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La questione meridionale: le sue vere origini e cause

Posted by on Feb 21, 2025

La questione meridionale: le sue vere origini e cause

Parlare di divari tra popoli del Sud e quelli del Nord o di casi particolari di colonialismo in ogni continente, spesso discusso ma tanto occultato dai regimi coloniali e, soprattutto, dall’impunità dell’Occidente americano, dovrebbe attirare attenzione alla politica e alla gioventù con lo scopo di poter prevalere in tutto il mondo il concetto di uguaglianza e di solidarietà tra i popoli.

L’imperialismo ha impedito e corrotto questi diritti a tutti i popoli, offrendo protezione e privilegi ai governi e politici sporchi non soltanto di tirannia oligarchica ma anche di colonialismo che, con il passare degli anni, non viene condannato né dal regime che lo ha promosso ai danni di uno o più popoli né dalla comunità internazionale che non seppe niente grazie alla disinformazione dei mass media favorevoli a quel regime. Inoltre non vengono presi in considerazione anche i mali propriamente e direttamente causati dal colonialismo senza essere nemmeno risolti, tra questi è la tristemente conosciuta questione meridionale. Tanto è stato detto e discusso nel Parlamento, nelle tv, nei documentari, nelle scuole e nelle università ma non si è fatto niente per risolverla per una serie di motivi. Una serie di leggi speciali e di organi straordinari sono stati istituti dal governo “italiano” con lo scopo di risolvere quella questione, ma pure anch’esse sono arrivati a non portare una necessaria risoluzione della questione meridionale. La questione meridionale è un tema molto serio ma rimane inviso per il governo e i politici entrambi disinteressati per affrontare la questione meridionale. Però potrebbe sorgere il principale problema per la comprensione precisa della questione meridionale: l’esistenza dei due meridionalismi. Nella conoscenza storica di tale questione, la storiografia coloniale unitaria impiega maggiormente le tesi storiche del meridionalismo colonizzatore per dimostrare la vicinanza “statale” verso il Sud oppure per giustificare le sue politiche promosse nei confronti dei due popoli napolitani e siciliani. Secondo le opere dei meridionalisti colonizzatori, il Meridione ha vissuto per anni momenti di arretratezza e di poca modernità a causa della politica “aristocratica” dei Borbone (cosa che in realtà non è vero) ed è caratterizzato dalla mancanza di senso dei valori civici (Tant’è che Pasquale Villari arrivò a definire i contadini napolitani come semibarbari) e di apertura alle innovazioni.

Il meridionalismo colonizzatore è stato ed è tutt’oggi l’unico movimento culturale e politico ben visto e accettato dal governo “italiano” visto che la maggior parte dei suoi membri (intellettuali, politici e attivisti dell’antimafia) offrirono supporto e diffusione delle leggi e dei modelli di ricostruzione promosse dallo stesso governo e dalla partitocrazia “italiana”. I meridionalisti colonizzatori affrontarono la questione meridionale prendendo spunto dai testi e racconti dei politici filo-sabaudi che, per sbaglio, capovolsero la vera realtà del popolo napolitano e della penisola italica. Infatti essi crederono fin troppo all’ideale risorgimentale (di facciata ma di fatto legato al colonialismo sabaudo), iniziando a rivolgere appelli di salvezza soltanto allo Stato “unitario” per far risollevare il Meridione dalle sue condizioni “naturali” dell’arretratezza, sempre secondo gli stessi autori. Un altro motivo che spinse gli stessi meridionalisti colonizzatori a voler parlare di questione meridionale è il “brigantaggio”, nei cui confronti sono state messe in atto tesi ideologicamente liberali e comuniste: C’è chi dice che i “briganti” erano dediti esclusivamente alla delinquenza comune, sobillati dalle famiglie latifondiste borboniche per violare la “sacra” unità nazionale e c’è chi dice che i “briganti” erano contadini che dettero origine ad una lotta di classe contro i ricchi proprietari fedeli prima ai Borbone e poi ai Savoia. Grazie all’utilizzo di queste tesi ideologico-storiche che ha rafforzato l’interesse del meridionalismo colonizzatore nell’interpretazione “ufficiale” (ossia coloniale) della questione meridionale, per poi passare alle iniziative di solidarietà verso famiglie e bambini napolitani e siciliani