia dell’Università di Padova con delle ricerche sul campo che hanno confermato un indiscutibile linea di tendenza : il culto della Madonna di Porto “ripete tutte le parabole dell’esperienza religiosa e traduce il mondo della religione in un mondo vivo, fatto di uomini alla ricerca della loro identità sotto ogni punto di vista”. E aggiungiamo, un’identità fatta di storia sociale, culturale e religiosa di un vasto territorio della provincia di Catanzaro con importanti influenze nel contesto della Regione.

Fonte

http://www.mariadinazareth.it/apparizione%20gimigliano.htm

 

 

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