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LA SPEDIZIONE DEI MILLE-STORIA DOCUMENTATA DELLA LIBERAZIONE DELLA BASSA ITALIA DI OSVALDO PERINI ESULE VENETO (XV)

Posted by on Giu 10, 2025

LA SPEDIZIONE DEI MILLE-STORIA DOCUMENTATA DELLA LIBERAZIONE DELLA BASSA ITALIA DI OSVALDO PERINI ESULE VENETO (XV)

APPENDICE DOCUMENTI E NOTE DOCUMENTI GIUSTIFICATIVI Documento N. 1 (Vedi Libro II, Gap. XVIII, pag. 73-74).

Genova 5 maggio 1860.

Mio caro Bertani

Spinto nuovamente sulla scena degli avvenimenti paini, io lascio a voi gl’incarichi seguenti:

Raccogliere quanti mezzi sarà possibile per coadiuvarci nella nostra impresa:

Procurare di far capire agl’Italiani che se saremo aiutati dovutamente sarà fatta l’alia in poco tempo, con poche spese: ma che non avran fatto il dover loro quando si limiteranno a qualche sterile sottoscrizione:

Che l’Italia libera d’oggi, in luogo di centomila soldati, deve armarne cinquecentomila, numero non certamente sproporzionato alla popolazione, e che tale proporzione di soldati l’hanno gli Stati vicini che non hanno indipendenza da conquistare; con tale esercito l’Italia non avrà più bisogno di stranieri che se la mangino a poco a poco col pretesto di liberarla:

Che ovunque sono Italiani che combattono oppressori, là bisogna spingere tutti gli animosi e provvederli del necessario pel viaggio:

Che l’insurrezione siciliana non solo in Sicilia bisogna aiutarla, ma dovunque sono nemici da combattere.

Io non consigliai il moto della Sicilia; ma venuti alle mani quei nostri fratelli ho creduto obbligo d’aiutarli.

Il nostro grido di guerra sarà Italia e Vii torio Emanuele; e spero che la bandiera italiana anche questa volta non riceverà strazio.

Con affetto

Firm. Vostro G. GARIBALDI.

Documento N. 2

(Vedi Libro V, Cap. VI, pag. 212 e Lib. VI, cap. XIII, pag. 296).

PROCLAMA DEL POPOLO DI PALERMO

A S. E. il tenente generale Lama.

Mettendo il piede nella vostra terra natale noi non. c’illudevamo per nulla sulla lealtà dei sentimenti vostri verso la patria. Siciliano, accettare una missione ostile al voto ed agli sforzi dei proprii terrazzani… di uomo siffatto potrebbe esser dubbio il pensiero? — Pure una lusinga… di men feroci mali… ma il proclama apparso ieri a vostra firma e scritto da un apostata, da un traditore del suo paese natio, da Domenico Ventimiglia direttore del Giornale Ufficiale, ci chiariva onninamente l’animo vostro… Due concittadini!… È doloroso… ma non può spegnersi la schiatta dei traditori!!! Qual s’è stato però lo scopo vostro, o meglio del Governo, nel pubblicar quello scritto? Qual utile sperate ricavarne?… Ricredetevi, ostinati che siete, che al punto in cui son ridotte le cose, vi sveliamo il tutto.

Per dodici interi anni da noi si è congiurato tentando di rompere la turpe catena che ancor ci suona al piede, ed in tal lasso di tempo non cadde mai di mente al Governo di badare allo svolgimento della nostra civiltà e prosperità.

Forche, segrete, tormenti da superare quelli dell’inquisizione… ecco i mezzi messi in campo da un governo che si millanta provvido e forte, e che ci regala i predicati di amatissimi e di traviati.

Si congiurava, e la colonna dello Stato, il direttore di polizia… Maniscalco, nulla delle nostre pratiche conosceva!… Voi ora ci promettete un principe reale a luogotenente, e noi senza andar per le lunghe, ché sarebbe uno sprecar tempo, vi rispondiamo: É tardi! — Ci promettete il resto delle vie rotabili, ma per promettere il resto bisogna provare che in Sicilia ve ne fosse pur una. Vergogna! Un paese di quasi tre milioni d’uomini, un paese eminentemente ricco, senza strade a ruota, senza ponti sui fiumi, ed il povero viaggiatore s’ha da raccomandar l’anima a’ suoi santi protettori, ha da provare i goccioloni freddi nel percorrer poche miglia. Mille volte s’è proposta al governo una società per dar mano alle ferrovie. Tempo e fiato perduti!

Il provvido governo ha fatto orecchie da mercante. — Un ricco privato profondeva tesori in una fabbrica di ciarla e vi riusciva… Il governo l’aboliva con somma jattura dell’onesto privato. Avevamo i vapori postali settimanali. Aboliti! E se Palermo non avesse avuto un giojello nel negoziante Florio, noi non avremmo potuto né comunicare né trasferirci, non al continente ma nell’interno dell’Isola. Qui morta l’industria ed il commercio, riboccanti di poveri le vie, calpestato il borghese, avvilito l’aristocratico, disprezzato financo l’uomo il più devoto alla causa dei Borboni, ed il governo ha gioito… ora si vuol fornire il paese dei migliori mezzi conducenti allo svolgimento della nostra civiltà e prosperità… É troppo tardi.

Se nell’accettar l’incarico di commissario straordinario colla facoltà dell’Alter Ego avete obbedito alla vostra coscienza e ceduto ai sentimenti del vostro cuore: bisogna pur dire che questo cuore non sia nulla di buono. — Vorreste risparmiare alla comune patria mali di cui nessuno potrebbe prevedere la misura e la durata; e ci chiedete quali destini ci offrono gl’invidi della nostra prosperità ognor crescente, e quali guarentigie.

A stolto parlare franche e brevi parole di rimando. — È tale la nostra prosperità, è sì crescente che da noi si brama cader piuttosto fra gli artigli del turco, d’una fiera, purché Dio ci salvi dal paterno governo dei Borboni. A che parlate di guarentigie? A chi non è nota la fede del governo napoletano? Ferdinando I, il Principe che accordava a sé stesso i titoli di P. F. A., giurava la costituzione, e poco dopo spergiurava, e non fu mai sazio di sangue per quanto a piene mani se ne spargesse e sul Continente e nell’Isola.

Di quai neri tradimenti vada oppressa l’anima del Re-monaco Francesco I, quando era vicario generale, tutti sappiamo. — Giurava anch’egli la costituzione Ferdinando II, il Caligola, il Nerone dei nostri tempi. Egli aveva avuto un battesimo di sangue… quello della Sanfelice… doveva quindi essere insaziabile fiera, ed egli manteneva il suo giuramento col 15 maggio 1848 in Napoli, col bombardamento di Sicilia, col… ma a che riandare tutta questa schifosa odissea di delitti e di turpitudini commesse da una famiglia che è stata il mancenelliero della più bella parte d’Italia.

Noi siamo insorti per la causa italiana, per congiungere le nostre sorti a quella della Penisola… Vogliamo essere parte di Italia e non vogliamo guarentigie… Non ci proponete più beni e felicità… Ne siam pieni alla sazietà… Fra un popolo in sommossa e un re tiranno, scriveva un sommo italiano, unico patto… il sepolcro, e noi preferiamo il sepolcro! all’antica tirannide.

Forte della giustizia della sua causa aspetti pure il vostro buon Sovrano, aspetti tempo alla ragione de’ suoi inconcussi diritti, concussi ora ed annullati dalla ferma volontà d’un pugno di faziosi, da una mano di avventurieri, giacché la sua creatura il Metternich del suo gabinetto, Maniscalco, non ha potuto ancora venire a capo delle fila della rivoluzione, e va tuttora in cerca della sede e dei componenti del Comitato… E si è manomessa una finanza per mantenere lo spionaggio e demoralizzare il paese. Tenetevi pure il generoso perdono, o figli di una corte pretesca… Risparmiateci novelli insulti. Risparmiateci la vergogna di vedere più oltre il vostro nome a pié di proclami ed ordinanze… Non ci fate arrossire per voi!

È questa l’ultima risposta che dal popolo si dà agli agenti della jena di Napoli… Un’ultima risposta ancora… col moschetto!

Viva l’Italia, Viva Vittorio Emanuele, Viva Garibaldi.

Palermo, 20 maggio 1860.

IL POPOLO.

Documento N. 3

(Vedi Libro VI, Gap. XIX, pag. 302, ecc.)

(Nota)

DELLA GARDUNA

Al libro VI, capo XIX e seguenti della presente opera accennai ad una società secreta di malfattori che formò per oltre quattro secoli il flagello della Spagna. L’origine, le istituzioni e gli ordinamenti della Garduna (tale era il nome di detta società) offrirebbe materia per una lunga e laboriosa dissertazione, come la sua storia ci porgerebbe una quantità di aneddoti abbastanza originali e,curiosi. Dovendomi stringere nei limiti d’una semplice nota mi accontenterò di accennare unicamente a qualche ragguaglio sullo statuto organico e sugli ordinamenti gerarchici su cui posava e dai quali traeva la sua forza e durata.

Prima di tutto è necessario osservare che la regola era affatto dispotica. L’Hermano Mayor, o fratello maggiore o supremo direttore della società, esercitava sui membri della stessa un’autorità discrezionale ed arbitraria. A lui spettava ordinare, disporre e dirigere: tutti gli altri dovevangli una stretta obbedienza. Egli decideva in ultimo appello qualunque divergenza sociale, decretava le pene e distribuiva le ricompense. I suoi ordini dovevano essere eseguiti qualunque essi fossero, senza opposizione e senza ritardo; e il suo potere, basato sullo stesso statuto organico, non aveva né limiti né controllo.

Al di sotto di questa sommità gerarchica venivano i Capatazes, capi o maestri provinciali la cui giurisdizione limitavasi alla città od al paese ove risiedeva una comunità di Garduni. Eglino ricevevano gli ordini dell’Hermano Mayor e li trasmettevano ai loro dipendenti e vegliavano alla loro esecuzione. Il corpo principale dei Garduni, ossia la quasi totalità della forza sociale, componevasi dei Guapos o bravi, assassini feroci, grandi schermitori e banditi audacissimi. Questi suddividevansi in diverse categorie, tutte portanti un nome speciale che indicava il grado più o meno elevato del Garduno. Secondi erano i Ponteadores o trafiggitori, cioè omicidiarii: terzi venivano i Floreadores, per la massima parte usciti o fuggiti dalle galere e dedicati specialmente ai furti ed alle rapine sulle pubbliche strade. Erano gli aspiranti alla dignità maggiore dei Guapos. Poscia i Faceiles, soffietti, o spie. Erano per lo più vecchi astuti ed ipocriti che giravano col rosario in mano ed appostavano il bottino. Le donne (poiché la Garduna aveva eziandio le sue donne) servivano ad attirare gl’incauti nei luoghi dove i Garduni potessero sorprenderli e spogliarli od ucciderli, e si chiamavano Coberteras o coperte. Al fondo della scala sociale stavano i Chivatos capriuoli, o novizii dell’ordine, ed erano lotti giovinetti dai dodici ai quindici anni. Con un noviziato d’un anno un Chivato poteva elevarsi al grado di Floreador: e questi, ben meritando della società, in capo a due anni diveniva Guapo. Quanto agli ordinamenti i Garduni nulla avevano ad invidiare ai conventi dei frati.

La Garduna aveva statuto, leggi, consuetudini sue proprie: emanava regolarmente le sue sentenze e le faceva rigorosamente eseguire. Di questa singolare comunità il lettore troverà un’esatta esposizione nella appendice alla mia Storia delle Società Secrete che sarà pubblicata fra breve.

Documento N. 4

(Vedi Libro VI!, Gap. X, pag. 522, ecc.)

I miei lettori si ricorderanno senza dubbio delle molteplici e ripetute accuse lanciate da buona parte dei giornali ministeriali contro l’incapacità amministrativa e finanziaria degli uomini ai quali ciò non per tanto si deve il risorgimento della Sicilia e di Napoli. A prova di ciò pubblico il seguente progetto di prestito il quale in massima era già stato accettalo da alcune primarie case di Genova e Milano. Il prestito veniva aperto all’85 0/0, da un governo rivoluzionario e non ancora stabilito e riconosciuto: mentre un anno appresso il Ministero non riusciva ad emettere il suo del 1861 se non al 700/0.

Premetto al progetto in discorso due righe di storia, affinché il lettore abbia le informazioni necessarie per fissarne il giudizio. Appena penetrato in Palermo Garibaldi, trovandosi in bisogno di danaro e non potendo raccoglierne dalle casse dell’Isola che in gran parte giaceva tuttavia in potere dei Regii, scrisse al Comitato Centrale di Genova perché gliene procurasse dandogli e all’uopo mandato libero. A Genova s’invitarono alcuni amici a studiare un progetto di prestito che valesse, ad onta di un prezzo superiore alle rendite sarde, ad allettare i soscrittori ed a rendere possibile la riuscita del disegno. Il progetto presentato dal dott. Giuseppe Levi ebbe la preferenza come quello che offriva una combinazione la quale raggiungeva un prezzo d’emissione conveniente alle parti contraenti e che nel progredire del tempo valeva a rialzarlo d’avvantaggio.

É bene altresì osservare che il 50/0 1849 1.° gennaio era quotato alla Borsa in 83: lo che diffatti equivaleva all’81, tenendo calcolo degl’interessi prossimi a maturanza. Inoltre le condizioni del governo Siciliano non erano cosi prospere da attirare la speculazione. Ciò nullameno i Garibaldini, sebbene inabili a trattare tali specie d’affari, non volevano contrarre un prestito disperato da veri figli di famiglia: ed infatti trovarono il modo di aprirlo e di farlo accettare all’800/0 come sopra si disse. Per chi consideri quali fossero le difficoltà del momento e la critica situazione in cui allora versava Garibaldi il presente progetto, essendo accettato, deve parere un miracolo di abilità e di sagacia. Eppure gli autori d’esso non aspiravano né a titoli né a cariche.

La guarentigia del Comuni di Sicilia, e l’ammortizzazione in 15 anni, ne rafforzavano il credito. La combinazione della ammortizzazione al pari di un prestito emesso all’85 0/0 nel successivo accrescersi di ½ per cento negli interessi d’anno in anno, faceva si che si potesse prevedere il successivo ammigliorarsi del prezzo di emissione; perciocché il possessore, od era favorito dalla sorte, e guadagnava il 15 per 100; o no, e per lui crescevano le probabilità di esserlo ne’ susseguenti anni; e in ogni caso vedeva aumentarsi l’interesse di ½ per cento, e quindi relativamente innalzarsi il reale prezzo del capitale.

Per tali combinazioni i soscrittori potevano benissimo ritenere che lo smaltimento dei titoli si farebbe e presto: e si assunsero infatti la quasi totalità dello spaccio.

Il Governo Siciliano, d’altra parte, per calcoli istituiti dall’autore del progetto, era posto in situazione assai migliore che non facendo un semplice prestito al 5 per cento a condizioni per lui in allora possibili. — Gli interessi, è vero, gli si facevano più gravi d’anno in anno, ma di mano in mano però il capitale diventava minore in causa dell’ammortizzazione. L’onere annuo quindi effettivamente, dopo i primi anni, andava decrescendo.

Per ultimo devo osservare che il progetto stesso nonvenne posto in esecuzione pel solo fatto che mentre si stava maturando sopraggiunse un cangiamento di ministero a Palermo, locché fece cadere a vuoto tutte lo trattative pendenti. Ma il solo fatto di essere stato accettato dai banchieri mostra di quanta importanza esso fosse. Ecco intanto il progetto che io publico nella lingua francese quale mi venne favorito.

PROJET DEDÉCRET

POUR L’EMPRUNT SICILIEN

Sur les garanties données par les Communes de la Sicile et contenues dans les actes déposés à notre Ministère des Finances.

Un Emprunt est ouvert pour la somme de 45 (quarante-cinq) millions de livres italiennes.

La souscription reste ouverte jusqu’ à la fin du mois de

à Palerme, au Ministère des Finances. — Turin — Gênes — Milan — Bologne — Florence — Londres.

Le pavement se fera en cinq versements égaux, dont le premier aura lieu le et es autres suivront de mois en mois.

On versera au moment mème de la souscription et à compter de la première échéance un dixième de la somme souscrite.

Des certificats provisoires seront délivrés constatant les versements successifs. Ces certificats seront remplacés, à l’époque du dernier versement, par un nombre égal d’obligations définitives de l’Emprunt.

L’Emprunt est garanti par toutes les Communes de file, en raison de population, sur les propriétés Communales. Las actes établissant cette garantie ont été revêtus de toutes les formes légales, et déposés aux Archives du Ministère des Finances.

L’Emprunt est émis au prix de 85 (quatre vingt cinq) libres pour chaque cent livres de capital nominal.