poveri attraverso gli istituti nazionali e organi finanziari, tra cui l’ANIMI (Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d’Italia) fondata nel 1910 dagli intellettuali della stessa corrente “ufficiale” e la Cassa del Mezzogiorno fondata nel 1950 dal Governo De Gasperi, sempre su ispirazione del meridionalismo colonizzatore. Unica cosa che ci può dubitare è in che modo il meridionalismo colonizzatore intendeva ed intende interpretare la irrisolta questione meridionale, rimanendo in seguito ignaro delle conseguenze che potrebbero venirne fuori. Prima di tutto, l’arretratezza e il “brigantaggio” sono state le occasioni opportune per mettere in atto una descrizione negativa verso il popolo napolitano e siciliano (che verrà imposto su tutti i libri di storia scolastici e universitari), d’altronde compiuta non soltanto dagli intellettuali ma anche dai militari che condussero la campagna di repressione del “brigantaggio” nelle province napolitane. Inoltre gli intellettuali del meridionalismo colonizzatore e l’ambiente militare filo-sabaudo si avvicinarono sia ai racconti dei “patrioti” e “martiri del Risorgimento” sia alle teorie del razzismo scientifico, in particolare quelle di Cesare Lombroso, sui rapporti con la parte povera dei territori napolitani. Da una serie di accuse (demonizzate) rivolte ai Borbone “per aver impoverito”, “impedito allo sviluppo industriale” e “represso con il sangue i moti rivoluzionari nel Meridione” a una visione antropologica esagerata sugli aspetti fisici e psicologici degli abitanti napolitani, siciliani e sardi, compresi coloro che sono stati per forza ribelli (e non briganti) verso il regime filo-sabaudo. La divisione della razza italiana in “razza superiore/ariana” (padani, veneti, arpitani, sudtirolesi, toscani e, in seguito, triestini) e “razza inferiore/africana” (napolitani, siciliani e sardi), secondo quanto auspicato da Lombroso e anche dai suoi colleghi, abbia influenzato il meridionalismo colonizzatore, il quale continuò ad imporre ripetutamente gli aspetti negativi verso la storia e cultura del popolo napolitano ma conferendo solamente gli aspetti positivi al popolo padano (ignorando i suoi problemi sociali e politici dell’epoca). Un’altra caratteristica presente al centro dell’interesse del meridionalismo colonizzatore è la connessione tra l’emigrazione e la questione meridionale, per il fatto che i napolitani e i siciliani sono costretti a partire alla ricerca di un futuro o nelle regioni padane o negli altri Stati stranieri, dove l’accoglienza è stata al quanto poco fraterna nei loro confronti tant’è che dovettero subire una serie di insulti e dei tentativi di assimilazione al proprio Stato ospite per volere delle oligarchie dominanti e governanti. Per quanto riguarda il tema dell’emigrazione, il meridionalismo colonizzatore ha avuto tra i suoi esponenti anche i politici e gli intellettuali padani, tra cui Zanotti Bianco, che volevano “aiutare” gli intellettuali del “Sud” a supportare i nostri abitanti napolitani e i siciliani poveri anche attraverso le iniziative promosse dall’ANIMI (finanziamento per la realizzazione delle scuole per contrastare l’analfabetismo dilagante in quell’epoca, ma non bastava) e dalla Cassa di Mezzogiorno (costruzione di case e aziende da parte dell’imprenditoria padana) oppure aiutarli a farli fuggire dalle aree arretrate (il caso del “Treno della felicità”) o colpite da catastrofi naturali (come avvenne in Calabria nel 1951) verso le regioni padane, senza frenare l’emigrazione di massa napolitana e siciliana. Però se l’emigrazione di massa non veniva appunto frenata, di più aumentava il divario tra Nord e Sud che, secondo gli stessi meridionalisti colonizzatori, è dovuto al mancato sviluppo industriale e alla difficile gestione dei fondi da parte del governo, lasciando irrisolta la questione meridionale. Guarda caso il meridionalismo colonizzatore manifesta propriamente la sua fiducia verso lo Stato con la speranza che esso promuova il proprio piano economico e le sue leggi che furono emanate anche dietro la spinta dei partiti e degli esponenti del meridionalismo colonizzatore. Il rapporto tra i meridionalisti colonizzatori e lo Stato “italiano” è sempre stato collaborativo, pur di impegnarsi a garantire piani e incentivi a favore delle province napolitane. Proprio da quel rapporto che deriva anche la presenza del “movimento antimafia” all’interno della stessa corrente coloniale, in cui molti intellettuali, politici, giudici e pubblici ufficiali scrissero articoli, rapporti e inchieste che evidenziarono maggiormente l’attaccamento degli abitanti napolitani e siciliani alla loro arretratezza sociale ed economica, criticandoli per la loro mancata cooperazione lavorativa e di essere dediti alla schiavitù e alla delinquenza comune all’interno della propria comunità locale o famiglia di origine in base alle indagini di altri intellettuali visitatori delle province napolitane (nel 1958 il sociologo americano Edward C. Banfield, con il suo libro “The Moral Basis of a Backward Society” e influenzato dalla teoria lombrosiana, affermò il concetto di familismo amorale derivante dall’atteggiamento egoistico di una famiglia e alla sua chiusura presso la collettività oppure la “scoperta” di Carlo Levi con il suo romanzo “Cristo si è fermato a Eboli” sulla mancanza di conoscenza dei valori civili e della capacità di rassicurazione ai problemi da parte dei contadini poveri di Aliano). Tante iniziative furono promosse dal meridionalismo colonizzatore e dal “decantato” Stato “italiano” ma niente si fece per frenare e risolvere la questione meridionale. Fin qui spunta una domanda molto fondamentale: Perché? Ma subito si può arrivare ad una semplice risposta per il fatto innegabile che il meridionalismo colonizzatore si dedicava alla descrizione della questione meridionale mediante ed esclusivamente i testi scolastici e i pensieri culturali degli intellettuali, politici e militari filo-sabaudi, stranieri e dell’antimafia. Seguendo questo metodo che la questione meridionale non viene percepita dal punto di vista reale ma secondo le visioni ideologiche e “ufficiali” dei meridionalisti colonizzatori, contribuendo a favorire ingiustamente il razzismo unitario, un crimine rimasto impunito ma nuovamente legalizzato con l’approvazione dell’Autonomia differenziata. Sebbene c’è stato l’impegno dell’ANIMI di aver finanziato scuole e asili nidi per i bambini napolitani e siciliani poveri, in realtà il meridionalismo colonizzatore non ha avuto né la capacità né la pura onestà di denunciare spontaneamente la politica coloniale dello Stato “italiano” che effettivamente danneggiava le condizioni di vita degli abitanti napolitani e siciliani, di cui si dissociarono i suoi membri, in particolare Gaetano Salvemini che con la sua lettera del 1911 ammise lo sfruttamento della Nazione Napolitana  come una colonia al servizio della Padania e auspicava una necessaria formula di separazione politica tra i due popoli italici; Antonio de Viti de Marco accusava la protezione degli interessi industriali delle regioni padane di aver danneggiato l’economia e lo sviluppo dei popoli della Napolitania e della Sicilia ed Ettore Ciccotti con il suo libro “Mezzogiorno e Settentrione d’Italia” (1898) confessò la presenza di un “antisemitismo italiano” mosso dalla volontà dei razzisti padani di paragonare i napolitani alla categoria di “persone poco affidabili e volgari”. Anche se pure lo stesso Sidney Sonnino, durante la sua inchiesta parlamentare in Sicilia nel 1876, notò un forte pregiudizio razzista rivolto contro la stessa isola e i suoi abitanti, considerando l’indipendenza come unica soluzione per la risoluzione della Questione siciliana riconoscendo “l’intelligenza e l’energia della sua popolazione”. I meridionalisti colonizzatori non difesero né fecero prevalere gli interessi dei contadini e dell’intero popolo napolitano lasciando che lo Stato “italiano” continui a portare avanti la sua politica di discriminazione (vera e propria) contro gli stessi napolitani e i siciliani, a differenza di altri popoli colonizzati che, con il passare degli anni, riuscirono a manifestare le proprie rivendicazioni identitarie e nazionaliste in conciliazione con i bisogni sociali dei ceti bisognosi contro le politiche oppressive dei loro Stati coloniali, come ad esempio la “Land War” in Irlanda tra il 1879 e il 1882 condotta dai contadini supportati dalla Irish National Land League e dalla Irish Republican Brotherhood; in India tra gli anni Venti e Quaranta del Novecento dalla guerriglia condotta dall’Associazione repubblicana socialista dell’Hindustan (HSRA) dopo l’abbandono della inefficace disobbedienza civile pacifica di Ghandi; in Algeria tra il 1954 e il 1962 con una