LA POESIA: CREAZIONE O COMPONIMENTO? di Lucio Castrese Schiano
I costi spesso insostenibili per dare alle stampe un proprio manoscritto costringono un gran numero di prosatori e poeti “minori”, non sponsorizzati e non inseriti nei circuiti commerciali, ad approfittare dell’occasione offerta dai vari concorsi letterari banditi dalle tante accademie ed associazioni sia nazionali che estere, per sperare di far giungere il proprio messaggio ad un pubblico almeno un po’ più numeroso di quello costituito dalla ristretta cerchia di amici e parenti.
Si deve, quindi, solo alla presenza ed alla meritoria azione di tali sodalizi se parte di questa produzione, che pure costituisce patrimonio culturale dell’umanità, viene salvata dall’oblio e consegnata alla storia. I destini di tale produzione, però, si trovano, giocoforza, a dipendere dal giudizio di commissioni appositamente costituite. Purtroppo si ha modo di constatare che in tali sedi di giudizio si continua ad usare indifferentemente lo stesso termine per indicare qualunque insieme di versi.
Ciò ha fatto scaturire, legittima, la domanda sul perché, alle prese con dei versi, le giurie non avvertano il bisogno di precisare cosa o chi stanno premiando: l’ispirazione o la tecnica, il poeta o il rimatore : elementi che dovrebbero essere chiaramente definiti sia nella promulgazione del bando che al momento dell’assegnazione dei titoli. Le osservazioni che seguono si prefiggono proprio questo obiettivo oltre quello di far pervenire un tangibile segno di solidarietà a tutti quegli “addetti ai lavori”, impegnati nel difficile compito di concedere o negare la cittadinanza parnassiana al gran numero di misconosciuti cultori delle Muse. Esse, quindi, vogliono proporsi solo come modesto suggerimento per una revisione dei criteri di giudizio, e, poiché il contributo vuole essere originale il più possibile, ho volutamente eliminata la consultazione di fonti bibliografiche. Ciò non per superbia intellettuale, ma solo per il desiderio di offrire qualcosa che – si spera – non sapesse di stantio o di già detto. Per questo motiv, sfogliando unicamente opere di consultazione, ho limitato la ricerca ai soli lemmi:”poesia”, ”vate” e “invadere”.
LA POESIA:CREAZIONE O COMPONIMENTO ?
Pochi prodotti dell’attività umana sono così faticosamente attuabili e di così difficile interpretazione come quelli dell’ingegno. Un’idea, un’ispirazione, uno stato d’animo, infatti, per la loro realizzazione necessitano della partecipazione dell’intera struttura psicofisica, per cui un giudizio su prodotti così particolari non può essere espresso senza un analogo coinvolgimento delle funzioni intellettive, psichiche ed emotive di chi voglia, o debba, su di essi, esprimere un giudizio.
Una posizione sui generis in tale categoria di prodotti è occupata dalla poesia, nei cui confronti proprio i giudizi scaturiti da una così larga partecipazione di funzioni dovrebbero scongiurare il pericolo di fraintendimenti o confusione fra “poesia” e “componimento in versi”.
Forse l’equivoco è insito nella natura stessa dell’oggetto, considerato che, sulla sua interpretazione, il sapere ufficiale fà registrare più di una posizione. Mentre una parte, infatti, considera la poesia “arte di comporre opere in versi”[1], un’altra la ritiene “espressione di un contenuto spirituale in corrispondenza di particolari schemi ritmici e stilistici … il momento in cui si realizzano individualmente e si rendono intelligibili le possibilità creatrici e suggestive delle intuizioni e della fantasia”[2]
Dalle quali interpretazioni si nota come la prima propenda ad accreditare per poesia un prodotto relativamente vicino all’artificio, mentre la seconda la consideri come un fatto eminentemente spirituale, per la cui realizzazione si rivela fondamentale il concorso dell’ immaginazione e della fantasia. Se fosse valido quanto sostenuto dalla prima definizione, ogni insieme di versi sarebbe da considerare poesia ed ognuno potrebbe sostenere di poter diventare poeta, se alla poesia stessa viene riconosciuta la caratteristica di un’arte, che è possibile, quindi, apprendere ed anche perfezionare, dedicandovisi con studio ed interesse. Ma volendo più giustamente intendere per poesia qualcosa che non interessi solo l’orecchio lasciando tranquillo il cuore, qualcosa la cui tensione non sia puramente verbale e non costituisca alibi per mascherare o la limitatezza dell’ispirazione o il vuoto interiore dell’autore, allora la prima definizione si rivela abbastanza riduttiva, se non addirittura insufficiente, costringendo a cercare altrove, perché poeti non sidiventa, ma si nasce! Infatti un prodotto dell’ ingegno che sia “componimento”, anche se in versi, non è altro che un tema e, come tale, sistemazione organica e consequenziale di idee e concetti che stanno al di fuori della poesia ispirata, l’unica differenza consistendo nella diversità della forma e dello stile in cui vengono elaborati e presentati. In conclusione, il componimento in versi è “costruzione”:prodotto della parte razionale dell’Io, proprio di quella componente, cioè, che non ha diritto di cittadinanza nella sfera della fantasia.