Il y aura des obligations de 100, 500, 1000, 5000, 10,000 livres.

Le souscripteur pour cent mille livres et an dessus jusqu’à cinq-cent mille livres aura droit à l’ex-compte d’unpour cent sur la totalité de la somme,

Le souscripteur pour cinq cent mille et au dessus jusqu’à un million à l’escompte de un et demi pour cent.

Le souscripteur pour un million et au dessus a l’escompte de deux pour cent.

Les déductions ci-dessus se feront sur le premier versement accompli dans sa totalité.

L’avance du pavement d’une ou de plusieurs échéances donne droit à une déduction proportionnelle égale à l’intérêt annuel du six pour centsur la somme avancée.

Les payements pourront se faire en argent comptant ou en obligations de la renie Sarde 5 0/0 au cours moyen de la Bourse de Turin du jour du pavement ou du dernier prix marqué.

Les titres sont aux porteurs, numérotés progressivement par séries, et portant en outre le numéro de la série respective. Ils ont une feuille de coupons pour les intérêts, payable par semestre, aux endroits indiqués ci-dessus

L’intérêt court depuis la premier juillet 1860 sur. la valeur nominale de l’obligation.

Quinze années doivent suffire à l’amortissement de la dette, au prix nominal.

En conséquence les obligations sont partagées en quinze séries dont le tirage, en raison d’une série par an, se fera au siège du Gouvernement avec la concours d’une délégation du Parlement. Le tirage a lieu le premier juillet de chaque année à dater de l’année 1861. Le pavement des obligations sorties du tirage et des intérêts échus au 31 décembre de l’année du tirage, aura lieu le 31 décembre même à Palerme ou, avec délai d’un mois, aux endroits indiqués ci-dessus. Tout intérêt cesse le 31 décembre de l’année du tirage.

Les obligations ainsi périmées déposés au siège du Gouvernement, seront livrées publiquement aux flammes.

Le numéro de la série sortie du tirage sera annoncé par le Journal Officiel de Palerme et des villes où des Agences sont établies pour le pavement des intérêts.

L’intérêt est du 3 pour cent pour les premiers dix huit mois (du premier juillet 1860 au 31 décembre 1861); du 5 1/2 pour cent pour la seconde année (depuis le premier janvier jusqu’au 31 décembre 1862); du 6 pour cent la troisième année (depuis le premier janvier jusqu’au 31 décembre 1863); et ainsi de suite, en augmentant l’intérêt chaque année d’un demi pour cent jusqu’à l’amortissement complet; de sorte que la dernière série, dont l’amortissement doit s’accomplir la quinzième année, jouira, pendant cette dernière année, d’un intérêt du douze pour cent.

Notes. Si au moment du décret d’émission le cours légal d’évaluation en onces existait encore en Sicile on determinerà dans ce Décret le change invariable en livres italiennes.

Documento N. 5

(Vedi Libro VIII, Gap. LXXI, pag. 406)

TRATTATO DI NEUTRALITÀ
DURANTE LA CAMPAGNA

stipulato fra l’esercito garibaldino e la Cittadella di Messina.

______

Convenzione tra il generale Clary e il generale Medici

L’anno 1860, il giorno 28 luglio in Messina, Tommaso de Clary maresciallo di campo, comandante superiora le truppe riunite in Messina, ed il cavaliere maggiore generale Giacomo Medici, animali da sensi di umanità, e nell’intendimento di evitare lo spargimento di sangue che avrebbe causato l’occupazione di Messina da una parte e la difesa della città e forti dall’altra. In virtù, ecc.

Le R. truppe abbandoneranno la città di Messina senza essere molestate, e la città sarà occupata dalle truppe siciliane senza pure venir queste molestate dalle prime.

Le truppe regie evacueranno i forti Gonzaga e Castellaccio nello spazio di due giorni a partire dalla data della soscrizione della presente convenzione. Ognuna delle due parti contraenti designerà due ufficiali ed un commissario per inventariare le diverse bocche a fuoco, i materiali tutti da guerra e gli approvvigionamenti dei viveri e di quanto altro esisterà nei forti suindicati all’epoca che questi verranno sgombrali. Resta a cura poi del governo siciliano lo incominciare il trasporto di tutti gli oggetti inventariali appena verrà effettuato lo sgombro dei soldati, di compierlo nel minor tempo possibile e consegnare i materiali trasportati nella zona neutrale di cui si tratterà appresso.

L’imbarco delle regie truppe verrà eseguito senza che venga molestato per parte dei Siciliani.

Le truppe regie riterranno la cittadella con 4 suoi forti Don Blasco, Lanterna, S. Salvatore, con la condizione però di non dovere in qualsiasi avvenimento futuro recar danno alla città salvo il caso che tali fortificazioni venissero aggredite, o che lavori di attacco si costruissero nella città medesima. Stabilite e mantenute coteste condizioni, la inoffensiva della cittadella verso la città durerà fino al termine delle ostilità.

Vi sarà una striscia di terreno neutrale parallela o contigua alla zona militare la quale si intende si debba allargarsi per venti metri oltre i limiti della attuale zona che va inerente alla Cittadella.

Il commercio marittimo rimane completamente libero da ambe le parti.

Saranno quindi rispettate le bandiere reciproche. In ultimo resta alla urbanità dei comandanti rispettivi che stipulano la presente convenzione la libertà d’intendersi per quei bisogni inerenti al vivere civile che per parte delle regie truppe debbono venire soddisfatti e provveduti nella città di Messina.

Fatta, letta, chiusa, il giorno mese ed anno come sopra nella casa del sig. Fiorentino Francesco, banchiere alle Quattro Fontane.

Tomm. di Clary, Maresciallo di campo. Cav. G. Medici, Maggior generale.

Documento N. 6

«(Vedi Libro X, Cap. LXXVII, pag. 508»

MANIFESTO

del Re Francesco II emanato mentre accingevasi

ad abbandonare la sua Capitale.

FRANCESCO II, ecc.

Dacché un ardito condottiero, con tutte le forze di che l’Europa rivoluzionaria dispone, ha attaccato i Nostri Dominii invocando il nome di un Sovrano d’Italia, congiunto ed amico, Noi abbiamo con tutt’i mezzi in poter Nostro combattuto durante cinque mesi per la Sacra indipendenza dei Nostri Stati. La sorte delle armi ci è stata contraria. L’ardita impresa, che quel Sovrano nel modo più formate protestava sconoscere, e che non perianto, nella pendenza di trattative di un intimo accordo, riceveva nei suoi Stati principalmente aiuto ed appoggio, quella impresa, cui tutta Europa, dopo d’aver proclamato il principio di non intervenzione, assiste indifferente, lasciandoci soli lottare contro il nemico di tutti, è sul punto di estendere i suoi tristi effetti fln¿ sulla nostra capitale. Le forze nemiche si avanzano in queste vicinanze.

D’altra parte la Sicilia e le Provincie del Continente da lunga mano e in tutti i modi travagliate dalla Rivoluzione, insorte sotto tanta pressione, hanno formato dei Governi provvisorii col titolo e sotto la protezione nominale di quel Sovrano, ed hanno confidato ad un preteso Dittatore l’autorità ed il pieno arbitrio de’ loro dentini.

Forti nei nostri diritti, fondati sulla storia, su i patti internazionali e sul diritto pubblico Europeo, mentre noi contiamo prolungare, finché ci sarà possibile, la nostra difesa, non siamo meno determinati a qualunque sacrifizio per risparmiare gli orrori di una lotta e dell’anarchia a questa vasta Metropoli, sede gloriosa delle più vetuste memorie e culla delle arti e della civiltà del reame.

In conseguenza noi moveremo col nostro esercito fuori delle sue mura, confidando nella lealtà e nell’amore dei nostri sudditi pel mantenimento dell’ordine e del rispetto all’autorità.

Nel prendere tanta determinazione sentiamo pero al tempo stesso il dovere, che ci dettano i nostri dritti antichi ed inconcussi, il nostro onore, l’interesse dei nostri eredi e Successori, e più ancora quello dei nostri amatissimi sudditi, ed altamente protestiamo contro tutti gli atti finora consumati e gli avvenimenti che sonosi compiuti o si compiranno in avvenire.

Riserbiamo tutti i nostri titoli e ragioni, sorgenti da sacri incontrastabili dritti di successione, e dai trattati, e dichiariamo solennemente tutti i mentovati avvenimenti e fatti nulli, irriti, e di niun valore, rassegnando per quel che ci riguarda nelle mani dell’onnipotente Iddio la nostra causa e quella dei nostri popoli, nella ferma coscienza di non aver avuto nel breve tempo del nostro Regno un sol pensiero che non fosse stato consacrato al loro bene ed alla loro felicità. Le istituzioni che abbiamo loro irrevocabilmente garantite, ne sono il pegno.

Questa nostra protesta sarà da noi trasmessa a tutte le corti, e vogliamo che, sottoscritta da noi, munita del suggello delle nostre armi reali, e controsegnata dal nostro ministro degli affari esteri, sia conservata nei nostri reali ministeri di Stato degli affari esteri, della Presidenza del consiglio dei ministri, e di grazia e giustizia, come un monumento della nostra costante volontàdi opporre sempre la ragione ed il dritto alla violenza ed alla usurpazione.

Napoli, 6 settembre 1860.

Firmato— FRANCESCO.

Firmato— Giacomo De Martini.

Documento N. 7.

(Vedi Libro XI, Gap. XXIV, pag. 540 e altrove)

DIVIETO MINISTERIALE

sugli ulteriori arruolamenti dei volontari

Circolare del Ministro dell’interno ai signori Governatori e ai signori Intendenti generali.

Torino, 13 agosto 1860.

Sollevati, or son tre mesi, i Siciliani allo acquisto della libertà, ed accorsi in aiuto il generale Garibaldi con pochi valorosi, l’Europa fu piena della fama di sue vittorie; tutta Italia ne fu commossa e grande fu lo entusiasmo in questo regno, dove gli ordini liberi ed il libero costume non pongono impedimento alla manifestazione dei sentimenti della politica coscienza. Indi le generose collette di danaro ed il grande numero di volontari partiti per la Sicilia.

Se in tempi meno commossi andarono lodati i popoli che diedero favore e soccorso alla liberazione di nazioni straniere, e se i governi ubbidienti, diremmo. alla autorità del sentimento universale, dove non favorirono apertamente, lasciarono soccorrere le Americhe, la Grecia, il Portogallo, la Spagna, che combattevano per la indipendenza e per la libertà, è a credersi che l’Europa civile porti giudizio equanime sui modi tenuti dal governo del Re in questo accidente dello irresistibile molo nazionale.

Ora la Sicilia è venuta in condizione di esprimere liberamente i propri voti; ed il governo del Re, che deve custodire tutte le prerogative costituzionali della corona e del Parlamento, e deve adempiere eziandio quell’ufficio di suprema moderazione del moto nazionale che a lui s’appartiene, e per le prove che ha fatte e per pubblico consentimento, ora il governo ha il debito di moderare ogni azione scomposta e di correggere gli ingerimenti illegittimi nelle cose di Stato di chi non ha lo costituzionali e le morali responsabilità, che esso ha gravissime verso la corona, il Parlamento e la Nazione.

Altrimenti potrebbe avvenire che, per consiglio ed opera di chi non ha mandato, né responsabilità pubblica, lo lo Stato venisse a pericolo, e la fortuna d’Italia sinistrasse. E posciaché negli Stati liberi l’ordine e la disciplina civile, più che nel rigore della legge, hanno presidio nella pubblica opinione, il sottoscritto la invita a dare una maggiore pubblicità possibile a questa lettera circolare.

Più volte il sottoscritto ammonì non potersi, né volersi tollerare che nel Regno si facessero preparazioni di violenza a governi vicini, ed ordinò che fossero impedite ad ogni costo. Esso spera che la pubblica opinione basti a frenare gl’impeti sconsigliati, ma in ogni evento si confida nelle podestà civili e militari per la pronta esecuzione degli ordini che ha dati.

Raccomanda pure nuovamente, che con ogni maggiore diligenza sieno ricercati, e con ogni legale severità puniti coloro che, cospirando e trafficando ad ingiuria dell’onore nazionale e della disciplina militare, si fanno fautori e procuratori di diserzioni.

E perché il sottoscritto deve compiere l’ordinamento della Guardia Nazionale, mobile e preparare la formazione dei corpi composti di volontari della Guardia Nazionale che la legge abilita, non vuoisi altrimenti per mettere che altri faccia incetta e raccolta di soldati volontarii.

Conchiudendo, il sottoscritto deve dichiarare che se il governo del Re è costante nella volontà di accettare il leale concorso di tutte le parli politiche, che intendono a libertà, unione e grandezza della patria, esso e pur fermo nel proponimene» Jì non lasciarsi soverchiare da chi non ha dal Re e dalla nazione il mandato e le responsabilità del governo. L’Italia deve e vuole esser degli Italiani, ma non delle sette.

Il Ministro

FARINI.

Documento N. 8

(Vedi Libro XII, Gap. LVIII, pag. 602)

CAPITOLAZIONE D’ANCONA

COMANDO GENERALE DELL’ARMATA D’OCCUPAZIONE

DELL’UMBRIA E DELLE MARCHE

Convenzione

sulla capitolazione di Ancona, combinata di mutuo accordo, d’ordine di S. E. il generale Fanti, comandante in capo l’armata di S. M. il Re di Sardegna nelle Marche e nell’Umbria, e d’ordine di S. E. il generale De Lamoricière comandante in capo le truppe pontificie, dai commissarii sottoscritti.

Art. 1. La piana di Ancona col suo intiero armamento, magazzeni e polvere, di vestiario, di vettovaglie, di carbone, legni da guerra, casse pubbliche, cavalli, carri e qualsiasi altra cosa appartenente ai Governo, tanto del ramo militare sì di terra che di mare, come civile, verrà immediatamente consegnata alle truppe terrestri o marittime di S. M. il Re di Sardegna.

Art. 2. A tale effetto saranno immediatamente consegnale alle truppe di terra di S. M.:

La fortezza ed il campo trincierato; — le opere esterne del Gardetto e la lunetta Santo Stefano; —il forte dei Cappuccini; — le porte Pia, Calamo, Farina; — il molo e la porta del molo saranno consegnate alla Regia marineria.

Art. 3. Le parti contraenti nomineranno una commissione mista e composta per ciascuna di esse di

Un ufficiale d’Artiglieria; — id. del Genio; — id. di Marina; —un impiegalo d’intendenza militare, per ricevere o dare in consegna, facendo un inventario di tutto quanto esiste di pertinenza governativa nella piazza e dipendenze.

Art. 4. L’intiera guarnigione della piazza di Ancona, compresi tutti gli impiegati militari che si trovano in detta piazza, usciranno cogli onori delle armi da porta Pia con direzione alla Torretta, costituendosi ivi prigionieri di guerra.

Art. 5. Le forze che compongono la guarnigione usciranno successivamente di mezz’ora in mezz’ora per battaglioni o per armi speciali riunite insieme.

Art. 6. Giungendo i vari drappelli alla l’orretia, dopo aver resi gli onori militari, deporranno le armi e saranno avviati senza di esse in Val di Jesi, di dove proseguiranno pel Piemonte.

I signori ufficiali, sfilando innanzi alle truppe di S. M., faranno allo di consegnare la sciabola al comandante di esse, il quale gli inviterà a conservarla.

I sigg. ufficiali imbarcati sopra un vapore dello Stato proseguiranno fino a Genova; la bassa forza per la via di terra ad Alessandria.

E il generale Fanti impegna la sua parola d’onore di valersi di tutta la sua influenza presso il Governo, perché, giunte in Genova ed Alessandria tutte le truppe capitolate vengano subito dirette alla loro rispettiva patria, sotto la condizione che i signori ufficiali impegnino la loro parola d’onore di non combattere per un anno contro le truppe di S. M. il Re.

I signori ufficiali tutti potranno condurre seco loro il rispettivo bagaglio ed i cavalli di loro privata spettanza in ragione del grado.

Art. 7. Gl’impiegati amministrativi, religiosi, sanitari!» delle poste, dei telegrafi, saranno considerati con rango di ufficiali.

Art. 8. I feriti saranno lasciati in Ancona sotto la garanzia del Governo di S. M.; ad essi, se ufficiali, si permette di ritenere presso di loro la propria ordinanza.

Ufficiali e truppa s’intendono di fatto compresi nella presente capitolazione.

Art. 9. Alle truppe comprese nella presente capitolazione e finché non vengano rinviate alle case loro, sarà giornalmente corrisposto il seguente trattamento:

Ai signori ufficiali generali ital. L. 10 al giorno; — id. superiori ital. L. 5 id. — Ai signori capitani, luogotenenti, sottotenenti, ital. L. 3 id.;

La bassa forza riceverà giornalmente una razione viveri ed a mano venti cent, se sott’ufficiali, e cent. 10 se caporali o soldati.

