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La Seconda Barbarie sono le situazioni di anarchia provocate dalla ribellione della plebe

Posted by on Mag 19, 2025

La Seconda Barbarie sono le situazioni di anarchia provocate dalla ribellione della plebe

Giuseppe Gangemi

Il 1798-1799 è caratterizzato, secondo i Giacobini, da tre anarchie: quella seguita alla fuga a Palermo dei sovrani; quella seguita all’arrivo delle truppe sanfediste di Fabrizio Ruffo; quella seguita all’impiccagione dell’ammiraglio Francesco Caracciolo. Secondo i Borbone, invece, l’anarchia comincia e finisce con la Repubblica Napoletana. Secondo il Giacobino repubblicano intransigente, Francesco Lomonaco, ci sarebbe stato un omicidio eccellente, ancora più significativo di queste anarchie: il colpo di Stato con cui Napoleone il 18 Brumaio (9 novembre) 1799, diventando Primo Console, uccide la Repubblica e, di fatto, si trasforma in Tiranno.

A partire dalla Dichiarazione d’Indipendenza Americana (1776) e, soprattutto, dalla Rivoluzione Francese, diventa importante l’opinione pubblica. I sovrani borbonici, Ferdinando e Carolina, non capiscono i nuovi tempi e usano mezzi di comunicazione politica risalenti ai Faraoni egizi. Questi, quando sconfiggevano un nemico, ne cancellavano il nome dagli edifici pubblici e, godendo del monopolio della comunicazione scritta, imedivano che se ne perpetuasse la memoria. I Borbone, con un editto, stabiliscono che tutti i documenti prodotti dalla Repubblica Napoletana vengano distrutti e impongono anche che nessuno narri della rivoluzione giacobina. Mancando loro il monopolio della comunicazione scritta, perdono l’occasione di tramandare prove documentarie che la Repubblica è stata anarchica e sanguinaria, con le decine di migliaia di morti provocate dalle stragi Francesi di civili e le 1.563 condanne a morte che, si dice, essere state eseguite dai Repubblicani, ma di cui non si ha traccia documentale.

Il monopolio della narrazione passa così ai Giacobini. L’occasione offerta la sfrutta magistralmente Vincenzo Cuoco che si rivela abilissimo nel costruire una narrazione di rivoluzione e controrivoluzione basata sull’ipotesi che esista un parallelismo tra la filosofia di Giambattista Vico e le teorie politiche di Niccolò Machiavelli.

Nella narrazione di Cuoco, le tre anarchie sanfediste vanno assimilate alla Seconda Barbarie teorizzata da Vico e la filosofia di quest’ultimo va letta come se fosse speculare alla riflessione di Machiavelli. Dato che queste tre anarchie hanno finito per prevalere, la società napoletana si sarebbe venuta a trovare in una situazione di Seconda Barbarie e la strategia da adottare sarebbe quella enucleata ne Il Principe: occorre un Principe che sostituisca con la violenza la classe politica governante responsabile della Seconda Barbarie. Chiaramente, questo Principe è, per Cuoco, Napoleone Bonaparte che ha fatto prevalere la strategia rivoluzionaria machiavelliana e ha posto suoi uomini al governo degli Stati italiani e, a Napoli, ha fatto diventare una maestà regale il fratello Giuseppe Bonaparte e, poi, il cognato Gioacchino Murat.

Nell’ipotesi contraria, di uno Stato che si trova in una situazione lontana dalla Seconda Barbarie, la strategia consigliata da Cuoco è quella di Vico: gradualismo, riformismo e dialogo tra capi e gregari. Questa interpretazione di Vico come complementare a Machiavelli ha avuto fortuna in tutta la penisola fino al 1860, cioè fino alla realizzazione, con la violenza, dell’Unità d’Italia.

Cuoco, leggendo Machiavelli e Vico come complementari, ha compiuto un’importante operazione che è consistita nel considerare Vico come uno scienziato della politica alla pari di Machiavelli. Purtroppo, questa intuizione verrà cancellata da Benedetto Croce e Giovanni Gentile i quali, come scriverà Antonio Gramsci, “speculativizzano” Vico. L’operazione culturale di Croce e Gentile viene recepita dagli scienziati politici accademici i quali sostengono che la scienza politica sia nata in Italia con Machiavelli, sia sparita dall’Italia per secoli, sia stata rifondata a fine Ottocento da Gaetano Mosca, Vilfredo Pareto e Robert Michels, sia stata uccisa dal fascismo e sia risorta con Giovanni Sartori, Norberto Bobbio e Bruno Leoni. Questi, non considerando Vico uno scienziato della politica, si sono precluso la possibilità di capire le democrazie illiberali e i populismi moderni. 

Nell’interpretarli, Cuoco tradisce sia Machiavelli, sia Vico in punti fondamentali: 1) per Machiavelli, la barbarie deriva dalla debolezza degli Stati italiani a paragone della potenza degli Stati stranieri, in particolare della Francia. Questa debolezza, nel 1498, con Carlo VIII, ha permesso l’invasione della penisola. Machiavelli ritiene responsabili di questa debolezza le élite dei singoli Stati che, per egoismo, non vogliono unirsi in un solo Stato, in modo da contrastare e difendersi dagli Stati d’oltralpe. Al contrario, Cuoco vede nella potenza francese una forza salvifica per Napoli; 2) per Vico, la Seconda Barbarie deriva dalla presunzione delle classi politiche di saper agire secondo il principio che Homo intelligendo fit omnia, senza valutare che questo principio produrrebbe conseguenze ragionevoli solo nella dimensione del verum, mentre, la dimensione in cui si muove il politico è quella del certum, il vero parziale della storia, il vero condizionato dal tempo e dal luogo. Cuoco semplicemente non afferra che, quando crede di capire tutto, l’uomo mostra di non capire niente. Questo errore, tipico della “boria dei dotti”, e delle élite governanti, è la causa della Seconda Barbarie. Per Cuoco, infatti, chi produce la Seconda Barbarie è la plebe perché è stata la ribellione delle plebi (i Lazzari dentro Napoli e i Sanfedisti della provincia guidati da Fabrizio Ruffo) la causa della distruzione della Repubblica Napoletana. Cuoco è convinto che, in Napoli e nel Napoletano, la plebe è costituita da veri barbari. Dice, testualmente: la popolazione è divisa “in due popoli diversi per due secoli di tempo e per due gradi di clima” (p. 96); 3) Vico concepisce due tipi di lotte violente per il mutamento: la rivoluzione, che riguarda solo le élite, perché, nella rivoluzione, una nuova élite si contrappone a una vecchia élite e vi si sostituisce al comando, indipendentemente dal fatto che sia sostenuta o meno dal popolo; la rivolta in cui una parte più o meno consistente del popolo tenta di cambiare le decisioni prese o le leggi approvate, senza pretendere di sostituirsi alla classe dirigente e preferisce rivolta a rivoluzione. Cuoco, al contrario, preferisce la rivoluzione, anche se imposta da eserciti stranieri, alla rivolta. Il non intelligere di Vico è errore di genere, errore del dotto, dell’intellettuale, dell’élite. Il non intelligere di Cuoco è l’errore di specie, l’ errore della plebe che, per ignoranza, arriva a rifiutare le dolcezze di un governo libero.

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