guerra d’indipendenza condotta e guidata dal solo Fronte di Liberazione Nazionale (FLN) attraverso la partecipazione di donne, poveri e degli ulema fino alla conquista dell’indipendenza avvenuta nel 1962; in Sicilia con il Movimento per l’Indipendenza della Sicilia che, tra 1944 e il 1950, supportò il popolo isolano anche grazie alla partecipazione dei comunisti che credevano alla causa nazionale del proprio popolo attraverso la condivisione del concetto di “repubblica sociale” e, soprattutto, anche nelle nostre province napolitane nel 1799, nel 1806-10 e nel 1860-70 quando la ribellione era mossa dall’unione sociale e patriottica tra popolani e nobili benevoli (di cui il deputato padano Giuseppe Ferrari ne elogiò attraverso un interpellanza parlamentare per protestare contro l’uso della violenza dei soldati sabaudi contro il popolo napolitano e i suoi patrioti insorti e anche dall’abate calabro-napolitano Domenico Sacchinelli, Segretario alla Segreteria dell’Armata, con la sua biografia “Memorie storiche sulla vita del Cardinale Fabrizio Ruffo” (1836), affermò che il partito dei realisti “comprendeva tutt’i ceti della popolazione, colla differenza però che le persone religiose e gli uomini pacifici, senza mischiarsi negli affari politici, gemevano sulle calamità della patria e dell’umanità. Tutti gli altri poi del popolo e della plebe, vinti, ma non convinti nelle fatali, per essi, giornate del 21 e 22 gennaio, sebbene tenuti a freno col rigore e colle continue fucilazioni, non aspettavano che qualche aiuto esterno per insorgere, e dare sfogo alle loro vendette contro i giacobini. Codesti realisti vengono ingiuriati cò nomi di Santafedi e di Briganti”). Purtroppo quei due ultimi esempi appena citati e descritti rimangono fuori dal pensiero del meridionalismo colonizzatore visto che esso è propenso alla condivisione delle tesi ideologiche nello studio delle cause della questione meridionale. Di qui possono emergere le motivazioni principali della mancata capacità di denuncia del colonialismo padano da parte del meridionalismo colonizzatore: il primo, ovviamente, dipende dal forte rapporto di fiducia manifestata dal mondo intellettuale e politico verso lo Stato “italiano” e a sostenere le sue politiche “a favore del Sud e delle isole”; il secondo deriva dalla negazione d’appartenenza dei due popoli colonizzati da parte degli stessi intellettuali e politici che non si resero conto gli effetti negativi derivanti dalle politiche di quello Stato e il terzo motivo, invece, è molto noto il sostegno di quegli intellettuali e politici all’operazione di esportazione coloniale dei modelli ideologici, economici, sociali e culturali provenienti dalla Padania per “civilizzare” gli abitanti napolitani e siciliani poveri.

I primi due si collegano ad un caso che Loreto Giovannone, con il suo libro “La faccia nascosta del Risorgimento” (2020), definisce concretamente la “transumanza ideologica” di cui fanno parte tre intellettuali citati dall’autore stesso: Francesco de Sanctis, Pasquale Villari e Benedetto Croce, i quali adempierono i propri e diversi scopi attinenti alle politiche del nascente regime italo-sabaudo. De Sanctis sostenne la pulizia etnica imposta dal governo di Torino contro il popolo napolitano attraverso la distruzione delle leggi, degli istituti, dell’economia e della sua indipendenza per poter favorire l’espansione della legislazione piemontese sui territori indubbiamente estranei ad essa, mentre Villari e Croce occultarono illegalmente tale crimine dai libri di storia per lasciar prevalere i racconti “ufficiali” (sabaudi) del nuovo regime unitario, imputando la causa dell’arretratezza e del brigantaggio all’atteggiamento dei contadini e alla politica dei Borbone (i cui sovrani, in realtà, si erano impegnati a mantenere un’economia inclusiva e neutrale, fondata sulla bassa pressione fiscale e sulla limitazione dei privilegi dei pubblici ufficiali corrotti e dei nobili egoisti). Un altro esempio è Giuseppe Massari, politico filo-sabaudo, che nel 1863 guidò una commissione d’inchiesta parlamentare pubblicando una relazione sui fatti legati alla resistenza partigiana dei napolitani, arrivando a definirla sia come “brigantaggio” sia come “frutto di delinquenza comune e retaggio del vecchio regime” per consentire, in seguito, l’applicazione della Legge Pica che rafforzò la repressione coloniale