Art. 10. Mentre si farà la consegna delle porte e delle parti fortificate alle truppe assediarti, il capo dell’amministrazione militare in Ancona e tutti i contabili di ogni corpo ed azienda militare o del Governo faranno pure la consegna del denaro che ritengono, e quale sarà dimostrato dai loro registri verificati dai funzionari d’intendenza del corpo assediante. Saranno pure consegnate quelle somme levate dal tesoro pubblico che in questi ultimi tempi possono essere state irregolarmente introdotte in Ancona.

Fatto in duplice copia al quartier generale dell’annata sarda a Villa Favorita sotto Castro, addi 29 sett. 1860.

I Commissari pontifici

Cav. L. Mauri — March. Lepri, aiut. di campo.

I Commissari sardi

De Sonnaz, maggiore di stato maggiore.

Cav. Bertolé Viale, idem.

ELENCO dei Corpi che componevano l’Armata dell’Italia Meridionale sciolta l’11 Novembre 1860
Stato Maggiore GeneraleCapoLuog. Tenente Gen. Sirtori
Quartier Generale»Colonnello Cenni
Int. Generale dell’ArmataIntend. GeneraleColonnello Acerbi
Amministr.delle sussistenze milit.DirettoreColonnello Gatti
Ambulanza generaleMedico in CapoDott. Ripari
Auditoriato GeneraleUditor GeneraleAvv. Mordini
Corpo del Genio (Stato Magg. e Zapp.)ComandoLuogot. Col.0 Bordone Magg. Costa
Corpo di ArtiglieriaComandanteMagg. Generale Orsini
Corpo del Treno»Luogot. Colono. Bovi
Marin. di Guerra  e Fant. di Marina»Ammiraglio Anguissola
Corpo telegrafico di CampoIspettoreCavaliere Pentasuglia
Cavalleria Guide GaribaldiComandanteLuogot. Colonn. Missori
Cavalleria Usseri Italiani»Maggiori Carissimi e Basislafsky
Cavalleria Esploratori di Campo»Maggior Bersani
Cavalleria Cavalleggeri di Napoli»Luog. Colono. Firrao
Cavalleria Cavalleggeri di Palermo»Capitano Blovet
DIVISIONI
15.(a) DivisioneComandanteLuogot. Gen. Tùrr
Stato Maggiore di DivisioneCapoCol. Rustow e Luogot. Col. Alessandri
1.(a) BrigataComandanteColonn. Spangaro
2.(a) Brigata»Colonn. Eber
3.(a) Brigata (Milano)»Luogol. Col. De-Giorgi
4. (a) Brigata aggregate»Magg. Gen. Sacchi
5. (a) Brigata aggregate»Colonn Fabrizi Luigi
5. (a) Brigata aggregate»Generali La-Masa e Corrao
16.(a) Divisione»Luogot. Gen. Cosenz
Stato Maggiore di DivisioneCapoMagg. Serafini
1.(a) BrigataComandanteColonn. Assanti
2.(a) Brigata»Magg. Gen. De-Milbig
17.(a) DivisioneComandanteLuogot. Gen. Medici
Stato Maggiore di DivisioneCapoLuogot. Col. Ferrari
1.(a) BrigataComandanteColonn. Simonetta
2.(a) Brigata»Colonn. Corte
3.(a) Brigata (Milano)»Colonn. Eberhard
4. (a) Brigata aggregate»Colonn. Bunne
5. (a) Brigata aggregate»Colonn. Mussolino
18.(a) DivisioneComandanteLuogot. Gen. Bixio
Stato Maggiore di DivisioneCapoLuogot. Colonn. Ghezzi
1.(a) BrigataComandanteColonn. Bezza
2.(a) Brigata»Colonn. Balzani
Divisione aggregata»Luogot. Gen. Avezzana
CORPI DIVERSI
Brigata PeucelaComandanteColonn. Romano
Brigata Buniow»Colonn. Buniow
Corpo de’ Carabinieri Genovesi»Magg. Mosto
Corpo de’ Carabinieri  di Cosenza»Magg. Militi
Corpo de’ Carabinieri  di Catanzaro»Magg. Colcione
Dragoni Nazionali»Colono. Moresca
Zuavi Calabresi»Colonn. Falco
Lancieri a piedi»Capilano Taschini
Legione Ungherese»Generale Vetter
Legione  Inglese»Luogo!. Colono. Peard
Legione Calabrese»Colono. Sprovieri
Legione Malese»Magg. Campagnano
Legione Ecclesiastica»Magg. Sardo
Legione  degli Studenti»Capitano Perelli
18.a DivisioneComandanteLuogo!. Gen. Cirio
Stato Maggiore di Divisione Capo Luogo!. Colonn. Ghezzi
1.  BrigataComandanteColonn. Be zza
2.  Brigata»Colonn. Balzani
Divisione aggregata»Loogot. Gen. Avezzana
CORPI DIVERSI
Brigata PelicelaComandante Colon. Romano
Brigata Bnniow» Colon. Buniow
Corpo de’ Carabinieri Genovesi»Magg. Mosto
Corpo de’ Carabinieri di Cosenza» Magg. Militi
Corpo de’ Carabinieri di Catanzaro»Colcione
Dragoni Nazionali»Colon. Moresca
Zuavi Calabresi»Colon. Falco
Lancieri a piedi»Capitano Taschini
Legione Ungherese»Generale Vetter
Legione Inglese»Luogo!. Colon. Peard
Legione Calabrese» Colon. Sprovieri
Legione Malese»Magg. Campagnano
Legione Ecclesiastica»Magg. Sardo
Legione degli Studenti»Capitano Perelli
LegioneSanniticaComandanteMagg. De‘ Feo
ReggimentoCalabro-Pace»Colonn. Pace
»Montanari del Vesuvio»Luog Colonn. Caracciolo e Casalla
»53.° linea»Colonn. Zelliri
»54.° linea»Luogo!. Col. Violante e Col. Messina
»55.° linea»Luogot. Colonn. Palombo
Berglieri28.° Batt. (già Cuce. Calatafimi)»Magg. Costa
»29.° Batt.»Capitano De-Marco
»30.° Batt.»Capitano Rota
»31.° Batt.»Magg. Über
»32.° Batt.»Magg. Parisy
BattaglioneMenotti-Garibaldi»Magg. Menotti Garibaldi
»d‘Assalto (Istit. Garibaldi)»Magg. Camuneoli
»Gaeta (Catturato sull’Utile)»Colonn. Corte
»Liuzzi »»Maggiore Liuzzi
»Sannitico »»Colonn. Curci
»dell’Offanto»Colonn. Gastone
»Terribili del Toburno»Magg. Lombardi
»Gran Sasso d’Italia»Magg. Falca
»Reduci Lomb.-Veneti»Magg. Cannello
»Volontari Napoletani»Magg. Massiuro
Cacciatoridella SilaComandanteGenerale Stocco
Cacciatorid’Aspromonte»Magg. Vecchi
CacciatoriEsuli» Colon. Interdonato
Cacciatoridell’Etna»Maggiori Colombiano e Rotolo
CacciatoriMontegrifone»Colonn. Pagano
Cacciatoridel Gargano»Magg. De-Cicco
Cacciatoridell’Irno»Magg. Della Monica
CacciatoriSardi»Magg. Sulliotti
CacciatoriVeneti»Magg. Manfredi
Cacciatoridel Vesuvio»Magg. Pateras
CacciatoriSebezi»Magg. Zaccaro
ColonnaSarri»Colonn. Sarri
ColonnaLacerenza»Magg. Lacerenza
ColonnaGibilrossa»Magg. Ilardi
Forze insurrezionaliSalernitane»Colonn. Fabrizi Nicola
RiorganizzazioneMilitare di Resina»Colonn. Forbes
GuardiaNazionale mobile»Generale D’Ayala
In questo elenco figurano alcuni corpi che all’alto della consegna non esistevano più, perchè già fusi nelle Brigate La-Masa, Corrao, Stocco, Musolino, ecc„ ma storicamente meritano esserne distinti Tali sarebbero le Legioni Matese e Sannitica, i battaglioni dell’Ofanto, i Terribili, i Del Gran Sasso ed i Cacciatori dell’Etna, di Monte Grifone, del Gargano, ecc. — Nota del Luogotenente Lodovico Comelli (*).* Per debito di giustizia devo soggiungere clic il presente elenco mi venne gentilmente comunicato dalla cortesia dello stesso signor Comelli a cui attesto qui la mi» gratitudine.

NOTA

N. N. sulla dissoluzione dell’esercito meridionale

Per ben comprendere la gravità delle misure prese dal ministero per ¡sciogliere e congedare l’armata di Garibaldi bisogna anzi tutto por mente alle forze di cui si componeva ed ai servigi che avrebbe potuto arrecare. L’armata meridionale figurava sui quadri a più di 30 m. uomini, ma in realtà non ammontava a più di 24 o 25 m. volontari sinceramente devoti al trionfo della causa nazionale. Non si deve negare che elementi impuri e dissolventi si fossero insinuali nelle sue file: ma questi costituivano una insignifigante frazione. Avuto riguardo alle condizioni fra le quali l’esercito di Garibaldi dovette raccogliersi, non che biasimarne la disciplina, dovremmo tributare i nostri più sinceri elogi al criterio che presiedette alla sua formazione. Pochi avventurieri intrusisi non devono gettar l’onta su quel corpo di giovani prodi, come la vigliaccheria di pochi soldati nulla mai tolse all’onore di nessuna armata.

Il 25 m. garibaldini, restando il generale, sarebbero probabilmente rimasti al servizio, il che avrebbe accresciuto l’esercito regolare di un valoroso corpo abituato a combattere e vincere. Il ministero dispose altrimenti e il disciolse.

L’esercito volontario si componeva per un terzo circa di veneti e trentini, per due quinti di lombardi: il resto di genovesi ed emilii, romagnoli, ecc. Dalle altre provincie partirono pochi o nessuno.

Per la loro attività in raccogliere volontari meritano sinceri elogi i Comitati di Milano, Brescia, Ferrara, Como, Bergamo, Desenzano, Parma, ecc.

Quanto ai denari la Lombardia sola contribuiva per oltre un milione, Genova per una vistosa somma, e Torino per qualche migliaio di lire. A onore del vero si deve confessare che i piccoli comuni di Calcinato, Desenzano e Lugano fecero in proporzione assai più di certe grandi città che pur vantano sacrificii: eppure Lugano non appartiene al Regno d’Italia.

NOTE

(1) Vedi a questo proposito ì dispacci diplomatici testé sottoposti per ordine del Governo al Senato Francese.

(2) La lettera del Generale non ha data, ma dev’essere scritta circa la metà del marzo 1860. Quasi contemporaneamente Pio IX (13 marzo) con suo breve ringraziava le signore genovesi d’aver generosamente contribuito per l’obolo di S. Pietro

(3) Fra gli arrestati si trovarono il Duca Monteleone, Sciarra, Niscemi, Riso, Verdura, Cesarò padre e figlio e Giardinelli, tutti appartenenti alle più illustri case Palermitane. Inoltre v’ebbero il dott. G. Raffaele, insigne medico, e il padre Ottavio Lanza. Il marchese Costantino, arrestato egli pure, fu fatto girare per tutta la città incatenato, senza dubbio ad oggetto d’incutere terrore.

(4) Fra le villeggiature ch’ebbero maggiormente a soffrire dal furore borbonico si distinsero le ville Verona, Vella e Potai. Qualche giorno dopo venne distrutto Sferracavallo.

(5) «On sait, malheureusement par expérience, que l’appât du pillage est un des stimulants offerts à l’armée napolitaine, dans des circonstances critiques, pour raffermir son courage et sa fidéli.» E non è il solo!

Dispaccio dell’ambasciatore di Francia, Brenier; Napoli, 23 aprile 1860. (Vedi i dispacci comunicati al Senato francese).

(6) «Le 10 avril, a neuf heures du soir, un feu terrible de mousqueterie, appuyé de coups de canon, est venu ébranler la ville, ecc. »

Dispaccio di Boulard, console francese a Messina. Vedi i documenti diplomatici comunicati al Senato francese, ecc.

(7) Furono fucilati alle ore cinque pomeridiane. Amo registrare i loro nomi coll’indicazione dell’età e del luogo della loro nascita a perenne edificazione della libertà e della storia. Questa lista è desunta dagli atti ufficiali dell’epoca.

Sebastiano Camarrone di Palermo, anni 30, Domenico Cucinetta 31, Cono Canteri 34, Nicola di Lorenzo 32, Giovanni Riso (parente di Francesco) 53, Pietro Vassallo da Pallavicino 40, Michele Fanara da Boccadifalco 15 * (22), Andrea Coffaro da Bagheria, 60, Giuseppe Teresi da Falsomele * (28), Francesco Ventimiglia da Misilmeri, 18 * (22), Liborio Vallese (30) di Calogero Villamanca, 24 *. Mancano due nomi.

I nomi segnati con asterisco sono quelli a cui il consiglio di guerra attribuì un’età superiore per coprire l’infamia commessa assassinando con manifesta violazione della legge giovinetti, adolescenti ed imberbi. Ho collocato fra () l’età che fu loro cosi iniquamente attribuita.

(8) Ho raccolto le notizie riguardanti l’insurrezione dell’aprile da parecchi diarii che mi furono gentilmente comunicati da alcuni ufficiali dell’esercito meridionale che verrò in appresso citando, e dalle corrispondenze di Sicilia inserite ne’ nostri giornali. I pochi dati da me raccolti si trovano fra un ammasso spaventevole di contraddizioni e di errori, onde che credo mio dovere di porre in guardia i lettori dal giudicare l’insurrezione della Sicilia più numerosa e potente per avventura di quello che fosse in realtà. Tanto i diarii che tengo presso di me quanto le corrispondenze dei giornali appaiono si visibilmente scritte sotto le vive impressioni delle barricate e del campo che non è possibile non iscorgervi dell’esagerazione. La narrazione della campagna da Marsala a Palermo proverà che questo mio giudizio è esatto.

(9) Da questo punto la narrazione proseguirà con maggiore certezza, comeché appoggiata ad autorità più positive e sicure. Quind’innanzi mi servirò assai meno dei giornali, ed assai più dei documenti e dei diarii scritti sotto)a viva impressione dei luoghi e dei fatti gentilmente comunicatimi da varii ufficiali e soldati Garibaldini, de’ quali verrò, ove occorra, citando i nomi.

(10) Lettera del generale Garibaldi al maggiore Membrini in data dell’aprile.

(11) Partiti da Milano ore 4; giunti a Genova ore 8 antim. Diario del milite G. Molinari. Sono le parole medesime di tutti i diarii che tengo presso di me.

(12) Ecco alcuni brani di lettere che Garibaldi dirigeva a diverse persone nell’atto di salpare da Genova.

— Io non consigliai il moto della Sicilia, ma venuti alle mani quei nostri fratelli, ho creduto obbligo d’aiutarli.

Il nostro grido di guerra sarà Italia e Vittorio Emanuele, ecc. Lett. di Garibaldi a Bertoni. Genova, 5 maggio 1860.

— Io non consigliai il moto di Sicilia, ma credetti dover accorrere dove Italiani combattono oppressori: io sono accompagnato da uomini ben noti all’Italia e, comunque vada, l’onore italiano non sarà leso.

Il grido di guerra sarà Vittorio Emanuele ed Italia. — Lett. di Garibaldi a B. Garanti. Genova 5 maggio, 1860.

— Sire!… Io non ho consigliato! insurrezione dei miei fratelli di Sicilia, ma dacché essi si sono levati in nome dell’unità italiana, rappresentata nella persona di Vostra Maestà, contro la più vergognosa tirannia de’ nostri tempi, io non ho esitato a farmi capo della spedizione. — Lett. di Garibaldi a S. M. Vittorio Emanuele. Senza data di luogo e di tempo.

Le stesse idee si trovano pure professate nel proclama di Garibaldi agl’Italiani che porta la data del 7 maggio, e nel primo ordine del giorno letto all’annata meridionale che il lettore troverà alla pag. 93.

Ecco intanto l’accennato proclama di Garibaldi.

ITALIANI,

I siciliani combattono contro i nemici d’Italia e per l’Italia! — È dovere d’ogni italiano soccorrerli — colla parola, coll’oro, coll’armi e sopra tutto col braccio.

Le sciagure d’Italia hanno fonte dalle discordie e dall’indifferenza d’una provincia per la sorte dell’altre.

La redazione italiana cominciò dal momento che gli uomini della stessa terra corsero in aiuto dei pericolanti fratelli.

Abbandonati a sé soli i prodi della Sicilia avranno a combattere i mercenari del Borbone non solo, ma quelli dell’Austria e quelli del prete di Roma.