La poesia, invece, è l’apoteosi della parte irrazionale dell’Io.
Poesia e componimento in versi, quindi, non sono legati da alcun rapporto di identità. Tra essi, anzi, ci corre un abisso:lo stesso che passa tra razionalità e fantasia, fra deduzione ed intuizione, perché il poeta è un essere particolare, per l’esistenza in lui di un quid in più un “sesto senso” che, nel momento della ispirazione, vero stato di “ allocoscienza”, [3]lo porta a varcare senza la minima difficoltà gli angusti e meccanicistici confini della fisicità, proiettandolo in una dimensione ultrafisica:l’Altra Dimensione [4], l’eterno ed immenso serbatoio cosmico impregnato di tutta la storia universale, nel quale, in combinazioni e rapporti inimmaginabili da chi tali altezze non riesce a raggiungere, coesistono passato – presente – futuro, avanti – indietro – sopra -sotto. In queste diverse possibilità, in queste differenti fonti di abbeveramento si concretizza la differenza fra “poeta” e “compositore di versi” o “rimatore”, fra creatore e demiurgo.
Si può comprendere, quindi, come il poeta, essenzialmente creatore, non dovendo riordinare alcunché come il demiurgo, non avverta né il bisogno di rallentare né abbia la minima possibilità di fermarsi a riflettere. E ciò per evitare alla propria parte razionale sconfinamenti ed ingerenze che finirebbero per rivelarsi esiziali per la freschezza, l’ immediatezza e la spontaneità dell’ispirazione. Proprio per scongiurare tale pericolo, sono sempre stato contrario a sottoporre a ritocchi la poesia ispirata, convinto che essi, frutto della parte razionale, non servano ad altro che a snaturare l’ispirazione e a produrre, quindi, dei falsi. Solo in un caso ritengo giustificato un tale intervento: quando esso serva a far rappacificare con se stesso il poeta che, ancora non abbandonato dall’ ispirazione (e quindi tuttora immerso in un continuum in cui è alterata la percezione del trascorrere del tempo) si sta intimamente macerando per vincere l’ inadeguatezza del linguaggio umano a rendere appieno la carica emozionale dell’ intuizione-ispirazione che si è impossessata di lui. Perciò, non quando il “ritocco” serva ad appagare mere velleità di preziosismo e/o di esasperato estetismo, ma solo nel caso citato, perché l’animo del poeta, ancora turbato, è tuttora in bilico fra realtà e”oltre”. E’ possibile, infatti, che i contenuti dell’ispirazione siano di tale copia, vastità ed intensità che la mente ed il braccio non riescono a trattenerli prima e fissarli poi graficamente in maniera definitiva.
Non penso che, in una tale situazione, si possa negare al poeta il diritto di continuare a star dietro alla propria creatura, affinché gli riesca di fermare nel modo più soddisfacente un momento tanto al di sopra delle proprie umane possibilità.