sabauda contro la resistenza napolitana, a causa della quale è ben chiaro che sia Pica sia Massari abbiano tradito il proprio e nostro popolo che meritava di vivere in pace, ma la risposta alla relazione Massari fu la replica napolitana scritta dal marchese Giorgio Palomba su invito di Francesco II di Borbone per protestare contro quella relazione parlamentare con l’accusa dei piemontesi di aver “sottratto da Napoli il patrimonio privato di Francesco II di Borbone, confiscato i beni ecclesiastici, spogliato le chiese da tutta l’argenteria, ucciso quelli che gli si opponevano contro, distrutto e arso col fuoco interi paesi e ridotta Napoli alla miseria” (La verità e menzogne sul brigantaggio. La sconosciuta replica della Corte borbonica alla relazione Massari, 2018). Il tradimento di Massari è ben paragonabile a quella degli “professionisti” del movimento antimafia (come il caso dei due siciliani Umberto Santino e Virgilio Titone, il primo fondatore del Centro siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato” e il secondo scrittore, che fanno un inutile paragone storico tra criminalità organizzata e i movimenti identitari dei due popoli, recando una grave offesa alla loro terra di appartenenza e sul rapporto tra “separatismo siciliano” e mafia, che secondo Santino sono interamente connesse, ci dicono molto Giuseppe Scianò con il suo libro “… e nel mese di maggio del 1860 la Sicilia diventò <<colonia>>!”, mediante il quale affermò che “il ruolo della mafia, che appesta la vita pubblica e l’economia in Sicilia, è soprattutto quello di contrastare il nazionalismo siciliano, prima e dopo il 1860. Non agirà mai con il popolo siciliano e per il popolo siciliano, ma per se stessa. Anche contro il popolo siciliano ed i suoi interessi vitali, i suoi valori, il suo diritto alla libertà”, e Concetto Gallo che, nell’intervista del 1974, ammise il forte attaccamento dell’intero popolo siciliano alla sua causa indipendentista e la rabbia della Mafia di don Calò Vizzini per la mancanza del suo spazio di potere vista la prevalenza popolare dell’EVIS e del partito MIS) o quelli legati al razzismo unitario ma sostenitori delle tesi del meridionalismo colonizzatore (come il caso dei napolitani Luca Addante e Carmine Pinto segnalati dal professore calabro-napolitano Giuseppe Gangemi, di cui il primo di origini calabresi ha imitato lo stesso metodo di paragone ingiustificato condotto dal siciliano Santino attraverso il suo libro “I cannibali dei Borbone: Antropofagia e politica nell’Europa moderna” (2021) perché se quell’ascaro “attivista dell’antimafia” ebbe la libertà di accusare l’indipendentismo siciliano di avere connotazioni mafiose, anche lo stesso Addante lega le attività dei neoborbonici alla gloria del trio mafioso, ossia camorra, ‘ndrangheta e sacra corona unita, ma arriva persino a definire la resistenza seriamente patriottica degli abitanti napolitani e dei soldati sanfedisti contro l’occupazione militare francese del 1799 “un atto di cannibalismo”, una descrizione ovviamente fuori dalla vera realtà del nostro popolo. Mentre il secondo di origini salernitane sia riafferma il carattere cannibale della resistenza patriottica del 1799 sia impone una differenza razziale tra Patrioti diffamati “Briganti” e “Italiani Unitari” con il suo libro “La Guerra per il Mezzogiorno. Italiani, Borbonici e Briganti, 1860-1870” (2019), chiarendo che i primi sono definiti come “razza africana” e i secondi come “razza ariana” in quanto i primi supportarono la guerra di conquista e d’invasione sabauda, condividendo la visione razzista di Lombroso, di Villari e dello stesso Addante). Il terzo motivo precedentemente descritto si ricollega direttamente al rapporto di forte fiducia tra il meridionalismo colonizzatore e lo Stato “italiano”, sul quale c’è lo dice lo stesso Antonio de Viti de Marco: “Fino a quando noi faremo durare la sperequazione noi non saremo un grande paese ma un piccolo stato che sta a piè delle Alpi e una popolosa colonia di sfruttamento, che si stende lungo l’Appennino al mare. Nell’ora attuale siamo alle mercè degli industriali che hanno il loro quartiere generale nello Stato libero di Sant’Ambrogio, e di là dirigono, capi irresponsabili, la politica commerciale italiana. Ma di meridionali pronti a fare gli interessi del Settentrione, è piena la storia politica d’Italia ed è pieno il Mezzogiorno”.