Che i popoli delle provincie libere alzino potente la voce in favore dei militanti fratelli, e spingano la gioventù generosa ove si combatte per la patria.

Che le Marche, l’Umbria, la Sabina, Rama e il napoletano insorgano per dividere le forze de’ nostri nemici!

Ove le città sieno insufficienti per l’insurrezione gettino esse bande de’ loro migliori nelle campagne.

Il valoroso trova un’arma dovunque! — Non si ascoltino per Dio i codardi che gozzovigliano in laute mense! Armiamoci e pugniamo pei fratelli: domani pugneremo per noi!

Una schiera di prodi, che mi furono compagni nel campo delle patrie battaglie, marcia con me alla riscossa — TItalia li conosce! — Sono quegli stessi che si mostrano quando suona l’ora del pericolo — buoni e generosi compagni. Essi sacrificano la vita alla patria — e daranno ad essa l’ultima stilla di sangue — non ¡sperando altro guiderdone che quello dell’incontaminata coscienza.

Italia e Vittorio Emanuele! — gridavano passando il Ticino:

Italia e Vittorio Emanuele! — rimbomberà negli antri infuocati del Mongibello.

A quel fatidico grido di guerra, tuonante dal gran Sasso d’Italia, il Tarpeo, crollerà il tarlato trono della tirannide, e sorgeranno come un sol uomo i coraggiosi discendenti dal Vespro.

All’armi dunque! Finiamo una volta le miserie di tanti secoli! Si provi al mondo una volta che non fu menzogna essere risorte su quella terra — Romane generazioni.

Maggio 7, a bordo del Piemonte,

Firm. G. GARIBALDI.

(13) Gl’incarichi lasciati da Garibaldi a Bertani nell’atto di salpare da Genova trovansi nella lettera sopra citata alla pag. 72. L’intera lettera sarà pubblicata in fine al volume tra i documenti giustificativi.

(14) Signor Pontoli a Parma.

Da Genova, 5 maggio 1860.

Voglia aver la compiacenza d’incaricarsi di riscuotere le somme raccolte per il milione di fucili (in caso che la Direzione di Milano non l’avesse fatto) in tutta la provincia di Parma, e voglia rimettere al Deputato sig. Agostino Bertani le somme riscosse.

Con considerazione sono

Suo Dev.

G. GARIBALDI.

(15) E più ancora per non dar pretesto alla diplomazia di gridare contro la connivenza del governo. Si è per questa ragione che Garibaldi affettava diffidare delle autorità.

(16) O per lo meno se poterono far credere d’essere state ingannate.

(17) Bixio uomo feroce. — Cosi scrive un volontario della prima Spedizione. Giova tuttavia riflettere che il nostro garibaldino non intende già con queste parole accusare il generale di tendenze sanguinarie e crudeli, bensì crede far omaggio alla impetuosa franchezza del suo carattere.

(18) Diamo per Intiero il primo Ordine del Giorno dell’armata meridionale.

ORDINE DEL GIORNO

A borio del Piemonte, 7 maggio.

La missione di questo corpo sarà, come fu, basata sull’abnegazione la più compieta davanti alla rigenerazione della patria. 1 prodi Cacciatori servirono e serviranno il loro paese colla devozione e disciplina dei migliori corpi militanti, senz’altra speranza, senz’altra pretesa che quella della loro incontaminata coscienza. Non gradi, non onori, non ricompense allettarono questi bravi; essi si rannicchiarono nella modestia della vita privata allorché scomparve il pericolo, ma suonando l’ora della pugna, l’Italia li rivede ancora in prima Ala ilari, volonterosi e pronti a versare il sangue loro per essa. Il grido di guerra dei Cacciatori delle Alpi è lo stesso che rimbombò sulle sponde del Ticino or sono dodici mesi. — Italia e Vittorio Emanuele — e questo grido, ovunque pronunziato da noi, incuterà spavento ai nemici dell’Italia.

ORGANIZZAZIONE DEL CORPO

Sirtori Giuseppe — capo di Stato Maggiore — Crispi — Manin — Calvino — Malocchi — Graziotti — Borchetta — Bruzzesi — Türr, primo aiutante di Campo del Generale — Cenni — Montanari — Bandi — Stagnetti. — Basso Giovanni, Segretario del Generale.

COMANDANTI DELLE COMPAGNIE

Nino Bixio, comandante la 1. Compagnia

Orsini » 2. .

Stocco » 3. .

La Masa » 4. .

Anfossi » 5. .

Carini » 6. .

Cairoti » 7. .

Intendenza, Acerbi — Bovi — Maestro — Rodi. Corpo Medico, Ripari — Boldrini — Giulini.

L’organizzazione è la stessa dell’Esercito italiano a cui apparteniamo ed i gradi, più che al privilegio al merito, sono li stessi già coperti su altri campi di battaglia..

G. GARIBALDI.

(19) «L’impresa riuscirà perché chi ne conduce gode la piena fiducia de’ suoi soldati. Si credeva di partire oggi, ma a quanto sembra non si partirà fino a nuovi ordini.» —. Lett. del cap. E. Filippini, in data di Talamone, 8 maggio.

(20) In quel turno costituivasi pure a Genova un Ufficio Militare destinato a raccogliere volontari per Garibaldi. Esso veniva aperto per opera di La Farina. Nel VII libro della presente storia avrò occasione di parlarne con qualche diffusione.

(21) Pareva che i Siciliani sentissero all’odore i Garibaldini che Ravvicinavano. Cosi un giornale di quel tempo.

(22) Lettera d’un ufficiale inglese in data di Marsala 11 maggio 1860, inserita nelle Daily News.

(23) Lettera d’un ufficiale inglese pubblicata nelle Daily News s. c.

(24) Il capitano Marryat veniva in appresso accusato dal governo di Napoli di aver favorito i Garibaldini. Egli respinse l’accusa con una relazione circostanziata dell’avvenimento, dalla quale ho tratto il passo surriferito.

(25) Infatti il contrammiraglio Acton venne in seguito posto in ¡stato d’accusa pei fatti di Marsala.

(26) Rapporto del capitano Marryat, passim. I sigg. O’Byrne, agenti marittimi, in una lettera pubblicata nei giornali inglesi (V. più sotto), osservano che i Regii potevano impedire lo sbarco, ma ch’erano troppo prudenti per tentarlo.

(27) Giornale di un volontario che trovasi nelle mani dell’autore.

(28) I Napoletani ci salutavano con colpi di cannone» — È l’energica espressione di un Garibaldino. — Diario MS. presso l’autore.

(29) I particolari dello sbarco a Marsala sono tratti dai Diarii MS. che tengo presso di me, da una lettera d’un ufficiale inglese s. c. dalla relazione e da un rapporto del capitano Marryat pure citati e dalla lettera dei sigg. O’Byrne, agenti marittimi a Marsala. Questa serve di complemento alle relazioni suddette. Ho anche consultato, ma con poco frutto, le corrispondenze dei giornali.

(30) I Romani la prima volta sbarcarono a Trapani, i Saraceni a Mazzara ed i Normanni presso Messina.

(31) Ecco per esteso il proclama col quale Garibaldi assumeva la dittatura dell Isola.

GIUSEPPE GARIBALDI

Comandante incapo l’armata Nazionale in Sicilia.

Invitato da::principali cittadini e sulla deliberazione dei comuni liberi dell’Isola; Considerando che in tempo di guerra è necessario che i poteri civile e militare sieno concentrati nelle medesime mani:

Decreta, che prende la dittatura in Sicilia innome di Vittorio Emanuele Re d’Italia.

G. GARIBALDI.

Controfirmato Stefano Türr ajut. gen.

(32) Ecco i due proclami ai Napoletani ed ai Siciliani, di cui si fa cenno nel presente capo.

All’Esercito Napoletano!

La tracotanza straniera signoreggia sulla terra italiana per le discordie italiane. Ma il giorno che i figli dei Sanniti e dei Marsi, stretti ai fratelli della Sicilia, daranno la mano agl’Italiani del settentrione, in quel giorno il popolo nostro, di cui siete la più bella parte, ripiglierà, come ne’ passati tempi, il suo posto tra le prime Nazioni dell’Europa.

Soldato italiano, io ambisco solo di vedervi schierati accanto a questi soldati di Varese e di San Martino, per combattere insieme i nemici dell’Italia.

G. GARIBALDI.

Siciliani!

Io vi ho guidato una schiera di prodi, accorsi all’eroico grido della Sicilia — resto delle battaglie Lombarde — Noi siamo con voi! — e noi non chiediamo altro che la liberazione della nostra terra — Tutti uniti l’opera sarà facile e breve — All’armi dunque I chi non impugna un’arma è un codardo od un traditore della patria. Non vale il pretesto della mancanza d’armi. Noi avremo fucili, ma per ora un’arma qualunque ci basta — impugnata dalla destra d’un valoroso — I Municipi provvederanno ai bimbi, alle donne, ed ai vecchi derelitti — All’armi tutti! la Sicilia insegnerà ancora una volta come si libera un paese dagli oppressori, colla potente volontà d’un popolo unito.

G. GARIBALDI.

(33) Conservo tra mie carte la parola d’ordine mandata al comandante l’avamposto di S. Antonicchio E. Filippini. Essa è di pugno di Nino Bixio, e così concepita:

Signor Comandante il posto S. Antonicchio: Ecco la parola d’ordine e campagna 14-15, Monreale — Mazza.

Il Comand. la Piazza.

C. Nino Bixio.

(34) Picciotti è il nome che i Garibaldini diedero sulle prime per vezzo ai volontari Siciliani che si riunirono al corpo di spedizione. Quel nome in appresso divenne comune.

(35) «Manovre… che sapevano da piazza d’armi più che di battaglia… forse volevano imporci colla abilità loro.» — Diario MS. presso l’autore. — Si adoperavano per nasconderci la loro paura…» Altro MS.

(36) «Noi eravamo pochi, ma forti: ci riunimmo colla decision di morire piuttosto che cedere il campo.» — Giornale d’un Garibaldino, presso l’autore.

(37) Vedi più sotto il Rapporto Ufficiale del generale Landi.

(38) Diario MS. di un Garibaldino. Presso fautore.

(39) Uno solo fu il cannone che i Regii perdettero. Esso fu preso a viva forza dai volontari e dopo una lunga lotta. Il primo, a quanto sembra, un livornese che pervenne sulla posizione cadde trafitto. Più fortunati furono due militi Domenico Cartolato di Vigenza e Gustavo Meneghetti di Treviso: eglino arrivarono sul luogo, fugarono gli artiglieri e riescirono ad impadronirsi del pezzo. L’uno d’essi narra che vicino al cannone aveva notato un Garibaldino ferito col volto nascosto fra le mani. Questi, accortosi essere il cannone già preso da’ suoi, sollevò lentamente la testa, sorrise al trionfo dei compagni, e mori, come Epaminonda, colla certezza della ottenuta vittoria. Vedi l’opera succitata di G. Capuzzi. Di tutti questi dettagli sono obbligato ai Diarii MS. che mi furono gentilmente comunicati.

(40) Credo far cosa grata al lettore pubblicando per intiero la relazione ufficiale del fatto di Calatafimi, descritto dal generale Landi. Ecco il famoso documento.

Calatafimi, 15 maggio 1860.

Eccellentissimo,

Aiuto, e pronto aiuto. La banda armata che lasciò Salerai questa mattina, ha circondato tutte le colline dal S. al S. 0. di Calatafimi.

La metà della mia colonna avanzata è stata colta in tiro ed attaccò i ribelli che comparivano a mille in ogni dove. Il fuoco fu ben sostenuto, ma le masse dei Siciliani, unite colle truppe Italiane eran d’immenso numero. I nostri hanno ucciso il Gran Comandante degl’Italiani e presa la loro bandiera che noi conserviamo. — Disgraziatamente un pezzo delle nostre artiglierie caduto dal mulo è rimasto nelle mani dei ribelli, questa perdita mi ha trafitto. La nostra colonna fu obbligata battere un fuoco di ritirata, e riprendere il suo passo per Calatafimi, dove io mi trovo adesso sulla difesa.

Siccome i ribelli, in grandissimo numero mostrano di attaccarci, io dunque prego V. E. di mandare istantaneamente un forte rinforzo d’infanteria, ed almeno un’altra mezza batteria, essendo le masse enormi, ed ostinatamente impegnate a pugnare.

Io temo di essere assaltato nella posizione che occupo, io mi difenderò per quanto è possibile, ma se un pronto soccorso non giunge, io mi protesto non sapendo come l’affare possa riuscire.

La munizione di artiglieria è quasi finita, quella dell’infanteria considerevolmente diminuita, sicché la nostra posizione è molto critica, ed il bisogno dei mezzi di difesa mi mette nella più grande costernazione. — Io ho sessantadue feriti, non posso darvi esatto conto dei morti scrivendovi immediatamente alla nostra ritirata. — Con altro rapporto darò a V. E. più preciso ragguaglio.

Finalmente io sottometto all’E. V. che se tali circostanze, mi costringono, io devo senza dubbio, per non compromettere l’intera colonna ritirarmi e se posso in alto.

Io mi affretto di sottomettere tutto ciò a V. E. perché sappia di essere la mia colonna circondata di nemici, di numero infinito, i quali hanno assalito i mulini e preso le farine preparate per le truppe.

E. non resti in dubbio sulla perdita del cannone in cui ho discorso. Io sottometto all’E. V. che il pezzo fu posto a schiena di mulo, il quale fu ucciso al momento della nostra ritirata, perciò non fu possibile ricuperarlo. Io conchiudo che tutta la colonna si combatté con fuoco vivo dalle 10 a. m. alle 6 p. m. quando io feci la nostra ritirata.

A. S.

Il P. Castelcicala

Il Generale Comandante

M. Lande

Nota del gen. Stefano Türr. — Il cannone fu preso nell’atto di far fuoco sulle ruote, non perché fosse caduto dal mulo. Anzi i due muli furono egualmente presi. Il gran comandante è ancor vivo. La bandiera perduta dai nostri non apparteneva a nessuna compagnia. — Del resto il rapporto di Laudi ha il pregio della verità come quello della sintassi grammaticale.

(41) La battaglia di Calatafimi accadde nell’anniversario del 15 maggio 1848: le stragi di via Toledo rassodarono il trono Borbonico: dodici anni dopo la rotta di Calatafimi segnò il principio della sua caduta.

(42) I Saraceni sbarcarono presso Mazzara Fanno 327 dell’era nostra: le loro forze consistevano in 700 cavalli e 0,000 pedoni. Eufemio li conduceva rivestito della porpora imperiale. (Vedi Gibbons Decline and Fall of the Roman Empire, Chap. LII). Nella guerra che segui l’apostata cadde ucciso sotto le mura di Siracusa. Questa, storia o leggenda che sia, diede argomento ad una delle più interessanti tragedie di Silvio Pellico.

(43) Con questo nome si indicano nella Sicilia, i membri componenti il corpo municipale. Il Municipio si chiama Senato.

(44) L’ordine del giorno del 16 maggio è del seguente tenore:

Ordine del giorno

Calatafimi, 16 maggio 1860.

Con compagni come voi io posso tentar ogni cosa, e ve l’ho provato ieri portandovi ad un’impresa ben ardua pel numero dei nemici e per le loro forti posizioni. Io contava sulle fatali vostre baionette, e vedeste che non mi sono ingannato.

Deplorando la dura necessità di dover combattere soldati Italiani, noi dobbiamo confessare che trovammo una resistenza degna di uomini appartenenti ad una causa migliore, e ciò conferma quanto sarem capaci di fare nel giorno in cui, l’Italiana famiglia sarà serrata tutta intorno al vessillo glorioso di redenzione.

Domani il continente Italiano sarà parato a festa per la Vittoria del suoi liberi figli dei nostri prodi Siciliani; le Vostre madri, le vostre amanti superbe di voi usciranno nelle vie colla fronte aita e ridente.

Il combattimento ci costa, la vita di cari. fratelli morti nelle prime file;f quei martiri della santa causa d’Italia saranno ricordati nei fasti della gloria Italiana.

Io segnalerò al vostro paese il nome del prodi che si valorosamente condussero alla pugna i più giovani ed inesperti mitili, e che condurranno domani alla vittoria nel campo maggiore di battaglia i militi che devono rompere gli ultimi anelli delle catene con cui fu avvinta la nostra Italia carissima.

G. GARIBALDI.

(45) Una salus… nullatn sperare salutem. Virgil. Aen. II.

(46) L’entusiasmo de’ Garibaldini alla vista di Palermo ricorda i versi coi quali il Tasso descrive quello dei Crociati al primo apparire di Gerusalemme.

Ecco appari.

Gerusalem si vede,

Ecco, addita.