Ora, se un’opera originale ed ispirata può correre il rischio di scivolare nell’ insincerità a motivo anche di un modesto ritocco, come giudicare un “componimento” concepito già in partenza dalla fredda logica, per essere costretto nelle angustie di determinati schemi metrici? Necessariamente dovranno compiersi dei sacrifici. E le vittime non potranno essere che la spontaneità e la freschezza. Schemi, regole e metri dovrebbero costituire per i poeti solo bagaglio culturale, nient’altro. Essi, infatti, anche quando riescono ad essere gradevoli, sono “forme” e, quindi, gabbie in cui l’ispirazione subisce violenza, una volta che si riesca a farvela entrare. E’ come imprigionare in trasparenti recipienti di varia capacità, forma e colore acqua di mare o di fiume, che, pur adattandosi ai vari contenitori, non potranno mai far giungere all’orecchio né più la voce del mare né quella del fiume. E sfido chiunque ad accostare l’orecchio ad uno qualunque di tali contenitori e sostenere che le voci che sente sono le stesse delle acque vive del mare ruggente o del fiume impetuoso !
Per questo motivo ritengo che tutti i versi che si presentano inseriti in schemi prefissati ed immodificabili e che indulgono ad una eccessiva cura della forma – avendo dovuto inevitabilmente pagare un tributo sul piano della spontaneità – abbiano un che di artificioso per niente paragonabile a quell’intenso fuoco che è la poesia ispirata, la cui impetuosità e la cui irruenza trovano sicuramente più agevole e naturale accoglienza in versi liberi e/o sciolti, i quali riescono a seguire abbastanza agevolmente le esigenze e le urgenze dell’ispirazione. Dovendo i versi che cadono nella categoria dei “componimenti” tener dietro all’ispirazione, fissarla graficamente e successivamente sistemarla nella rigidità di schemi prestabiliti, ciò comporta un’ interruzione di quel continuum atemporale che caratterizza invece il poeta ispirato.
Nel momento dell’ispirazione, infatti, c’è una netta prevalenza della componente irrazionale -fantastica, per cui si verifica un’attenuazione delle altre facoltà. In tale situazione il contributo della mente e del braccio è limitato alla mera funzione elettromeccanica di registrare e riprodurre graficamente l’intuizione , cercando di tenerle dietro il più velocemente e fedelmente possibile per scongiurare il pericolo di vederla affievolire, se non addirittura svanire. Con ciò non intendo affatto sostenere essere la poesia un fenomeno di mero automatismo grafico, nel quale il poeta venga a porsi nello stesso rapporto di una pellicola in una macchina fotografica, che concorre a registrare , ma senza partecipazione affettiva, visioni pur meravigliose ed ineffabili! No! Perché la poesia è un’opera la cui nascita non può prescindere né dall’esistenza né dalla totale partecipazione del poeta, il cui ruolo va ben oltre quello di semplice strumento. Per valutare figura, ruolo e valore del poeta, vorrei partire dalla definizione più comune con cui egli viene indicato: quella popolare, senz’altro la più efficace dal punto di vista icastico.
Secondo tale definizione il poeta è uno con la testa fra le nuvole. In queste “nuvole” sono tentato di ravvisare un metaforico tentativo per esprimere l’idea di qualcosa che sta al di sopra delle umane possibilità e che per ciò stesso le trascende; un modo per definire l’ultrafisico. In ambienti più colti e raffinati, ove solitamente si danno convegno accademici o “addetti ai lavori” lo stesso poeta viene definito “vate”, ”invasato”. Relativamente a quest’ultimo termine, l’accezione più corrente lo fà derivare dal latino “invadere”, nel significato di “occupare”, ”entrare risolutamente in un luogo, aggredire.[5]Pur se le definizioni appena riportate sono già da sole sufficienti a fornire una spiegazione dell’oggetto, sono tentato di proporre anche un’altra ipotesi per un suo ulteriore chiarimento. Poiché sia l’animo del poeta che il poeta stesso possono paragonarsi ad un metaforico “vaso” in cui vanno a confluire i contenuti del più grande “vaso” rappresentato dall’Altra Dimensione, farei derivare “invasato” da “in + vas” accezione, questa, polivalente che :
- rende in toto i vari significati di “invadere”
- dà l’idea del movimento di avvicinamento reciproco dei due “vas”
- dà l’idea di un contenuto che si trasferisce da un vaso all’altro
- conferma, dulcis in fundo, anche l’affermazione circa lo stato alterato di coscienza del poeta al momento dell’invasazione.