In altre parole il meridionalismo colonizzatore, in quanto sostenitore delle tesi ideologiche filo-sabaude contrarie alla vera realtà del popolo napolitano e della teoria lombrosiana sulla differenza tra “razza ariana” e “razza africana”, è il rinnegatore dell’esistenza patriottica dei due popoli italici e mediterranei che, pur di voler impegnarsi a risolvere la questione meridionale e a sostenere il “Sud e le isole” con i piani di sviluppo “promossi” dallo Stato “italiano”, giustifica dannosamente la politica di puro segregazionismo coloniale-razzista del governo della Malaunità a sfavore dei napolitani e siciliani. La mancanza di denuncia anticoloniale da parte del meridionalismo colonizzatore rende ben chiaro una cosa: quegli intellettuali, quei politici, quei militari, quei giudici e, soprattutto, quegli attivisti dell’antimafia che così tanto dicono di amare i due popoli in cui sono nati, negano e tradirono quei popoli che detengono senza vergogna le proprie identità nazionali e culturali, nonostante che entrambi vengono trattati impunemente come VERE colonie di sfruttamento, compresa anche la Sardegna. Se la questione algerina era stata causata dall’emarginazione coloniale della popolazione algerina dal sistema giuridico, economico e sociale della Francia (proprio com’era avvenuto al popolo irlandese), allora che sia ben chiaro a tutti quei meridionalisti colonizzatori, di fatto rinnegatori e traditori dei due popoli di loro appartenenza, ad altri ascari, lombrosiani e al governo della Malaunità questa verità innegabile e priva di toni propagandistici: La questione meridionale è nata dalla piemontesizzazione che è la sua causa iniziale, oltre ad essere l’origine del colonialismo padano e del razzismo unitario. La si può capire con la rapina delle casse finanziarie, la chiusura delle famose strutture produttive (Mongiana, Pietrarsa ed etc.), la violenta epurazione nelle nuove amministrazioni e istituzioni “unitarie” e le fucilazioni senza processo contro gli abitanti  insorgenti napolitani diffamati dagli esaltati “italiani” come briganti. La Napolitania non ha la colpa di essere l’origine della questione meridionale, come la Sicilia non rappresenta la vergogna della mafia, come affermò giustamente il pentito Napoleone Colajanni, proprio perché sono quei colonizzatori sabaudi che hanno inaugurato un nuovo regime iniquo, illegittimo e spietato, permettendosi di autodefinirlo agli occhi d’Europa con il nome di “Regno d’Italia”. Purtroppo il meridionalismo colonizzatore non riconosce l’esistenza della natura coloniale interno del sistema statale italiano, oscurando le testimonianze e le scoperte di verità storiche condotte da seri storici, intellettuali e politici pentiti che manifestarono il proprio amore verso il nostro popolo napolitano, in particolare De’ Sivo, Proto Carafa, Don Buttà, Salvemini, Ciccotti, Manna, Alianello, Zitara, Aprile, De Crescenzo, Gangemi e molti altri. In Calabria, per esempio, riconoscendo il lavoro onesto di Zanotti Bianco di aver speso soldi nell’aver costruito le scuole nelle seguenti città calabresi dello Stretto, compreso l’Africo distrutto dall’alluvione del 1951 e tuttora abbandonato, però egli condivise il concetto mazziniano affiancando il dovere di offrire assistenza alle famiglie napolitane povere alla “importantissima” presenza dello Stato, ma soltanto con le denuncie di Corrado Alvaro e di Nicola Zitara si arriva a comprendere che quelle città calabresi rimasero arretrate proprio per colpa delle politiche coloniali del governo razzista italo-padano, rendendo chiaro il fatto che Alvaro affermò la condizione di colonia inflitta al nostro popolo napolitano e Zitara disse realmente “Il Meridione è oggi un paese che si identifica solo per negazione. I meridionali sono italiani negati dalla stessa Italia”. Non soltanto la Calabria ma anche tutte le province napolitane assistono dolorosamente la ingiusta discriminazione coloniale contro i nostri abitanti che, in realtà, vorrebbero vedere una vera rinascita identitaria, culturale ed economica della nostra Nazione Napolitana. Inoltre il meridionalismo colonizzatore viene attualmente rafforzato da altri intellettuali pronti a lasciare irrisolta la questione meridionale con