Gerusalem si scorge;

Ecco da mille voci unitamente

Gerusalemme salutar si sente.

Ger. Lib. c. III, st. 3.

(47) Diario di Nino Bixio, già pubblicato ne’ giornali.

(48) Il lettore darà senza dubbio un’occhiata al seguente quadro dell’armata borbonica che si trovava in quei giorni a Palermo. Questo quadro si rinvenne in seguito alla capitolazione dei Regii tra le carte secrete di Castel Cicala.

CORPO D’ESERCITO BORBONICO IN SICILIA

Dimostrazione del suddetto Corpo diviso per Divisioni, Brigate e Corpi, con l’indicazione dei rispettivi comandanti.

S. E. il tenente generale signor Paolo Ruffo, principe di Castelcicala, comandante in capo.

PRIMA DIVISIONE

Maresciallo di Campo, signor Ferdinando Lanza.

Capo di Stato Maggiore, capitano Giuseppe Armento.

Aiutante di Campo, primo tenente Pasquale Venati.

Prima Brigata

Brigadiere, Pasquale Flores.

Aiutante di Campo, primo tenente G. B. De-Giorgio.

Corpi

14.(a) Compagnia R. Artiglieria, capitano Giacomo Nagle.

13.(a) Batteria, capitano Carlo Morabito.

Pionieri, capitano Gio. Sorelli.

2.° Battaglione Cacciatori, tenente colonnello Giambattista Mori.

4.° Cacciatori, tenente colonnello Bartolo Marra.

8.° Cacciatori, maggiore Gaetano Bardet.

7.° Cacciatori, tenente colonnello Giuseppe Gbio.

Seconda Brigata

Brigadiere, signor Ignazio Cataldo.

Aiutante di Campo, Luigi Salmieri Alf.

Corpi

6.(a) Batteria R. Artiglieria, capitano Achille Ayala.

8.(a) di linea Calabria, colonnello Francesco Cercone.

9.(a) di linea Puglia, tenente colonnello Domenico Cafora.

Nota. li reggimento Cacciatori a Cavallo, comandato dal signor colonnello Felice Da Torre, fa parte della 1.(a) e 2.(a) Brigata di questa 1.(a) Divisione.

SECONDA DIVISIONE

Maresciallo di Campo, signor Raffaele Zola.

Capo di Stato Maggiore, capitano Cesare Firrao.

Aiutante di Campo, Oreste Celestini, primo tenente.

Prima Brigata

Brigadiere, signor Gio. Salzano.

Aiutante di Campo, primo tenente Cesare Salemi.

Corpi

14.(a) Batteria R. Artiglieria, capitano Francesco Guercione.

3.° di linea Borbone, colonnello Camillo Lo Cascio.

7.° di linea Napoli, colonnello Gennaro Trucchi.

Seconda Brigata

Brigadiere, signor Gaetano Alan de Rivera.

Aiutante di Campo, Emanuele Schokotniyy, secondo ienen.

Corpi

10.(a) Batteria R. Artiglieria, capitano Gio. Panico.

7.(a) Batteria Artiglieria, capitano Gio. Giobbe.

10.° Reggimento di linea Abbruzzo, colonnello Ferdinando De Torres.

4.° Reggimento Svizzeri, colonnello Alberto Wyttenback.

TERZA DIVISIONE

Maresciallo di Campo, signor Giuseppe Colonna.

Capo di Stato Maggiore, capitano Salvadore Nunziante.

Aiutante di Campo, secondo tenente pietre Schert.

Prima Brigata

Brigadiere, Filippo Flores.

Aiutante di Campo, Francesco De Rada, primo tenente.

Corpi

3.(a) Brigata R. Artiglieria, tenente colonnello Raffaele Melograni.

Due Compagnie Pionieri, maggiore Tobia Michereaux.

13.° di linea Lucania, colonnello Giuseppe Giordano.

Seconda Brigata

Brigadiere signor Giovanni Rodriguez.

Aiutante di Campo, Luigi Lusmet, primo tenente.

Corpi

7.(a) Compagnia R. Artiglieria, capitano Andrea Cali.

15.(a) Compagnia R. Artiglieria, capitano Vincenzo de Cillis.

2.° Reggimento di linea Regina, colonnello C. Ciriin.

6.° Reggimento di linea Farnese, colonnello Giuseppe Letizia.

È prodigioso il numero de’ proclami, indirizzi, lettere, ecc. redatte, firmate e diffuse in quei giorni dal Comitato Palermitano: il lettore può trovarli in gran parte inseriti nei giornali di quell’epoca. Per altro confrontando la verbosa magniloquenza di que’ signori coll’inesplicabile inerzia nella quale perdurarono pel corso dell’intiera campagna, sarebbe il caso di esclamare:

Meno parole, o eroi cospiratori, e più fatti!

(49)

(50) È singolare che i giornali dell’epoca, malgrado i vantati corrispondenti da essi inviati e pagati in Sicilia, fossero tanto ignoranti delle cose e degli uomini, da fare di questo unico personaggio tre personaggi distinti. Di Rosolino Pilo Gnoemi dei conti Capece essi fecero un Rosolino Pilo, un signor Gnoemi, ed infime un conte Capece: affidandosi al giornalismo un galantuomo numerava tre capi di tre squadre diverse d’insorti, mentre non era che una soia squadra ed un solo comandante. Simili errori sono frequentissimi anzi direi sistematici neppure il popolo crede all’esattezza dai giornali!

(51) Diario di un Carabiniere Genovese, già pubblicato nel giornali.

(52) Per tutti questi particolari sono obbligato a diversi ufficiali Garibaldini che posero i loro giornali a mia disposizione.

(53)

(54) Diario d’un Carabiniere di Genova, passim.

(55) Giorgio Castriotta, dai Turchi soprannominato Iskenderbeg (o signor Alessandro) donde gli venne il comune appellativo di Scanderberg, si ribellò il 28 novembre 1443 e condusse con varia fortuna una guerra di 23 anni contro Amurat II e Maometto II, il conquistatore di Costantinopoli. Scanderberg mori il 7 gennaio 1467 a Lisso sul territorio veneziano. I suoi compagni d’armi si dispersero per l’Italia e fondarono diverse colonie nel Regno di Napoli. Vedi Marina Barletta De vita et gesta Georgis Castriotis, Argent., 1537, in fol. Vedi pure il Giannone, Storia Civile del Regno di Napoli, ecc.

(56) Diario di G. Molinari MS. Diario di Bixio già citato, ecc.

(57) A ciò io alludeva In un passaggio precedente. V. cap. XXVI.

(58) Di questo lungo documento traggo soltanto il preambolo ed alcuni frammenti che mi paiono più interessanti. Essi sono del tenore seguente.

Considerando che, dopo lo sbarco dei faziosi in Sicilia» l’ordine pubblico s’è trovato gravemente compromesso, nell’intenzione di far cessare il più presto possibile lo stato attuale delle cose, tanto dannoso alla pubblica sicurezza ed agl’interessi dei nostri amatissimi sudditi al di là del Faro.

E volendo or noi, nella sollecitudine dell’animo nostro convenevolmente ripristinare l’ordine con provvidi ed energici temperamenti governativi, ed accorrere con tutti i mezzi adatti alla natura degli avvenimenti che colà si succedono.

Sulla proposizione del nostro consigliere ministro segretario di Stato, presidente del consiglio dei ministri, abbiamo risoluto di decretare e decretiamo quanto segue:

Art. 1.° Nominiamo il tenente generale D. Ferdinando Lanza nostro Commissario straordinario in Sicilia, con tutti i poteri dell’Alter ego, onde recarsi in quella parte de’ nostri domini, e nei punti dove crederà meglio per ristabilire la calma, ricondurre l’ordine, animare i buoni e tutelare le persone e le proprietà.

Art. 2.° Egli eserciterà le funzioni inerenti a tale incarico fino a che, ripristinato l’ordine invieremo colà il real Principe che abbiamo già prescelto per nostro luogotenente generale nei nostri dominii oltre il Faro.

Art. 3.° Accorderà in nostro real nome ampio e general perdono a tutti i nostri sudditi che, or traviati, faranno la lor sommessione alla legittima autorità.

(59) Il Programma di Lanza era così concepito:

Siciliani!

Mettendo il piede nella mia terra natale, il mio cuore più che di letizia fu colmo di cordoglio vedendo la città di Palermo ridotta nello squallore dalle dolorose condizioni che di presente la premono e la incalzano.

Pure mi torna consolatore il pensiero d’essere stato qua spedito dall’Augusto Monarca qual suo Commissario straordinario colle facoltà dell’Alter ego, per la completa pacificazione dell’isola, la quale conseguita, un Principe della real Famiglia di già prescelto per luogotenente generale di S. M. (D. G.) verrebbe fra voi.

Verrebbe con la missione di porre ad effetto tutto che può tornarvi di maggiore utilità. Verrebbe coi pieni poteri di amministrare, per provvedere al resto delle vie rotabili, alle strade ferrate, alle pubbliche opere le più profittevoli. Verrebbe per dare il maggiore sviluppo alle vostre facoltà e alle vostre industrie, e per fornire il paese dei migliori mezzi che la esperienza indica come i più conducenti allo svolgimento della nostra civiltà e prosperità.

Se il nostro buon Sovrano fosse non curante dei mali vostri, forte della giustizia della sua causa, aspetterebbe tempo alla ragione dei suoi inconcussi diritti. Ma egli, fermo e costante nella decisa volontà di fare quanto si può pel vostro morale e materiale miglioramento, non disconosce il debito che ha in questo momento alla maggiore urgenza dell’attualità, quella cioè di tutelare la vostra sicurezza in tante maniere minacciata in questi scomposti tempi che corrono.

Nell’accettare Fallissimo mandato io ho obbedito alla mia coscienza, e nell’obbedire ai comandi del Re S. N. ho pur ceduto ai sentimenti del mio cuore, che vorrebbe risparmiare alla patria comune, mali di cui nessuno può prevedere la misura e la durata.

E voi considerate bene ciò che può aspettarvi all’avvenire, quali destini vi offrono gl’invidi della vostra prosperità ognor crescente? Quali guarentigie avete del bene di cui diconsi portatori?

Prendete consiglio dall’esperienza. Sollevatevi all’altezza della posizione attuale per salvar voi medesimi; ora che sonosi sbrigliate tutte le cupide passioni, non sapete di quali di esse doviete esser vittima. Nella tempestosa lotta alla quale vi spingono stranieri aggressori, può solo tenervi incolume il vostro coraggio civile sorretto dalle reali milizie.

Nel nome augusto del Re un ampio e generoso perdono accordo a tutti quei che or traviati, faranno la loro sommissione alla legittima autorità.

Palermo, il 18 maggio, 1860.

Il Commissario Straordinario colle facoltà dell’Alter ego FERDINANDO LANZA.

(60) Questo documento è troppo lungo per essere qui pubblicato: io non ho fatto che abbreviarlo serbandomi il più possibilmente fedele all’originale. Esso porta la data del 10 maggio ed è sottoscritto IL POPOLO. Il lettore può trovarlo in quasi tutti i giornali di quel tempo.

(61) Non sarà discaro al lettore conoscere i primordii della vita militare di Giovanni Salzano che tanta ebbe parte nei fatti recenti dell’isola. Salzano esordi come brigante nella banda celebre di Fra Diavolo ai tempi di Giuseppe: preso e condannato nel capo fu salvato per le aderenze della madre. Servi in seguito sotto i re francesi e sotto i ritornati Borboni; cospirò sempre, coi sanfedisti e coi carbonari ed i suoi servigi furono rimunerati colla croce di San Giorgio e con un grado nell’esercito. Ma non mai seppe dimenticare il primitivo mestiere. (Cosi la Berner Zeitung in un numero del giugno 1860).

(62) Di questo documento publico il solo preambolo il quale è cosi espresso: — «La più grande violazione del diritto delle genti ba ricondotto i pericoli nell’Isola ed in questa città. Ottocento avventurieri col loro Generale ed uno Stato Maggiore sbarcarono a Marsala… il giorno 14, col disegno di provocare la rivolta ed avvolgere il paese nell’anarchia. Minacciata la città d’essere investita dagl’invasori ausiliari dalle bande di furiosi, il Maresciallo comandante le armi in seguito ad approvazione di S. E. il Generale in capo dovendo provvedere alla salute della città, dispone, etc.» In tal guisa i Garibaldini erano innumerevoli nei rapporti secreti e pochissimi nei proclami pubblici. Il lettore giudichi da sé.

(63)

(64) Questo aneddoto, così originale e sì strano, mi fu più volte narrato da varii Garibaldini, che facevano le più grasse risa del mondo pensando al brutto momento che in quella occasione aveano passato.

(65) Un anonimo Siciliano, autore di una storia dei fatti accaduti in Sicilia nel 1848-49, nella quale i colonnelli d’allora non fanno troppo gloriosa figura, non mai nomina La Masa senza annessovi l’aggiunto di prode. In ciò io non faccio che copiare.

(66) Per ciò che riguarda questa fuga dei Picciotti, V. le lettere scritte dallo stesso La Masa e pubblicate nei giornali di Genova la state passata.

(67) V. l’opuscolo del Capimi s. c. — V. pure il Diario di un Carabiniere inserito nei giornali di Genova del luglio 1860. Oltre questi ho religiosamente consultate le corrispondenze dei periodici ed i Diariii ms. che tengo presso di me.

(68) Questa brutta verità è confermata da varii giornali pubblicati e ms. e dalla testimonianza dei militi garibaldini.

(69) Aveva dal Re ottenuto questo grado nell’atto che parti per la Sicilia.

(70) Porta Santo Antonino ed Antoniana, è vicina alla porta Termini per cui i Garibaldini sono entrati.

(71) Siciliani!

Il Generale Garibaldi, Dittatore in Sicilia a nome di S. M. Vittorio Emanuele Re d’Italia, essendo entrato In Palermo questa mattina 27 maggio, ed avendo occupato tutta la città, rimanendo le truppe napoletane chiuse sol nelle caserme e nel Castellamare, chiama alle armi tutti i comuni dell’Isola, perché corrano nella Metropoli al compimento della vittoria.

Dato in Palermo oggi 27 maggio 1860.

G. GARIBALDI.

(72) Sullo stesso tenore Garibaldi lo stesso giorno pubblicava un proclama col quale, aderendo alla volontà generale manifestata dalla popolazione, dichiarava continuare le ostilità. Credo inutile il pubblicarlo qui, giacché non contiene nessuna Idea che non si trovi nel discorso surriferito e del quale ho dato il riassunto con fedele e scrupolosa esattezza.

(73) Siciliani!

Il nemico ci ha proposto un armistizio, che nell’ordine di una guerra generosa quale è quella che da noi sa combattersi, ¡stimai ragionevole non denegare. L’inumazione dei morti, il provvedimento pei feriti, quanto insomma è reclamato dalle leggi di umanità onora sempre il valore del soldato italiano. Per altro i feriti napoletani son pure fratelli nostri, benché ci osteggino con nimistà crudele, e s’avvolgan tuttora nella caligine dell’errore politico; ma non sarà guari che la luce del nazionale vessillo gl’induca un giorno ad accrescere le file dell’esercito italiano. E perché i termini degl’impegni contratti sieno mantenuti colla religione di una lealtà degna di noi, si pubblicano i seguenti

Articoli di convenzione fra i sottoscritti

a Palermo il giorno 31 maggio 1860.

1.° La sospensione dell’ostilità resta prolungata per tre giorni, a contare da questo momento che sono le 12 meridiane del di 31 maggio, al termine della quale S. E. il generale in capo spedirà un suo ajutante di campo, onde di consenso si stabilisca l’ora per riprendersi le ostilità.

2.° Il regio Banco sarà consegnato al rappresentante Crispi segretario di Stato, con analoga ricevuta, ed il distaccamento che lo custodisce andrà a Castellamare con armi e bagaglio.

3.° Sarà continuato rimbarco di tutti i feriti e famiglie, non trascurando alcun mezzo per impedire qualunque sopruso.

4.° Sarà libero il transito dei viveri per le due parti combattenti, in tutte le ore del giorno, dando le analoghe disposizioni per mandar ciò pienamente ad effetto.

5.° Sarà permesso di contraccambiare i prigionieri Mosto e Rivalsa, con il primo tenente-colonnello ed altro uffiziale o il capitano Grado.

Segr. di Stato del Governo prow. di Sicilia

FRANCESCO CRISPI.

Il generale in capo

FERDINANDO LANZA.

(74) Il numero degli edificii demoliti dalle bombe borboniche oltrepassa il centinaio. In calce all’opera darò una nota dei principali guasti fatti alla città, togliendola al Giornale Ufficiale S. C.

(75) Dal MS. d’un ufficiale garibaldino.