In tale momento, infatti, il contenuto dell’Altra Dimensione “aggredisce” il poeta, ”irrompe” ed “entra risolutamente” nel vaso rappresentato dal suo animo, fino ad “occuparlo” e ad “impadronirsen. Sicché il poeta finisce per non essere più il “normale” uomo di un momento prima, ma, appunto, una persona dalla percezione alterata. Allorché questo stato di rapimento finirà ed il poeta, ritornato con i piedi per terra, tenterà di comunicarcene intensità e potenza, noi potremo valutare la sua grandezza o la sua mediocrità. Potremo definirlo veramente poeta non se, del liquido che ha riempito il suo vaso, si limiterà a dirci semplicemente se era ambrosia o scadente vino, ma se di esso riuscirà a farci avvertire gorgoglìo, aroma e fragranza.
Diversamente ci troveremmo di fronte a persona diversa dal “vate. [6] Dalle numerose testimonianze pervenuteci sia dalla storia che dalla mitologia sappiamo che “parlavano in seguito ad ispirazione”sacerdoti e sacerdotesse, i quali, guarda caso, si diceva che “vaticinassero”. E’ intuitivo, a questo punto, lo strettissimo collegamento, non solo etimologico, ma semantico fra ”vaso”, ”invasazione”, ”vaticinio”, ”vaticinare”. La poesia, quindi, per il citato fenomeno dell’invasazione e del conseguente stato alterato di coscienza, è paragonabile in tutto ad un vaticinio, vate il poeta. Anche per quanto riguarda i rimatori è ipotizzabile che , allorché si accingono a comporre, lo facciano in risposta ad una sorta di “chiamata” della propria componente fantastico – irrazionale . Ma a tale chiamata essi sono costretti a sopperire con la costruzione di un’impalcatura, o perché l’ ispirazione è più blanda e di minor magnitudo (e quindi incapace di sorreggere da sola tutto il peso dell’edificio) oppure perché la stessa “chiamata”, interessando spiriti già tendenzialmente inclini all’artificiosità, incanala automaticamente l’intuizione nelle tortuose volute del cerebralismo, come nelle spire di un alambicco, facendole perdere, spira dopo spira, ogni calore ed ogni genuinità.
Voglio qui precisare cosa intendo per ispirazione:”la quantità di messaggio che, in base al grado complessivo della spiritualità del poeta, riesce ad occuparne l’animo e a sollecitarne la facoltà percettiva”. Sicché, proprio come per gli antichi oracoli, la bontà o la mediocrità del vaticinio dipendono unicamente dall’intensità e dalla natura dell’ ispirazione, che, coniugandosi con una maggiore o minore “vis” del poeta, esprime alla fine un messaggio di molto o poco valore. Perché l’ispirazione, passando attraverso il filtro della sensibilità del poeta, si impregna delle sue essenze e dà un filtrato finale direttamente proporzionale alla ricchezza o povertà di essenze di tale filtro. Proprio questa considerazione mi porta a non poter concordare con chi accomuna sotto lo stesso termine “poesia” e “componimento in versi”. Con ciò non voglio negare valore a questi ultimi , perché qualcosa di accettabile può trovarsi anche in essi. Ritengo, però, che difficilmente versi “costruiti”, in cui si indulge ad una sonorità che “ interessa solo l’orecchio ma lascia tranquillo il cuore”, possano commuovere. Ed in ciò ravviso la sostanziale differenza che separa la poesia dalla letteratura e l’esistenza di autori “grandi” e autori “minori”.
Una conferma a quanto appena sostenuto ci viene dal fatto che, in linea di massima, il rimatore può dedicarsi a “comporre” in qualunque momento, basta che si assegni o che gli venga assegnata una traccia. Il poeta, invece, può fare ciò solo quando arriva l’ ispirazione. E chi sa, o ritiene, di essere poeta conosce bene quel particolare stato d’animo che, presentandosi in maniera vaga ed indistinta, preannuncia l’avvicinarsi del “nume”, gettando l’interessato in tale agitazione da fargli trovar pace solo quando, sfinito, non ritenga di essere riuscito ad interpretare nella maniera più esauriente possibile l’ impenetrabile e sfuggente contenuto dell’ispirazione.