frasi e libri inneggianti al colonialismo padano, come il caso del “vittimismo meridionale” che è a tutti gli effetti un’accusa falsa, d’altronde utilizzata anche dall’ascaro siciliano Titone, con lo scopo sia di giustificare il colonialismo padano supportato dal governo della Malaunità e dal cinema lombrosiano sia a far prevalere le ragioni razziste dell’oligarchia padana e dei suoi attenti collaboratori ascari, tra cui gli stessi napolitani, e forse proprio con la mancata denuncia di colonialismo da parte dello stesso meridionalismo colonizzatore che gli stereotipi negativi fomentati dalla oligarchia padana, dagli ascari, dai lombrosiani del cinema “italiano” e dalla propaganda razzista unitaria sono sopravissuti e persistono tutt’oggi, come ammise Antonino De Francesco con il suo libro “La palla al piede: una storia del pregiudizio antimeridionale” (2012), ma l’unico scopo per contrastare questa e altre false accuse dei sostenitori del razzismo unitario sarebbe proprio alla ricerca e alla manifestazione spontanea e morale dell’identità culturale e civile del popolo napolitano. Non è affatto né vero né propagandistico che il nostro Regno delle Due Sicilie era chiuso alle innovazione ed è diventato una nostalgia per chi “fomenta le divisioni”, perché va detto realmente che il nostro Regno è stato uno Stato libero e indipendente con la sua economia mista e neutrale, con una bassa pressione fiscale (con 5 tasse ma senza impedire agli investimenti per le opere di infrastrutture grazie al decreto dell’11 gennaio 1831 per il taglio ai stipendi d’oro e con un protezionismo doganale moderato, quindi aperto alle esportazioni), con una serie di istituti sociali (regie scuole, regi asili nidi, regie università, istituti di beneficienza, ospedali, monti frumentari, monti di pegno, società d’incoraggiamento), con una garanzia di benefici a favore dei bisognosi (reddito di cittadinanza con il decreto del gennaio del 1831, usi civici del 1792 ma rafforzati nel febbraio del 1836 ed applicati in Sicilia nel 1838 per estirpare la feudalità, l’acquisizione della cittadinanza duosiciliana da parte dei stranieri con la legge del 1817, l’impunità dell’omosessualità da parte del Codice civile e penale per lo Regno delle Due Sicilie del 1819) e seriamente aperto alle innovazioni moderne (i primi telegrafi, industrie metal-chirurgiche, certificato di  origine per l’olio d’oliva con il decreto del 12 dicembre 1844, le porcellane moderne, le varie cartiere, industrie conciarie, industrie salinare, le ferrovie moderne, le strade ferrate, industrie del cotone), come sicuramente si verificarono tali innovazioni negli altri Stati d’Italia ed europei, anche se la differenza è che mentre quegli Stati (sia europei sia soltanto nel Piemonte dei Savoia) finivano nelle mani delle oligarchie di diversa ideologia, nelle Due Sicilie i sovrani mantennero la fiducia verso il popolo senza rinunciare il riformismo, come di fatto ammetterà Giuseppe Ressa nel suo libro “Il Sud e l’Unità d’Italia” (2003). Se i meridionalisti colonizzatori, diventanti anch’essi ascari, e il governo della Malaunità pensano di voler risolvere la questione meridionale per poi lasciarlo irrisolto diffondendo le tesi del razzismo unitario, allora la vera soluzione di quel irrisolto problema è l’assoluta presa di coscienza identitaria e, se è necessario, la conquista (non vittimistica, né mafiosa, né propagandistica, né filo-imperialista ma esclusivamente popolare e spontanea) dell’indipendenza napolitana, perché il nostro popolo merita di vivere nella pace e nella libertà per non essere mai più trattato come una colonia anche sotto falsi nomi impostegli dagli ascari e dal governo della Malaunità, ossia mai più “meridionali”, “sudisti”, “Sud”, “Meridione” e “Mezzogiorno”, ma soltanto napolitani e, ancor meglio, fratelli e sorelle della nostra bellissima, secolare ed esistita Napolitania. 

Antonino Russo

2 Comments

  1. Ho inserito alcune fonti nell’articolo proprio per specificare le vere cause della questione meridionale ancora irrisolta.

  2. Come avere questo Studio/articolo che forse compare in una pubblicazione ad hoc. Attendo e ringrazio fin D’ora. Caterina Ossi

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