(76) Diario MS. presso l’autore. — Un giornale francese narra diversamente la cosa: esso pretende che questa transazione tra Lanza ed il Re si facesse in via telegrafica. Ecco il dispaccio nei termini che, secondo lo stesso giornale, esso è concepito:

Lanza — Ho firmato l’armistizio.

Borbone — Non accetto. Proseguite le ostilità…

Lanza — È impossibile resistere.

Borbone — Distruggete piuttosto che cedere.

Lanza — È ancora impossibile. Non ho più munizioni.

Borbone — Debbo venire?

Lanza — No.

Borbone — Capitolate!

(77) I dettagli riguardanti il corpo di Orsini sono tratti da una lettera d’un volontario che lo accompagnò nella sua marcia tra le montagne di Sambuca e Giuliana. Vedi eziandio un diario pubblicato dall’Unità Italiana.

(78) Ecco il dispaccio a cui accenna la narrazione. È singolare che lo stesso avviso fu dato in data dello stesso giorno 27 dal Lanza all’ufficiale comandante il posto di Monreale. È forza credere che il dispaccio fu scritto la notte del 26 al 27, prima che fosse nota la comparsa di Garibaldi.

INTENDENZA DELLA PROVINCIA DI MESSINA.

Manifesto

L’Intendente della Provincia di Messina rende

di ragion pubblica il seguente telegramma:

«Il Ministro di Sicilia agl’Intendenti di Messina, Catania, Noto, Siracusa, Girgenti e Caltanissetta.

«La banda di Garibaldi, attaccata con impeto dalle Reali Truppe nel Comune di Pareo, fu sloggiata dalle sue posizioni, e posta in fuga. Incalzata sempre si ritira in disordine traversando il distretto di Corleone. Gl’insorti, che rassodavano si sono dispersi, e vanno rientrando nei rispettivi Comuni» scorati ed abbattuti. Le Reali truppe l’inseguono.

Da Napoli 27, ore 5.45. p. m.

Messina 28 maggio 1860.

«Il Segretario Generale

funzionante da intendente

A. CORTADA.»

(79) Per quanta cura abbia posto a procurarmi il presente dispaccio non ho potuto riuscirvi.

(80) «Convenzione stabilita fra i sottoscritti, per arrestare la ulteriore effusione di sangue fra i combattenti di Palermo.

«Per vedute umanitarie la tregua è prorogata sino al compimento delle seguenti operazioni:

«1.° Saranno imbarcati gli ammalati esistenti nei due ospedali e negli altri depositi colla massima celerità.

«2.° Sarà lasciato libero rimbarco, o movimento per terra, a tutto il corpo d’esercito esistente in Palermo, con equipaggi, materiali, artiglieria, cavalli, bagagli, famiglie e quant’altro possa appartenergli, secondo che S. E. il tenente generale Lanza stimerà, compreso il materiale che è nel forte di Castellamare.

3.° Qualora fosse preferito rimbarco, quello di tutte le truppe sarà preceduto da quello del materiale da guerra ed equipaggi, nonché d’una parte degli animali.

4.° L’imbarco delle truppe e del materiale da guerra sarà al Molo trasferendo tutto ai Quattro Venti.

5.° Il forte del Castellaccio del Molo e Batteria Lanterna nonché le adiacenze, saranno consegnate al Generale Garibaldi.

6.° Il Generale Garibaldi consegnerà tutti gli ammalati e feriti che trovansi in suo potere.

7.° Saranno scambiati in totalità e non per numero tutti 4 prigionieri e dispersi dall’ima parte e dall’altra.

«8.° La consegua dei sette detenuti di Castellammare sarà atta quando tutte le operazioni di spedizione e d’imbarco saranno ultimate coll’uscita della guarnigione di Castellammare. Detti detenuti saranno consegnati al Molo.

9.° Firmati i suddetti patti, s’aggiunge per articolo addizionale, che la spedizione di cui si tratta avrà luogo per vìa di mare al Molo di Palermo.

Palermo 6 Giugno 1860

Pel generale Lenza il colonnello

CAMILLO NOVA

sottocapo dello Stato Maggiore.

Il gen. G. Letizia = Il gen. G. GARIBALDI.

(81) Vedine in succinto la storia al libro III, cap. I della pre sente opera.

(82) Vedi la cronaca di Malaterra e la Storia di Pietro Giannone.

(83) Non bisogna prendere questa cifra in senso assoluto. Secondo il costume di quei tempi ogni guerriero od uomo d’arme era accompagnato in campo da cinque o sei seguaci. Cosicché i cento trentasei cavalieri, potevano formare una compagnia di oltre settecento uomini. V. Ducange ad verbum milites, Da ciò si scorge che la bassa Italia fu sempre la terra delle meraviglie,

(84) — Ho rubato per intero il presente passaggio ad E. Gibhon. Vedi Decline and fall, etc., chap. LVI. Eccone le precise parole: — «In the field of Ceramio, fifty thousand horse and foot were overthrown by one hundred and thirty-six Christian soldiers, without reckoning St. George, who fought on horseback in the foremost ranks.

(85) V. il Colletta, Storia del Reame di Napoli.

(86) Buon senso che non ebbe Urbano Rattazzi, il quale, nel rifondere, durante i pieni poteri accordati per la guerra, la legislazione lombarda, pose tutto a fascio, abrogando in pari tempo leggi ed ordinamenti che reclamavano una pronta soppressione, e leggi ed ordinamenti che sarebbe stato assai meglio il conservare.

(87) Questi fatti sono specificati nella risposta dei cittadini di Palermo al maresciallo D. Lanza, in data 20 maggio 1860. La risposta suddetta, di cui ho dato un sunto a pag. 213 della presente opera, verrà publicata in calce al volume.

(88) Questi dettagli si trovano in tutti i Diarii degli ufficiali garibaldini che tengo presso di me. Tutti indistintamente lamentano la mancanza delle vie di trasporto.

(89) La Garduna venne distrutta nel 1822 colla morte dell’ultimo suo capo giustiziato dai Francesi a Siviglia. Fra le carte della setta si trovano registrate le commissioni di delitti consumato a beneficio e per ordine degl’Inquisitori, non che il prezzo convenuto e pagato. Vedi la pag. seg.

(90) I Chauffeurs vennero distrutti nel 1797. Il Beau François ch’era il capo della banda, già condannato a morte, fuggi misteriosamente dalle prigioni di Chartres e niun seppe in appresso che avvenne di lui.

(91) I Sanfedisti furono istituiti dai legati papali in Romagna. Si obbligavano con giuramento a sgozzare i liberali.

(92) Fra le carte trovate nell’arresto di Francesco Cortina, ultimo Hermano Mayor e Gran Maestro dell’Ordine, nel 1821, era un registro delle operazioni della Garduna eseguite per incarico de’ suoi committenti. In tale registro le commissioni date dagli inquisitori nello spazio di 148 anni, dal 1520 al 1667 sommano a 1986, ed hanno prodotto 198,670 lire italiane, vale a dire un po’ più di 100 franchi per ciascuna commissione. Fra queste i ratti di donne figurano per un terzo all’incirca, le uccisioni e gli assassinii formano presso a poco un altro terzo, e gli annegamenti, le ferite, le false denunzie e le false testimonianze costituiscono il resto. Questo documento fu presentato al Tribunale di Siviglia nel processo del detto Cortina, ivi appiccato il 25 novembre 1821 con altri 16 garduni. In calce all’opera il lettore troverà alcuni ragguagli sul carattere e sulle instituzioni della Garduna, la madre e l’ispiratrice della Camorra.

(93) In tali bisogne erano adoperate di preferenza le donne.

(94) La Garduña, i Chauffeurs, siccome la Camorra erano rette da ordinamenti militari e dispotici abbenché reiezione dei capi si facesse per suffragio universale. Avevano codice proprio, usi, costumi e ciò che parrà incredibile, fede, riti e funzioni religiose particolari. Usavano disegni speciali per riconoscersi e di una lingua o gergo per parlare senza essere intesi da altri. L’associazione era sempre divisa in più classi distinte, alle quali era specialmente affidata la propria missione. Vi si trovavano i borsaiuoli, i ladri da strada, i rompitori di muraglie e di porte, gli scrocconi ed i rapitori di donne, gli omicidiarii, ecc. Le donne accompagnavano i mariti nelle spedizioni: i vecchi facevano da esploratori e da spie. E tutti erano guidati da una direzione suprema a cui tutti dovevano cieca obbedienza. Se alcuno si avvisasse tessere la storia di codeste associazioni raccogliendo i materiali necessari da forse un migliaio di processi e di volumi, ne uscirebbe certo un buon libro.

(95)I camorristi sono soliti a prelevare sui loro ladroneggi una porzione che offrono in elemosina od alla Madonna od in suffragio delle anime del Purgatorio. — Vedi l’opuscolo intitolato la Camorra. Napoli, 1800.

(96) Tali sono la jettatura ed il morso dello tarantola, pregiudizii diffusi nel Medio Evo in Europa ed ora rilegati nell’estremità meridionale d’Italia.

(97) Un Garibaldino racconta che un maestro elementare di Messina, in una conversazione nella quale trovavansi varie persone di civil condizione, gli domandava con ingenuità battesimale, se nel suo paese fossero cristiani e se andassero vestiti allo stesso modo che in Sicilia. Ed era un maestro!

(98) Decreto del 47 maggio in data Alcamo, Giornale Ufficiale del Governo Provvisorio di Sicilia, n. 2, 29 maggio 1860,

(99) Altro decreto del 47 maggio. Ibid.

(100) Terzo decreto del 17 maggio. Ibid.

(101) Decreto 18 maggio in data di Partinico. Ibid.

(102) L’opera di G. La Masa fu, in que’ giorni, immensamente vantaggiosa. Egli scrisse un numero prodigioso di circolari, indirizzi e proclami, e raccolse intorno al vessillo della libertà, più migliaia di Siciliani. Di lui si può dire ciò che un antico savio disse d’un celebre condottiero greco: egli ha meglio servito la patria colla parola che colla spada.

(103) Proclama del 27 maggio. V. lib. IV, cap. LI pres. opera.

(104) Decreto dato in Palermo 28 maggio.

(105) Altro decreto 28 maggio.

(106) Decreto 28 maggio, il Ministero fu così composto: Presidenza, Interno e Finanze, Francesco Crispi. Guerra e Marina, V. Orsini. Giustizia, Guarneri. Istruzione e Culto, Gregorio Ugdulena.

(107) Ordinanza del 29 maggio.

(108) Decreto del 28 maggio.

(109) Decreto del 9 maggio dato dal Passo di Renne.

(110) Decreto de) 29 maggio.

‘Tutti questi decreti si trovano nella Gazzetta Uffic. succitata.

(111) Diamo la lettera diretta da Garibaldi al Sindaco di Partinico.

«Palermo, 4 giugno 1860.

«Signore,

«Ho letto la deliberazione di codesto Consiglio civico che mi avete rimessa con ufficio del 2 giugno corrente, e vi bo trovato che il Comune di Partinico vorrebbe onorarmi d’un monumento.

«Io, mentre lo ringrazio di tanta cortesia, credo giusto ricordarle: che son venuto in Sicilia per fare la guerra. Ogni spesa che a questo fine non è diretta non mi soddisfa. Lasciate dunque di pensare a statue: impiegate il danaro in compera d’armi e munizioni. — Quale esempio può l’Italia vantare di tanta generosità e disinteresse! I monumenti si accettano dagli eroi volgari: il solo degno di Garibaldi è il suo nome stesso associato al trionfo dell’Italia redenta.»

(112) Decreto i.° giugno. Giornate Ufficiale passim.

(113) Ordinanza del Ministero della guerra, ibid.

(114) Decreto del 6 giugno, ibid. Art. 1 = I figli dei morti in difesa della causa nazionale saranno adottati dalla patria — educati e nutriti, ecc. Art. 2 = Le vedove, ecc., avranno una pensione conveniente al loro stato. Art. 3 = I soldati — che rimarranno storpi e mutilati — saranno raccolti in apposito Ospizio e mantenuti dallo Stato.

(115) Ecco per intero il citato decreto.

G. Garibaldi, in nome di S. M. Vittorio Emanuele, Dittatore in Sicilia.

Decreta:

Art. 1. Sopra le terre dei demani comunali da dividersi, giusta la legge, fra i cittadini del proprio comune, avrà una quota certa senza sorteggio chiunque si sarà battuto per la patria. In caso di morte del milite, questo diritto apparterrà al suo erede.

Art. 2. La quota di cui è parola nell’articolo precedente, sarà uguale a quella che verrà stabilita per tutti i capi di famiglia poveri non possidenti, e le cui quote saranno sorteggiate. Tuttavia, se le terre di un Comune siano tanto estese da sorpassare i bisogni della popolazione, i militi o i loro eredi otterranno una quota doppia a quella degli altri condividendi.

Art. 3. Qualora i Comuni non abbiano demanio proprio, vi sarà supplito con le terre appartenenti al demanio dello Stato o della Corona.

Art. 4. Il segretario di Stato sarà incaricato della esecuzione del presente decreto.

Palermo, 2 giugno 1860.

Il Dittatore

Firm. G. GARIBALDI.

Il segretario di Stato

Firm. Francesco Crispi.

(116) Vedi a questo proposito le numerose lettere da Garibaldi in que’ giorni dirette a’ suoi amici nell’alta Italia e che furono tutte inserite nei giornali dell’epoca.

(117) Ecco la lettera di Garibaldi:

Caro Bertani. — Io non solo vi autorizzo a qualunquet prestito per la Sicilia, ma di più a contrarre qualunque debito, poiché noi abbiamo qui innanzi mezzi da soddisfare a tutto il mondo. Vostro sempr.

Firm. G. GARIBALDI.

(118) Charles Georges, comandante Clemente Corte, e l’Utile, comandante Natale Poggi.

(119) Diario d’un milite Garibaldino inserito nel Giornali dir Genova.

(120) Idem, ibidem. Eccone le parole in data 26 maggio: Un ladro messo ai ferri; del resto nulla di nuovo. —Quale notizia! Quale monotonia!

(121) «Vi dissi già che fra noi vi sono dei borsaiuoli matricolati, ora lo possiamo dire con tutta certezza. Chi sieno non potrei attestare; credo però che il nome d’alcuni sia già a conoscenza del Comandante. Due fratelli inglesi vennero derubati d’una somma ragguardevole: molti altri vennero spogliati di danaro e valigie.» — Sono le parole stesse del Diario succitato, in data venerdì 15 maggio. Più basso in data di mercoledì 20 soggiunge: «La maggioranza è buona, ma fra noi s’è innestato un elemento dissolvente, ed è la feccia della spedizione: genia che si arruolò per la paga e non per un principio. E la colpa è di qualche faccendiere del Comitato, ecc.» — V. l’Unità Italiana 12 e 13 luglio 1860, N. 101 e 102.

Dall’altra parte La-Farina vanta che la seconda spedizione fu fatta dai suoi. V. il libro La Spedizione de’ Volontari per Garibaldi, articoli estratti dal Corriere Mercantile, pag. 7, ecc. Questo libro è anonimo; ma l’Autore fu La-Farina od almeno venne da lui ispirato.

(122) Diario d’un milite garibaldino a bordo del clipper già citato al capo precedente. Questo diario costituisce una vera narrazione di quanto quegl’infelici soffersero nel mese che durò la loro prigionia a Gaeta.

(123) L’Oregon, comandante Vincenzo Caldesi: il Washington com. il col. G. Medici.

(124) Medeah, com. Andrea Fazioli, Provence, com. Carlo Setti Washington, nel suo secondo viaggio, com. il col. E. Cosenz.

Avverta il lettore che sono i comandanti delle spedizioni non i capitani dei diversi legni coloro che indichiamo nelle presenti note.

(125) Provence, secondo viaggio, com. Curci. Saumon, com. Angelo Vacchieri. Isère, com. Ciravegna. City of Aberdeen, com. Pietro Strambio.

(126) Diario d’un milite Garibaldino sopra citato.

(127) Il Provence, comandante Giorgio Cesarò. La Città di Torino, com. Gaetano Sacchi.

(128) Il Franklin, com. Gobbi: l‘Amazon com. Luigi Berti.

(129) Il primo era comandato da G. Pellegrini, il secondo da Sanctis e l’ultimo da Gastaldi.

(130) Provence, comandante Pietro Cortes. Il Sidney Hall, com. G. B. Gastaldi.

(131) Eppure il conte Pietro Correr venne al ministero accusato di essere rosso, accusa non so se più stolta o ridicola.

(132) Il signor Da Zara riceveva poscia da Garibaldi il suo ritratto sotto il quale sta scritto di proprio pugno del generale.

«Al signor Paolo Da Zara di Padova in segno di gratitudine pei gravi sacrificii sostenuti per la causa nazionale e per la sua cooperazione qual membro del comitato di provvedimento.»