A questo punto si ritiene che la categoria dei “poeti” sia diventata palesemente stretta e debba essere almeno sdoppiata in quelle di “poeti” e “rimatori”. Si è detto, infatti, che la poesia è uno di quei prodotti dell’ingegno la cui realizzazione è resa possibile dal coinvolgimento di tutte le facoltà intellettive e psichiche dell’Io, ed è in rapporto diretto con le particolari suggestioni ed emozioni indotte dall’ispirazione: ispirazione che gioca un ruolo importante sulla suggestione e sull’animo del poeta, mutando continuamente ad ogni cambiamento della sua storia individuale. Ciò porta a reiterare i concetti espressi nella proposizione introduttiva, per la semplice considerazione che, per quanti sforzi si possano fare, nessuno potrà mai “ri–vivere” gli stessi stati d’animo che hanno interessato il poeta al momento dell’ ispirazione, perché, non avendoli vissuti una prima volta, non li può “ri-vivere”, poi perché l’ispirazione stessa è caratterizzata da un’alta percentuale di imprevedibilità, derivante dalle combinazioni veramente infinite cui possono dar luogo alle altrettanto infinite possibilità offerte dal gioco delle probabilità.
Si dimostra, quindi, assurdo pretendere che un qualunque stato d’animo rimanga immutabile come un fotogramma, per presentarsi sempre identico ad ogni momento e ad ogni richiesta. Sicché la prima considerazione che dovrebbe consigliare un minimo di umiltà prima di esprimere giudizi su una poesia dovrebbe essere proprio quella di non ignorare di non essere autori dei versi da giudicare e di percepire, quindi, per induzione, una sensazione più smorzata del pathos e delle condizioni storiche, psichiche ed individuali che hanno motivato ed accompagnato l’ispirazione determinando la nascita di “quella” poesia e non di un’altra. Non tenendo conto di queste difficoltà, si rischia di cadere in fallo. Quale metodo adottare, allora, per esprimere un giudizio esente il più possibile dall’angoscia del dubbio?
Un criterio , forse poco ortodosso ma probabilmente più liberatorio per i giudici, potrebbe essere quello di ricorrere alla più modesta facoltà del “sentire ” . Con essa, e per tentativi successivi, cercare di portarsi su una lunghezza d’onda il più vicino possibile a quella che determinò la nascita della poesia da giudicare … chiudere gli occhi e – servendosi dei versi in esame come vettori – intraprendere lo stesso viaggio verso quella dimensione ove i canoni convenzionali non hanno né senso né validità. Poiché la poesia , tra i risultati immediati, deve conseguire quello di rendere con la minima perdita possibile i contenuti e la carica emozionale dell’ispirazione, se un tale metodo riesce a far vibrare e a commuovere anche l’animo del lettore o del giudice, si può ragionevolmente dedurre che quei versi hanno mantenuto fede alla promessa: sono veramente riusciti a rendere sensibile l’impercettibile, visibile l’occulto, intuibile l’eterno.
E vanno premiati!
Se, invece, tale risultato non viene raggiunto, ci troviamo di fronte a qualcosa di diverso, anche se prodotto da un soggetto di provato valore. Anzi, la notorietà dell’ autore non deve influenzare minimamente il giudizio, perché anche una sorgente luminosa può essere interessata da fenomeni di eclissi.
L’invocata distinzione tra poeti e compositori non deve essere intesa come contrarietà preconcetta verso questi ultimi. Niente di più lontano dalle mie intenzioni. Essa si prefigge solo lo scopo di sollecitare un giudizio di valore sulle due categorie di “operatori culturali”, senza acrimonia , e vuole proporsi semplicemente come suggerimento di un nuovo criterio di valutazione che potrebbe rivelarsi utile per non continuare a confondere prodotti dello spirito accostabili tra loro solo per un rapporto di similitudine e non certo di eguaglianza.
