LA REGINA MARIA SOFIA, l’ULTIMA VERA REGINA (II parte)
Maria Sofia, forte del suo temperamento tedesco, malgrado la giovanissima età, capì subito che la politica del Regno era nelle mani di Maria Teresa, che godeva dell’appoggio della Corte e del partito filoaustriaco. La regina madre, infatti, aveva esercitato tutta la sua influenza sul marito, pur essendo Ferdinando autoritario e deciso, e pensò di continuare l’opera di soggezione con il nuovo re, di cui conosceva il carattere timido e remissivo.
Le sue mire furono subito contrastate dal fiero orgoglio della Wittelsbach, che si mise subito in urto con la suocera e rivendicò con fermezza il suo ruolo di regina, avendo capito che Francesco non aveva alcuna competenza in fatto di politica e di affari di Stato.
Fu Maria Sofia, infatti, a convincere il marito, subito dopo l’incoronazione, a concedere l’amnistia ai detenuti politici per gli avvenimenti del ’48 e a ordinare l’abolizione della schedatura di tutti quei cittadini in fama di essere liberali. In pratica, gli affari di Stato passarono nelle mani della regina malgrado l’ostilità della Corte tutta schierata a favore della vedova di Ferdinando.
Maria Sofia rivelò subito un carattere forte e deciso, idee molto chiare ed un coraggio impensabile in una fanciulla appena diciottenne. La prima occasione in cui la regina dimostrò appieno il suo temperamento avvenne circa un mese dopo la sua incoronazione, quando a Napoli scoppiò la rivolta dei mercenari svizzeri.
Ferdinando II, molto consapevole ed esperto di arti militari, aveva infatti creato nel suo esercito quattro reggimenti di mercenari svizzeri coraggiosi, forti e bene addestrati al combattimento, costituivano l’orgoglio del re e rappresentavano la punta di diamante dell’esercito borbonico. Quando la Svizzera decise di abolire il mercenariato, che costituiva un residuo anacronistico degli eserciti dell’età moderna, il governo elvetico ordinò a tutti i mercenari svizzeri di togliere dalle loro uniformi i simboli cantonali, minacciandoli di privarli della cittadinanza.
Questi soldati avevano sempre goduto della protezione e della benevolenza di re Ferdinando, che li considerava fedelissimi ed esperti nell’arte della guerra. Pertanto accusarono il nuovo re di avere ignorato i loro diritti e di non averli saputi difendere adeguatamente dai provvedimenti del governo svizzero.
La rivolta dei mercenari scoppiò la sera del 7 luglio e si estese rapidamente con violenza in tutta Napoli: furono incendiati negozi, infrante a fucilate le finestre delle abitazioni, distrutte alcune carrozze nobiliari; intorno alla mezzanotte i rivoltosi si piazzarono dinanzi alla reggia di Capodimonte, dove soggiornava la famiglia reale.
La paura fu grandissima: la regina madre, presa dal panico, raccolse i figli e si preparò alla fuga; Francesco si chiuse in preghiera nella stanza della madre. Solo Maria Sofia dimostrò il suo coraggio ed il suo forte temperamento: si affacciò dalla terrazza e cominciò ad inveire in tedesco contro i rivoltosi, ordinando subito dopo ad un ufficiale della scorta reale di trattare con i mercenari in rivolta.
La piena fermezza della giovane regina e il suo fiero comportamento ebbero l’effetto di placare gli animi e sedare la rivolta. Purtroppo, però, mentre i rivoltosi stavano per allontanarsi, giunse sul posto un reggimento di mercenari rimasti fedeli alla Corona e fu scontro a fuoco violentissimo, con morti e feriti da ambo le parti.
Qualche giorno dopo questi avvenimenti giunse dalla Curia Pontificia la notizia che il Papa aveva proclamato “venerabile” la regina Maria Cristina. Francesco considerò questo fatto quale un celeste intervento della madre in occasione dei drammatici avvenimenti di quei giorni.
Dopo la vittoria della coalizione franco-piemontese a Magenta, erano scoppiati a Napoli alcuni focolai insurrezionali rapidamente soffocati. Maria Sofia aveva percepito il campanello di allarme e, sebbene fosse ancora estranea alla politica del Regno ed agli affari di Stato, capì che al timone del governo napoletano occorreva un uomo forte, fedele e deciso.
Nel Paese si erano andati delineando, da tempo, due partiti, non sempre chiaramente identificabili sul terreno dell’ideologia: uno era quello austriaco, legato alla burocrazia militare, alla nobiltà, all’alto clero; l’altro raccoglieva quella parte della borghesia più illuminata, vagamente liberale, riformista con presupposti costituzionali.
La regina Maria Sofia si era schierata a capo del secondo movimento, avendo intuito che la salvezza del Regno andava riposta in un processo di svecchiamento e di rinnovamento delle vecchie strutture burocratiche, atto a favorire il ricambio di una classe dirigente non più all’altezza del nuovo tempo che si andava profilando in Italia e in tutta Europa.
Con un’azione sottile di convincimento, Maria Sofia convinse il marito a sottrarsi all’egemonia della regina madre, favorevole al partito austriaco, e lo indusse a nominare a capo del governo il principe Carlo Filangeri di Satriano.
La giovane regina aveva mostrato subito una grande simpatia per il Filangeri e lo considerava un politico accorto, deciso e soprattutto fedelissimo alla causa dei Borbone.
