La prima origine della Questione Meridionale
Viene riconosciuto da più autori che hanno scritto dopo la fine della seconda guerra mondiale che il primo ad avere usato l’espressione Questione Meridionale è stato Antonio Billia, deputato di Corteolona, provincia di Pavia, nato a Udine nel 1831. Questi autori citano come fonte Salvatore Francesco Romano, il quale riferisce questa notizia nella sua Storia della Questione Meridionale. A dire il vero, Romano sostiene che Billia ha parlato di “Problema del Mezzogiorno”.
Il 5 maggio 1873, Billia attribuisce al governo la responsabilità di decisioni che danneggiano il Mezzogiorno dopo giorni che si sta discutendo di un Arsenale da costruire a Taranto e per il quale c’è stata una votazione del Parlamento che, a maggioranza e con voto segreto, si è espresso a favore dell’Arsenale a Taranto e contro il parere del governo Lanza-Sella che questo arsenale non lo voleva.
Quello che convince i deputati, della Sinistra Storica ma anche molti della Destra Storica, a votare contro il governo, è l’argomento che la difesa nazionale è tutta incentrata sul Nord e che sarebbe bene prevedere una struttura nel Meridione per riparare le navi danneggiate senza dover andare a La Spezia o Venezia. Il progetto prevede che gran parte della spesa venga ripagata con la vendita dell’Arsenale di Napoli e di quello di Castellammare. Per entrambi c’era già un compratore. Il costo sarebbe stato, quindi, minimo.
Il governo, però, non sente ragioni, proteso come è all’obiettivo del pareggio del bilancio. Messo in minoranza, il governo rassegna le proprie dimissioni nelle mani di re Vittorio Emanuele II e questi lo rimanda alla Camera con l’obiettivo di far ritirare la decisione presa dal Parlamento. Nella discussione che segue, il Parlamento si piega.
Billia prende atto e pronuncia in Aula parole sacrosante e profetiche: “si manifesta agli occhi di molti, i quali nel ritiro della legge veggono lo svolgimento di un sistema che ha nell’obiettivo speciale una parte solo dell’Italia … il risultato a me sembra codesto: che le provincie meridionali si trattano con tale noncuranza, quasi fossero un accessorio del paese” (pp. 6065-6066).
Perché questa intuizione circa la parzialità della Destra Storica e del re nei confronti del Meridione ce l’ha avuta per primo un friulano? Messo in questi termini il problema, una accettabile risposta può essere che un suddito di lingua italiana dell’Austria, come sono i Friulani, è in condizione di capire che l’Austria, da quando ha smesso di avere i sovrani illuminati del Settecento (Giuseppe I, Maria Teresa, Giuseppe II), tratti le regioni non strategiche dell’Impero con la stessa “noncuranza, quasi fossero un accessorio” dell’Impero. Alcuni dati collaterali indicano che questa ipotesi spiega molto: è nei vecchi territori italiani dell’Impero austriaco che si capisce, prima che altrove, che, nell’ipotesi in cui non si possa
intervenire sui trasferimenti di risorse operati dallo Stato, va elaborata una strategia di mantenimento del risparmio privato locale: Luigi Luzzatti fonda (con altri) la banca popolare di Lodi, Milano, Cremona, Codogno e Faenza in Lombardia ed Emilia Romagna appena queste Regioni entrano nel Regno d’Italia, Giuseppe Zanardelli contribuisce a costruire il Credito Agrario Bresciano e Giuseppe Toniolo costruisce la Banca di Val Camonica, la Banca San Paolo di Brescia, il Banco Ambrosiano. Sono esempi di banche importanti, ma ce ne sono altri e più numerosi di banche più piccole, sino alle leggerissime “banche peote”.
Questi esponenti della classe politica del NordEst, dopo essersi lamentati per decenni del governo dell’Impero che “parlava tedesco”, convinti che questi squilibri nei trasferimenti di risorse finanziarie si verificassero solo negli Stati totalitari, si accorgono che questo può avvenire anche nelle società cosiddette liberali e traducono la metafora sostenendo che il governo italiano “parla dialetto”.
L’altra parte della spiegazione la fornisce il rimando di Billia al suo intervento del 1869, al momento della presentazione del governo Lanza-Sella in Parlamento. Egli ricorda di aver dichiarato, esattamente il 19 dicembre 1869: “l’attuale ministero non rappresenta precisamente né il voto del paese, né i bisogni del momento, perché, se mi si consente la frase, esso rappresenta un gruppo regionale, cioè rappresenta qualche cosa che si potrebbe tradurre, a mio avviso, con queste parole: la prevalenza del dialetto sopra la lingua” (p. 367).
Con quest’ultima espressione, Billia potrebbe aver voluto sottolineare che i ministri del nuovo governo erano: tre Piemontesi, tre Lombardi e un Ligure contro un solo Siciliano. Un solo ministro che non provenga dal Triangolo Industriale. Sarebbe, però, un’interpretazione banale che, nel 1873, avrebbe molto meno valore: nel corso dei tre anni e mezzo di durata del governo, successivi rimpasti portano a dieci ministri del Triangolo Industriale su un totale di quattordici (con una percentuale che scende dall’87.5% al 71,4%).
Il riferimento di Billia al 1869 ha una valenza politica molto maggiore: in quell’anno, Billia presenta una relazione per il gruppo della Sinistra Radicale e vota contro l’esercizio provvisorio del bilancio che verrà, invece, votato dalla Sinistra Storica. È l’atto di nascita di una nuova opposizione che rifiuta il governo che ha approvato la tassa sul macinato, poi, inasprita dal governo Lanza-Sella e ancora più appesantita dal Governo Minghetti dopo il 1873. La tassa sul macinato è una tassa indiretta, imposta, da una maggioranza parlamentare di deputati eletti da gente che paga, nella quasi totalità, tasse dirette sul reddito, a una maggioranza popolare che paga esclusivamente tasse indirette. Una legge che porta a crisi di coscienza nella Destra Storica (Paolo Mantegazza) e nella Sinistra Storica (la scissione della Sinistra Radicale).
La Questione Meridionale viene sollevata, per la prima volta in termini scientifici, da Francesco Saverio Nitti, esponente del Partito Radicale Italiano, originatosi dalla costola meno intransigente della Sinistra Radicale e primo presidente del consiglio nato dopo l’Unità d’Italia. È un segno ulteriore, oltre al fatto che Francesco Crispi non percepisca come centrale il problema dei trasferimenti di risorse finanziarie sollevato dall’utopista Giuseppe Corvaja, del fatto che la Questione Meridionale non poteva essere sollevata dalla Sinistra Storica per l’inadeguatezza culturale di questa formazione politica.
Giuseppe Gangemi