Continuando in tema di opinioni, anche se la ragione mi porta a concludere che la poesia vera è un messaggio che il poeta ha il dovere di diffondere, pur tuttavia , sentimentalmente, sarei più incline a vietarle di varcare i confini dell’intimo, ritenendola reliquia da essere gelosamente custodita dal proprio autore, perché momento della sua storia individuale, meraviglioso, unico ed irripetibile frammento di eternità concesso a lui e a lui soltanto, donna casta che non dovrebbe prestarsi a sfilare per sollecitare o raccogliere consensi … Ma poi quest’accenno di egoismo mi viene immediatamente rintuzzato da quell’inguaribile “ malato di poesia “ che è il mio animo, il quale mi richiama al sacro dovere di rendere compartecipi del messaggio poetico anche gli altri.
E’ proprio per questo, infatti, che esistono quei navigatori dello spazio che sono i poeti, grazie alla cui esistenza ed alla cui opera il resto dell’umanità può “intravedere gli splendori al di là della tomba”. [7]
2° classificato al Premio Letterario Internazionale “Nuovi Orizzonti” 1993 .
© Castrese L. Schiano
[1] O. PIANIGIANI – Vocabolario etimologico della lingua italiana
[2] G. DEVOTO – G. C. OLI Vocabolario illustrato della lingua italiana
[3] In questa situazione, l’animo del poeta è paragonabile allo stato di trance di un medium. La differenza fra i due stati è molto esigua, in considerazione del fatto che entrambi i soggetti si trovano in uno stato alterato di coscienza. Per quanto riguarda il poeta, egli, “rapito” , “ assorto” , è poco attento, poco cosciente della propria soggettività, quasi assente per tutta la durata dell’ispirazione. Così , mentre il medium, in un tale stato alterato di coscienza, può produrre anche fenomeni di xenografia o xenoglossia, il poeta trae da esso emozioni e sensazioni impossibili da intuire e provare in condizioni normali, che renderà poi graficamente
[4] E’ probabile che tutti gli avvenimenti verificatisi dalle origini ai giorni nostri nella storia di tutto il creato impregnino di sé la sensibilissima pellicola che, come una placenta, contiene e collega tutti gli universi, proprio come quelle tracce che è possibile osservare ai raggi ultravioletti o infrarossi per i corpi in movimento, che per noi non esisterebbero senza l’ausilio di quel “terzo occhio” rappresentato appunto da quei filtri che ci permettono di vedere quello che diversamente, pur esistendo, sarebbe invisibile. Sicché nell’ ipotetico serbatoio, che possiamo definire serbatoio cosmico o memoria universale, si trovano tutti questi avvenimenti frammisti tra loro:avvenimenti visibili solo a chi possiede gli occhiali adatti! Ora, per una sorta di affinità, da tale contenuto – totalmente disponibile – ognuno, purché dotato, attinge in ragione della potenza della propria lunghezza d’onda. Quindi la poesia, che potrebbe sembrare quasi un “regalo” che il poeta si ritrova tra le mani e che deve solo prendersi la briga di trascrivere, a ben considerare, non lo è, perché senza una partecipazione totale di tutto se stesso quel contenuto sarebbe sempre un insieme amorfo, indefinito ed irraggiungibile, pur se completamente disponibile. La nascita di una poesia e non di un’altra è strettamente legata al particolare momento storico-esistenziale da cui si trova interessato il poeta al momento dell’ ispirazione. Una qualunque ispirazione , infatti, sarà resa in termini e toni generali diversi, se afferra il poeta in un momento di euforia o di sconforto, di piacere o di dolore. Si pensi alla diversa commozione con cui un medesimo soggetto: l’amore ha fatto vibrare le corde del Foscolo e quelle del Leopardi, facendo loro emettere suoni così distanti e così diversi!
[5]CAMPANINI & CARBONI – Vocabolario Italiano – Latino / Latino -Italiano
[6] VATE, infatti, è ricollegabile alla radice VA di VAS, ed è proprio il VASO che , INVASATO, vaticina, quello che secondo le radici etimologiche di molte lingue, , tra cui la greca PHA di PHATES = “colui che dice”, è indicato come COLUI CHE PARLA IN SEGUITO AD ISPIRAZIONE.(O.Pianigiani;ib.)
[7] Ch.BAUDELAIRE:Saggio su E.A.POE