(133) «Che le Marche, l’Umbria, la Sabina, il Napoletano in«sorgano a dividere la forza dei nostri nemici…» Proclama di Garibaldi 5 maggio.

(134) Questi dettagli sono tratti dalla relazione stessa di Zambianchi pubblicata in varii giornali di quell’epoca. Io l’ho trovata per esteso nel mio zibaldone senza veruna citazione della tonte a cui fu attinta.

(135) «The garrison of Florence was ordered suddenly on the 12th instant to march upon Siena…

«The reason for this sudden expedition of troops is to be found in the apprehension which the Government en» tertained lest Garibaldi, who was kown to have landed at Talamone should permit anv of his followers to estat blish themselves on the l’uscan and Roman frontier, and to bring on a collision with the Pope’ s troops.» Hudson to Russell. Corr., etc., pag. 78, N. li: 4 maggio.

(136)Zambianchi stesso fu tenuto prigioniero più mesi per avere illegalmente violato il territorio altrui; poscia si fece partir per l’America. Si vociferò che il governo lo avesse indotto a partire col dono di 20,000 lire. Se il fatto è vero il muterò che avviluppa quella spedizione almeno in parte è svelato.

(137) «Caro Bertani. — Io spero di passare sul continente napoletano prima del 5. Fate ogni sforzo per mandarmi dei fucili qui, a Messina, a Torre del Faro, prima di quel«l’epoca. Circa alle operazioni negli Stati Pontificii e Napo tetani spingetele a tutta oltranza.

«Messina, 30 luglio.

«Firmato, G. Garibaldi.»

(138) Vedi lo stato delle forze della presente spedizione nel libro Sull’andamento delle cote in Italia, dei colonnello Luigi Pianciani. Milano, 1860, pag. 310.

(139) Pianciani, opera citata, pag. 158 e segg.

(140) Pianciani, opera citata, pag. 156 e segg.

(141) Id. ibid. pag. 180-190.

(142) Pianciani, opera citata, pag. 130-131.

(143) Id. ibid. pag. 47. «L’ultimo ad arrivarvi siete voi Colonnello eolio Stato Maggiore.» Istruzioni di Bertani a Pianciani. Vedi i documenti in calce allo stesso libro, p. 307.

(144) Vedi tra le poesie di Giuseppe Giusti l’inimitabile Brindisi di Girella.

(145) «The desire of the French Government had been to maintain the Kingdom of the Two Sicilies under its pre sent dynasty, but with such firm language to the king as should force His M. to enter upon a complete change of sistem..

Earl Cowley to L. J. Russell 21 maggio. In the correspondence relating to the affairs of Italy presented to both the houses, etc. A. D. 1861, N. 14, pag. 16.

(146) «The Imperiai Government had openlv declared thell’intention not to interfere in Italv bevond thell’frontier; and that conseguenti v thev could not — render anv assi stance to the Neapolitan Government. »

L. R. Loftus a L. J. Russell. Vienna 10 maggio. Corresp. pag. 4, N. 5.

(147) Noi Francesco II, ecc.

Desiderando di dare ai nostri amatissimi sudditi un attestato della nostra sovrana benevolenza, ci siamo determinati di concedere gli ordini costituzionali e rappresentativi nel regno in armonia coi principii italiani e nazionali in modo da guarentire la sicurezza e prosperità in avvenire, e da stringere sempre più i legami che ci uniscono ai popoli che la Provvidenza ci ha chiamati a governare.

A quest’oggetto siamo venuti nelle seguenti determinazioni:

1. Accordiamo una generale amnistia per tutti i. reati politici fino a questo giorno.

2. Abbiamo incaricato il commendatore D. Antonio Spinelli della formazione d’un nuovo ministero, il quale compiterà nel più breve termine possibile gli articoli dello Statuto sulla base delle istituzioni rappresentative italiane e nazionali.

Sarà stabilito con S. M. il Re di Sardegna un accordo per gl’interessi comuni delle due corone in Italia.

La nostra bandiera sarà d’ora innanzi fregiata dei colori nazionali italiani in tre fasce verticali, conservando sempre nél mezzo le armi della nostra dinastia.

In quanto alla Sicilia, accorderemo analoghe Istituzioni rappresentative che possano soddisfare i bisogni dell’Isola; ed uno dei principi della nostra real casa ne sarà il nostro viceré.

Portici, 28 giugno 1860.

Segn. Francesco II.

(148) Leggesi nel Giornale ufficiale delle Due Sicilie in data 9 luglio:

«Sabato 7 corrente, per ordine speciale del Dittatore, sono stati allontanati Giuseppe La-Farina, Giacomo Griscelli e Pasquale Totti. Totti e Griscelli, corsi di nascita, son di coloro che trovano modo di arruolarsi negli uffici di tutte le polizie (*).

«I tre espulsi erano in Palermo cospirando contro l’attuale ordine di cose. Il Governo non poteva tollerare più oltre la presenza dei suddetti individui venuti con intenzioni colpevoli.»

* «Il Griscelli… era un agente di Polizia. — 1 Lettere di Napoleone Bonaparte a Bertani. — Parigi, 24 luglio 1860.

(149) I giornali moderati menarono il più alto scalpore per questa espulsione: contro il governo Siciliano fu aperta una vera crociata. I La-Fariniani vollero vendicarsi a forza d’inchiostro. Riporto ad edificazione dei lettori il seguente brano dell’Espero:

«In Sicilia, cosi il detto giornale, sono preposti alla pubblica cosa uomini inetti o disprezzati o macchiati nell’onore… uomini che altro non seppero far mai colle loro spie che popolare ergastoli e dar faccende al boia di tutti i despoti della penisola… e tali sono e Crispi e Savi e Mario e Mordini… uomini che sono la schiuma de’ mestatori…»

Niuno vorrà asserire che questo sia un linguaggio moderato. Ab uno disce omnes.

(150) Diario d’un ufficiale della brigata Bixio.

«Nel tempo del soggiorno in Palermo abbiamo manovrato due volte al giorno, mattina e sera…» Diario del lenente G. Filippini.

(151)

(152) Diario del luogotenente G. Filippini. — È questo il giornale più completo e dettagliato che io m’abbia; ed è redatto con semplicità e lucidezza ammirabile. Io non feci che ordinare il racconto, trasporre o riunire le idee e gli avvenimenti e dar loro una forma conveniente alla esposizione storica.

(153) Limeri, comunemente Meri. Barcellona è situata nel luogo dove il re Gerone anticamente superò i Mamertini.

(154) Diario d’un bersagliere. Diario del luogotenente Filippini.

(155) «Meri, 9 luglio 1860.

«ORDINE DELL’ARMATA

«La brigata Medici ha bene meritato della Patria. I suoi soldati, assaliti da forze superiori, hanno provato ancor una volta ciò che possono le baionette dei figli della libertà.

«I generali di brigata Cosenz, Medici, Carini e Bixio, sono promossi al grado di maggiori generali; il colonnello Eber è promosso al grado di generale di brigata.

«L’armata nazionale in Sicilia si comporrà, per il momento, di quattro divisioni di fanteria della prima categoria, d’una brigata d’artiglieria e d’una di cavalleria.

«Le divisioni comincieranno a numerarsi dalla 45., comandata dal generale Türr.

«Per la formazione delle brigate delle suddette divisioni, i maggiori-generali mi faranno immediatamente le proposizioni necessarie per la nomina degli ufficiali.

«Per l’avvenire, l’armata prenderà il nome di Armata meridionale. Il capo di statomaggiore generale per la segreteria della guerra è incaricato della esecuzione di quanto sopra.

«Il Dittatore

«G. Garibaldi.»

(156) Diario di G. Filippini, s. c.

(157) A. Dumas, op. cit. — Vedi inoltre le lettere dello stesso Dumas al colonnello Carini publícate dai giornali nei primi giorni d’agosto.

(158) Diario di G. Filippini, passim.

(159) «The history of a battle is not unlike the history o a ball. Some individuals mav recollect all the little events of which the great result is the battle won or lost: but not individual can recollect the order in which, or the exact moment at which, they occurred, which makes all the differenee as to their value or importance..

Vedi le Memorie di Wellington sotto la data 15 agosto 1815. Pochi giorni dopo Waterloo!

(160) Diario di d. Filippini.

(161) Diario di G. Filippini, passim.

(162) «Je viens d’apprendre, avec plus de regret que de surprise, le depart de Garibaldi pour la Sicile.»

Nota confidenziale del bar. di Talleyrand al conte Cavour in data 7 maggio 1860. (Fra i dispacci diplomatici presentati al Corpo legislativo nella sessione 1861).

(163) In tutta la corrispondenza del barone Brenier ambasciatore francese a Napoli, dalla data 11 genn. al 23 aprile campeggia il timore che dalle ingiustizie e dagli arresti arbitrari del governo napoletano il Piemonte potesse trarre «une justification à des tentatives d’unite italienne.» Vedi i dispacci indicati.

(164) Earl Cowley to lord I. Russell. Parigi 21 maggio 1860. Vedi il Blue-book Doc. N. 14, pag. 16.

(165) ……. «The Government are ready to agree to a truce of three months in Sicily, on the understanding that expeditions… shall be prevented by the Sardinian Government.» Lord J. Russell to Mr. Elliot, 7 luglio. Con., ecc., pag. 17.

(166) Id. ib. Vedi inoltre pag. 32, ecc.

(167) «The Sardinian Government have demanded—. that the Sicilians shall be lest at perfect liberty to decide upon their fate.» J. Russell to J. Hudson, 9 luglio 1860. Ibid., p. 28.

(168) Mr. Elliot to J. Russell. Napoli 9 luglio 1860, ibid., pag. 31.

(169) Id. ibid.

(170) Russell to Cowley 14 luglio 1860. Id., pag. 36-37.

(171) Cowley to Russell. Parigi 14 luglio. Ibid., pag. 30 et passim.

(172) Questa opinione traspare da quasi tutti i documenti diplomatici inseriti nel succitato libro azzurro,

(173) Elliot to Russell. Napoli 9 luglio, ibid., pag. 32.

(174) Elliot to Russell. Ibid., pag. 32.

(175) Cowley to Russell. Parigi 22 luglio. Ibid., pag. 38.

(176) Id. ibid.

(177) «It is to be remarked, that for many vears the policy of France has been more active in the affairs of Italy than that of Great Britain.» L. Russell to Crowley. Ibid. p. 53.

(178) Le diversità tra la politica francese e l’inglese si rivelano da quasi tutti i dispacci riflettenti le cose d’Italia ed inseriti nel libro azzurro sovrindicato.

Russell to Hudson. N. 45, 25 luglio, pag. 46, ecc., e n. 41, 17 luglio, pag. 88.

(179) Russell to Hudson. N. 45, 25 luglio, pag. 46, ecc., e n. 41, 17 luglio, pag. 88.

(180) Russell to Cowley, 14 luglio, n. 37, pag. 30.

(181) Hudson to Russell, 27 luglio, n. 52, pag 41.

(182) Id. ibid.

(183) I giornali italiani di quel tempo pubblicarono, togliendole dai periodici francesi, le due lettere, di Vittorio Emmanuele e di Garibaldi. La lettera del Re sarebbe del tenore seguente:

«Caro Generale,

«Voi sapete che quando partiste per la Sicilia, voi non aveste la mia approvazione. Oggi mi decido a darvi un consiglio nelle presenti circostanze, conoscendo la sincerità dei vostri sentimenti per me.

«Onde far cessare la guerra tra Italiani e Italiani, io vi consiglio di rinunciare all’idea di passare colla vostra valorosa armata sul continente napolitano, purché il re di Napoli consenta a sgombrare tutta l’isola e lasciare i Siciliani liberi di deliberare e di disporre de’ loro destini.

«Io mi riserverò piena libertà di azione relativamente alla Sicilia, nel caso in cui il re di Napoli non potesse accettare questa condizione.

«Generale, seguite il mio consiglio, e vedrete che esso è utile all’Italia, alla quale voi agevolerete il mezzo di aumentare i suoi meriti, col mostrare all’Europa che in quello stesso modo ch’essa sa vincere, essa sa anche far buon uso della vittoria.»

Garibaldi avrebbe risposto:

«Sire,

«Voi sapete qual profondo rispetto e quale attaccamento io abbia per V, M., mi fa pena però il non potervi obbedire come desidererei. La situazione attuale dell’Italia non mi permette d’esitare; le popolazioni mi chiamano; io mancherei al mio dovere e comprometterei la causa italiana se non ascoltassi la loro voce.

«Permettetemi adunque di contravvenire questa volta ai vostri ordini. Allorquando avrò compiuta la mia opera e liberate le popolazioni dal giogo che le opprime, allora deporrò ai vostri piedi la mia spada, e vi obbedirò tutto il resto della mia vita.

«Garibaldi.»

Queste lettere non rivestono carattere d’autenticità, tuttavia le riproduco per la sola circostanza che in que’ giorni erano considerate per vere e pel fatto che contengono le idee ed i pensieri indicati nei documenti diplomatici.

(184) «On account of the engagement which he (Garibaldi) baa entered into with the people of those State, he cannot now stop in bis career: but that, as soon as his mission is completed, be will lav his authority at H. Majesty’s tect.» Hudson lo Russell. Torino, 10 agosto N. 53, pag. 44.

(185) «… He (Thouvenel) thought it indispensable that the Commanders of our naval forces should at once be authorized to declare to general Garibaldi that they had orders to prevent him from crossing the Strait. Russell to Cowley.» 26 luglio, n. 50, pag. 40.

(186) «The force of Garibaldi was not in itself sufficient to overthrow the Neapolitan Monarchy. — If the navy, army and people of Naples were attached to the King, Garibaldi would be defeated: it they were disposed to welcome Garibaldi, an interference would be an intervention in the internal affairs of the Kingdom.»

Id. ibid.

(187) «If France chose to interfere alone we should merely disapproved her course, and protest against it. — The Neapolitans ought to be the masters, either to reject or to receive Garibaldi.»

Id. ibid.

(188) «Quant aux Légations, les Instructions des plénipotentiaires leur donneraient la latitude de proposer à M. de Cavour un système de vicariat dans le quel Naples et Turin se partageraient le fidéicommis pontifical. Les Légations se raient placées sous le vicariat piémontais. et le Roi de Naples prendrait celui des Marches et de l’Ombrie..

Dispaccio del barone Brenier. Napoli 14 luglio. Esso fa parte di quelli presentati al Carpo Legislativo nella sezione del 1861.

(189) Decreto di Milazzo 20 luglio.

(190) Altro Decreto.

(191) Diario d’un Carabiniere genovese. Maxime Du Camp— Expédition des Deux Siciles (nella Revue des Deux Mondes, 15 avril 1861) A. Dumas, Mémoires, etc.

(192) Ecco un elenco delle navi di cui Garibaldi allora disponeva nelle acque di Messina e il numero dei soldati che ciascuna poteva capire:

Tuckery (già Veloce), armato, uomini 800. Washington (già Helvétie), 1000. Franklin (già Amsterdam), 700. Oregon, 300. Calabria, id. id, 200. Elba, 200. City of Aberdeen, 1200. Città di Torino, 1500. Ferret, armato, 200. Anita (già Queen of England), id. Id., 1800. Indipendence, 1700. Un ultimo legno, 800.

(193) Expédition des Deux Siciles, ibid.

(194) Maxime Du Camp, Expédition, etc.

(195) Maxime Du Camp, Expédition, etc. A. Dumas, Memoires, etc. Diario d’un Carabiniere di Genova. Diario di Gio. Filippini, passim.

(196) Vedi il libro di Pianciani, già citato.

(197) Diario di G. Filippini, passim.

(198) Diario d’un Ufficiale dei bersaglieri, passim.

(199) Diario d’un aiutante di Bixio pubblicato dal Siècle nell’agosto 1860.

(200) Diario di G. Filippini.

(201) Diario d’un aiutante di Bixio, passim.

(202) Per chi volesse conoscere la direzione tenuta da Garibaldi per ingannare le crociere napoletane e passare in Calabria com’era sbarcato a Marsala, pongo qui il seguente orario scritto a bordo stesso del Franklin durante il viaggio.

Sabbato 18 agosto alle ore 8, s’imbarcarono i soldati italiani col generale Garibaldi.

Alle ore 9 40 si parti da Taormina e da Gerì dirigendosi per Est.

Alle ore 10 40 si fece proda per Est e NE.

Alle ore 10 ¾ si fece proda per N, NE.

Alla 1 40 si fece proda per Est.

Alle 2 si fece proda per E, NE.

Alle 2 ¼ si fece proda per N, NE.

Alle 4 ½ si ancorò alla spiaggia di Melito.

(203) Questi ragguagli furono tratti dal Diario d’un ufficiale d’ordinanza di Bixio, più sopra citato.