La scelta del principe di Satriano quale primo ministro fu fortemente osteggiata dalla regina madre Maria Teresa, ma il re, confortato dall’appoggio della moglie, fu deciso nel suo orientamento politico anche perché sapeva che Filangeri era a favore di una Costituzione ed aveva in mente l’idea di favorire una distensione dei rapporti con Francia e Inghilterra, tradizionalmente ostili alle Due Sicilie.
Maria Sofia, inoltre, diffidava fortemente dei Savoia e con uno straordinario intuito aveva messo in guardia il marito affinché non si fidasse dei cugini sabaudi. Intuito che in seguito si rivelerà confermato dai drammatici avvenimenti che porteranno al crollo del Regno. Purtroppo, il mite Francesco era convinto che la sorte del Regno fosse nelle mani di Dio e della sua “Santa madre”.
Questo convincimento gli fece perdere l’unica grande occasione di salvezza del suo trono: infatti Cavour, che aveva abilmente tessuto l’alleanza antiaustriaca con Napoleone III, dopo avere soddisfatto le sue mire espansionistiche nella pianura padana ed in Toscana, mirava ad un progetto politico di ampio respiro: la formazione in Italia di tre grandi Stati: il Piemonte sabaudo al nord, lo Stato Pontificio al centro, le Due Sicilie al sud. Nel progetto erano previste garanzie costituzionali, riforme liberali e amnistia per gli esuli politici.
Il piano dello statista piemontese prevedeva, però, una parziale soppressione del territorio della Chiesa, con il territorio di Perugia ed Ancona che sarebbe stato annesso al Regno di Napoli. Le trattative furono condotte dal conte di Salmour, un francese abilissimo nelle trattative diplomatiche.
Il principe Filangeri aderì al progetto pur con qualche perplessità. Maria Sofia ci pensò a lungo e ne discusse favorevolmente con il primo ministro, ma fu Francesco a respingere con sdegno il progetto: non avrebbe mai accettato di sottrarre del territorio alla Santa Chiesa. I suoi scrupoli religiosi non gli permettevano di mettersi in urto con Pio IX, che lo aveva sempre protetto (e che lo proteggerà, in seguito, nella disgrazia). Il fallimento delle trattative determinò le dimissioni del principe di Satriano, ma la regina lo convinse a riprendere le redini del governo in un momento che si presentava particolarmente difficile per la Corona.
Filangeri ritirò le dimissioni e, su consiglio della regina, preparò una bozza di Costituzione; il primo ministro, confortato da eminenti giuristi napoletani (Napoli aveva allora le più prestigiose scuole giuridiche d’Italia), portò a termine il suo lavoro in tutta segretezza per evitare reazioni da parte del partito austriaco, egemonizzato dall’ex regina.
Malgrado ciò l’austriaca ebbe sentore della stesura della nuova Costituzione e, con l’appoggio dell’alta burocrazia militare, dell’aristocrazia e dell’alto clero, organizzò un complotto per destituire Francesco e porre sul trono il suo primogenito: Luigi conte di Trani. Un vero e proprio colpo di Stato!
Ma l’abilissima Maria Sofia venne a conoscenza della congiura contro il legittimo re e, con l’aiuto del Filangeri, portò a Francesco le prove del complotto, chiedendo, infuriata, l’esilio della intrigante suocera e la messa al bando dei fratellastri.
Francesco, terrorizzato dal prendere un simile provvedimento, non ebbe la forza di ascoltare il consiglio della moglie, anche perché la matrigna gli giurò, falsamente, che le accuse contro di lei erano volgari menzogne e che mai ella avrebbe avuto in animo di tramare contro il legittimo re delle Due Sicilie. Francesco, nella sua infinità bontà le credette e sopportò con rassegnazione l’ira della moglie, che giustamente lo accusava di essere un inetto e incapace a reggere il trono.
Il principe di Satriano, questa volta, presentò le sue dimissioni irrevocabili e si ritirò definitivamente dalla politica. Al suo posto il re chiamò il principe di Cassano, un reazionario e persecutore dei liberali. Il partito austriaco aveva trionfato! Il successivo crollo del Regno pone le sue premesse proprio in questo iniziale tradimento nei confronti di un re onesto e leale come Francesco II.
Nel frattempo Cavour ordiva la sua rete di corruzione che avrebbe minato alle fondamenta la già traballante mo-narchia borbonica.
Consapevole della debolezza del re di Napoli e dell’infedeltà della sua Corte, lo statista piemontese reperì una forte somma di denaro (gli storici parlano di 4.800.000 ducati) da appoggiare con fedi di credito al Banco di Napoli.
Con questo denaro vennero corrotti generali, ammiragli, funzionari dello Stato; fu corrotto lo stesso ministro di Polizia, Liborio Romano, e lo zio di Francesco, fratello del padre, Leopoldo conte di Siracusa. Il Piemonte, con la tacita complicità dell’Inghilterra, organizzò l’aggressione al libero e sovrano Regno delle Due Sicilie, affidandone l’esecuzione a Garibaldi.
L’invasione del Regno di Napoli, infatti, doveva apparire agli occhi della comunità internazionale come l’iniziativa autonoma di un’avventuriero, poiché il Piemonte temeva la reazione della Santa Alleanza, Austria in testa
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la storia che non si racconta