(204) Max. Dii Camp, Expédition, etc., dans la Revue des Deux Mondes 15 mars 1861.

(205) Id. ibid.

(206) Diario d’un ufficiale della XVI divisione.

(207) Maxime Du Camp, Expédition, etc. ibid.

(208) A Dumas, Mémoires, etc. M. Du Camp, Expéd., etc.

(209) Il fatto in tutta la sua atrocità è narrato diffusamente da Maxime Du Camp, Expédition, ecc.

(210) Il Piccolo Corriere d’Italia, organo di Giuseppe La-Farina ed antesignano delle idee moderate, pubblicava in quei giorni l’atto di adesione del Comitato secreto di Napoli alla Società Nazionale di Torino.

(211) «Il doit être (le mouvement révolutionnaire) attribué plus encore aux provocations causées par les mesures de repression iniques et brutales… au système arbitrarie qui prévaut en toutes choses, qu’aux suggestions, venues de Turin.

Disp, del bar. Brenier, 14 aprile. Race. ind.

(212) Des maux réels, des griefs incontesté sont la cause de ces révoltés… ce sont des sujets réduits par désespoir à prendre les armes pour rappeler lé gouvernement à ses devoirs.

Disp, del 9 aprile.

(213) La police, par une machination qu’on ne saurait trop sévèrement blâmer, a relâché les voleurs et les assassins.

Dispaccio del console Boulard, 10 aprile. Race. ind.

Ce sont eux (les voleurs) qui pour provoquer u.

(214)conflit… ont commencé à siffler les patrouilles et… se sont portés jusqu’à assassiner un ou deux soldats.

Id. ibid.

(215) «Tout symptôme d’un avenir meilleur doit nécessairement la faire (la population) palpiter…»

Disp, del bar. Brenier.

(216) Questi particolari sono tratti dalla corrispondenza di uno fra i molti mandatarii del Comitato La-Fariniano in quei giorni spediti a Napoli. Mi duole che il proprietario, per ragioni sue personali, non mi permetta la pubblicazione delle lettere comunicatemi da lui, alcune delle quali sono curiosissime e di molta importanza.

(217) Il fatto trovasi diffusamente narrato da Maxime Du Camp, Expédition, etc., nella Revue des Deux Mondes 1 aprile 1861, alla quale rimando il lettore che desiderasse maggiori ragguagli.

(218) Tolgo da un giornate francese il seguente quadro delle forze napoletane accampate agli ultimi d’agosto nei dintorni di Napoli. In esso però non è compresa se non in parte l’armata due giorni dopo raccolta da Francesco II a Salerno.

Forza della Guarnigione di Napoli al 30 agosto 1860.

Re Artiglieria. Al Forte Nuovo — al Carmine — al Castel dell’Ovo. — Ufficiali 9, Soldati 474.

Batteria N. 4. — Ponte della Maddalena. — Ufficiali 7. Soldati 283.

Batteria N. 7. — Granili. — Ufficiali 6, Soldati 449.

Treno. — Granili. — Ufficiali 4, Soldati 469.

Batteria N. 2 Locascio. — Granili. — Ufficiali 5, Soldati 424.

Treno. — Granili. — Ufficiali 4» Soldati 88.

Reggimento Cacciatori della Guardia. — Forte Nuovo. — Ufficiali 56, Soldati 4949.

Battaglione Cacciatori. — Granili. — Ufficiali 39, Soldati 263.

Battaglione Cacciatori. — Forte Carmine. — Ufficiali 36, SoldaU 4206.

Battaglione Cacciatori. — S. Giovanni a Carbonara. — Ufficiali 38, Soldati 274.

Battaglione Cacciatori. — S. Giovanni a Carbonara. — Ufficiali 6, Soldati 583.

Battaglione Cacciatori. — Granili. — Ufficiali 39, Soldati 4239.

Battaglione Cacciatori. — Piedigrotta. — Ufficiali 40 Soldati 1277.

Battaglione Cacciatori. — Pizzofalcone. — Ufficiali 42, Soldati 273.

Battaglione Cacciatori. — Pizzofalcone. — Ufficiali 40, Soldati 4293.

Tiragliatori della Guardia. — S. Polito. — Ufficiali 39, Soldati 4280.

Treno. — Monteoliveto. — Ufficiali 4, Soldati 105.

Gendarmeria a piedi. — Monteoliveto, e San Domenico Soriano. — Ufficiali 12, Soldati 614.

Gendarmeria a cavallo. — S. Onofrio. — Ufficiali 5, Soldati 130.

Reggimento 2. Ussari 5 squadroni. — Ponte della Maddalena. — Ufficiali 26, Soldati 410.

Reggimento 1. Dragoni. — Granili. — Ufficiali 27, Soldati 411.

Zappatori, Minatori. — Granili. — Ufficiali 6, Soldati 305.

Totale Ufficiali 389, Soldati 15,889.

Oltre i Pompieri, i Veterani, ecc. Molte compagnie staccate formano la guarnigione di S. Elmo. Il 1. Cacciatori è partito per le Calabrie. Il 4., 6., e 7. sono all’ordine per partire. — Stanno poi a Nola, Aversa, Castellamare, Portici, Caserta e S. Maria, tutte città attorno a Napoli, queste truppe cioè: — 2 Reggimenti Granatieri della Guardia, della forza di 4000 uomini circa — 8 squadroni del 2. e 3. Dragoni — 2. Reggimento Ussari — Reggimento Carabinieri a cavallo — 6 squadroni di Lancieri — 2 squadroni di Cacciatori a cavallo. Tra Nocera, Portici e S. Torio stanno i Bavaresi e accozzaglia estera.

(219) Alcuni giornali hanno ciò non pertanto asserito che il governo Napoletano diede difatti riparazione all’offesa recata dai soldati al barone Brenier. Un indennizzo in contanti?? .

(220) Noi Francesco II, ecc.

Fra i doveri prescritti ai Re, quelli dei giorni di sventura sono i più grandiosi e solenni, ed io intendo di compierli con rassegnazione scevra di debolezza, con animo sereno e fiducioso, quale si addice al discendente di tanti Monarchi.

A tale uopo rivolgo ancora una volta la mia voce al popolo di questa Metropoli, da cui debbo ora allontanarmi con dolore.

Una guerra ingiusta e contro la ragione delle genti ba invaso i miei Stati, non ostante che io fossi in pace con tutte le Potenze Europee.

I mutati ordini governativi, la mia adesione ai grandi principii nazionali ed italiani, non valsero ad allontanarla, ché anzi la necessità di difendere la integrità dello Stato trascinò seco avvenimenti che ho sempre deplorati. Onde io protesto solennemente contro queste inqualificabili ostilità sulle quali pronunzierà il suo severo giudizio l’età presente e la futura.

Corpo Diplomatico residente presso la mia persona seppe fin dal principio di questa inaudita invasione da quali sentimenti era compreso l’animo mio per tutti i miei popoli, e per questa illustre città, cioè garantirla dalle rovine della guerra, salvare i suoi abitanti e le loro proprietà, i sacri templi, I monumenti, gli stabilimenti pubblici, le collezioni di arte, e tutto quello che forma il patrimonio della sua civiltà e della sua grandezza e che, appartenendo alle generazioni future, è superiore alle passioni di un tempo.

Questa parola, è giunta ormai l’ora di compierla. La guerra si avvicina alle mura della città, e con dolore ineffabile lo mi allontano con una parte dell’esercito» trasportandomi là dove la difesa dei miei diritti mi chiama. L’altra parte di esso resta per contribuire, in concorso con l’onorevole Guardia Nazionale, alla inviolabilità ed incolumità della Capitale, che come un palladio sacro raccomando allo zelo del Ministero. E chieggo all’onore ed al civismo del Sindaco di Napoli e del Comandante della stessa Guardia Cittadina di risparmiare a questa Patria carissima gli orrori dei disordini interni ed i disastri della guerra vicina; a quale uopo concedo a questi ultimi tutte le necessarie e più estese facoltà.

Discendente da una Dinastia che per 116 anni regnò in queste contrade continentali, dopo averle salvate dagli orrori di un lungo governo Viceregnale. I miei affetti sono qui. Io sono napoletano, né potrei senza grave rammarico dirigere parole di addio ai miei amatissimi e a’ miei compatriotti.

Qualunque sarà il mio destino, prospero od avverso, serberò sempre per essi forti ed amorevoli rimembranze. Raccomando loro la concordia, la pace, la santità dei doveri cittadini. Che uno smodato zelo per la mia Corona non diventi face di turbolenze. Sia che per le sorti della presente guerra io ritorni in breve fra voi, o in ogni altro tempo in cui piacerà alla giustizia di Dio restituirmi al trono dei miei maggiori, fatto più splendido dalle libere istituzioni di cui l’ho irrevocabilmente circondato, quello che imploro da ora è di rivedere i miei popoli concordi» forti e felici.

Napoli, 6 settembre 1860.

Francesco.

(221) All’invittissimo Generale Garibaldi, Dittatore delle Due Sicilie,

LIBORIO ROMANO, Ministro dell’Interno e Polizia.

Con la maggiore impazienza Napoli attende il suo arrivo per salutarla il Redentore d’Italia e deporre nelle sue mani i poteri dello Stato ed i propri destini.

In questa aspettativa io starò saldo a tutela dell’ordine e della tranquillità pubblica: la sua voce già da me resa nota al popolo è il più gran pegno del successo di tali assunti.

Mi attendo gli ulteriori ordini suoi e sono con illimitato rispetto,

Napoli, 7 settembre 1860,

Di lei Dittatore Invittissimo

LIBORIO ROMANO.

(222) «Garibaldi… accompanied by some fifteen or twenty persona in all arrived, the advanced guard of his army certainly not being within sixty miles.» Elliot a Russell, luogo citato, n. 77, pag. 62.

(223) ITALIA E VITTORIO EMANUELE

Al Popolo di Napoli

Appena qui giugne il Sindaco ed il Comandante della Guardia Nazionale di Napoli che attendo, io verrò fra voi.

In questo solenne momento vi raccomando l’ordine e la tranquillità, che si addicono alla dignità di un popolo il quale rientra deciso nella padronanza dei propri diritti.

Il Dittatore delle Dm Sicilie

G. GARIBALDI.

A S. E. il Ministro Segretario di Stato dell’Interno e della Polizia Generale in Napoli.

L’Ufficiale interprete — Mario Stasi.

Salerno, 7 settembre, ore 6 30 ant.

(224) AL POPOLO NAPOLETAN.

Cittadini!

Chi vi raccomanda l’ordine e la tranquillità In questi solenni momenti è il liberatore d’Italia, è il generale Garibaldi. Osereste non essere docili a quella voce cui da gran tempo s’inchinano tutte le genti italiane? No certamente. Egli arriverà fra poche ore in mezzo a noi, ed il plauso che ne otterrà chiunque avrà concorso nel sublime intento, sarà la gloria più bella cui cittadino italiano possa aspirare.

Io quindi, miei buoni concittadini, aspetto da voi quel che il Dittatore Garibaldi vi raccoipanda, ed aspetta.

Napoli, 7 settembre 860,

Il Min. Dell’Interno e della Polizia Generale

LIBORIO ROMANO.

(225) Si interiissent.…. vile damnum. -TACITO, Ann. II, 85.

Altri legge utile damnum. Il lettore scelga fra le due versioni quella che meglio gli aggrada.

(226) «Il serait impossible au Gouvernement du Roi d’empêcher par la force tonte manifestation de sympathie des population italiennes pour la population de la Sicile ou du Royaume de Naples.» — Cavour a sir Hudson, Torino 90 maggio Corrisp., ecc. N. SO, pag. 21. Nel documento stesso, cui non posso dar per esteso, Cavour si studia a giustificare il tentativo garibaldiano.

(227) Dapprima i suddetti fondi non s’erano voluti consegnare alla Cassa centrale. Ci volle un ordine di Garibaldi per metterli a vantaggio della causa. È d’uopo tuttavia osservare che furono spesi con intenzioni e scopo La-Fariniano.

(228) Il lettore può consultare in proposito l’Espero, la Gazzetta del Popolo, l’Opinione e quasi tutti i giornali del loro colore pubblicati in quei giorni.

(229) Tale era il senso di un indirizzo o proclama pubblicato Garibaldi, dopo l’entrata a Napoli. V. la nota alla p. 558.

(230) Vedi le note 1 al capo XVII, libro II, pagina 73 della presente opera.

(231) Moltissime sono le lettere che potrei pubblicare a questo proposito. Fu un momento che i volontari credettero di essere traditi e, per esempio a Milano, ricusarono partire se prima non venisse loro detto chi dovea comandarli. Tra tante lettere basteranno le seguenti.

«Milano, 17 giugno 1860.

«La Direzione, a norma de’ pregiati vostri avvisi, cercherà di non lasciar partire alcun volontario per Genova, se non dietro vostre disposizioni.

«Per la Direzione, Enrico Besana.

«Torino, 14 luglio 1860.

«Egregio sig. Avvocato,

«Ho l’onore di partecipare alla S. V. che il Gomitato Centrale nostro, ha diramata una circolare a tutti i Comitati suoi Provinciali, avvertendgli che in quanto riguarda le spedizioni di volontarii debbano trasmettere alla S. V. i ruolini, e dipendere esclusivamente da ordini vostri.

«Piacenza, l.° agosto 1860.

«Stimatiss. Signore,

«Sento da Benetti reduce da Genova che Ella non fa più spedizioni per la Sicilia, e che i 64 volontarii a lei indiriz«zati furono diretti al sig. Bertani.

Ciò mi ha recato dispiacere perché io aveva riposto in lei confidenza intera.

«Lupi Luigi.

«Milano, 3 agosto 1860.

Dal momento che io assunsi l’incarico di procedere all’arruolamento di volontarii, ebbi di mira unicamente di secondare le istruzioni e le intenzioni del gen. Garibaldi.

E quindi ogni volontario da me inscritto ha il desiderio «e l’esclusiva volontà di servire la causa dell’indipendenza

Italiana sotto il comando del Generale stesso.

Che se fosse presentito che la destinazione fosse diversa, è cerio che i volontari si asterrebbero dall’inscriversi, e se inscritti, ritenendo d’esser ingannati, effettuerebbero qual che dimostrazione che riescirebbe fatale negli attuali mo menti.

In tale stato di cose io mi trovo in un labirinto da cui non so come trarmi.

Voi mi obbligherete moltissimo offrendomi e istruzioni precise e consigli in proposito, per cui mi sia dato non venir meno allo scopo vero per il quale mi sono assunto «r incarico.

«Pietro Correr..

Tutte queste lettere erano dirette all’avvocato Crescini. V. l’opuscolo Le Spedizioni dei Volontari, ecc., pag. 19 eseguenti.

(232) Lo Statuto fu promulgato a Palermo il 3 agosto: a Reggio in Calabria il 24 dello stesso mese.

(233) It is seen that the Republican element wich surround Garibaldi is hourly acquiring strength and importance: and ft can no longer be doubted that, whatever may be le intentions of the Dictator himself, that party intend to use him for their own purposes.

Henry Elliot a Russell. Napoli 15 ag. corr. etc. N. 58, p. 46.

(234) Questa seconda circolare Farini deve portare la data del 19 e 20 agosto. È bene osservare che i volontari si accettavano per la forma e non per servirsene, poiché per la massima parte si mandavano ad arruolarsi in Torino anziché inviarli verso le Marche dove slava per accendersi la guerra.

(235) Tutti questi ragguagli sono tolti ai documenti diplomatici presentati al Parlamento britannico ed al corpo legislativo francese nella sessione del 1861. Ommetto darne degli estratti per amore di brevità, tanto più che di questo s’è parlato con qualche diffusione al principio del libro X della presente storia.

(236) Né queste sono varie supposizioni. Ecco il testo di un dispaccio spedito da Hudson a Russell.

………Garibaldi, master of Naples will doubtless advance against Rome: Umbria and the Marches, in that case, rise and join him… all Italy would then join Garibaldi whose success would lead him to pass the State of the King of Sardinia on his way to Venetia.

That is precisely what the Sardinian Government is determinated to prevent….

Torino, 11 settembre. Corr. eco. N. 74, pag. 59.

(237) I documenti inglesi rigurgitano di passaggi tendenti a dissuadere gl’Italiani e il governo da una guerra sulla Venezia.

(238)…Cavour m’a donné la réponse suivante: — Si nous ne sommes pas à la Cattolica avant Garibaldi, nous sommes perdus. La révolution envahit l’Italie entière: nous «sommes forcés d’agir.

Talleyrand a Thouvenel, Torino, 14 settembre.

Fra i documenti presentati al Corpo Legislativo.

(239) Ambedue questi documenti (di cui ho fatto un sunto fedele) si trovano per esteso nel libro azzurro (Blue Book) del 1861, già più volte citato ed occupano il N. 88 e le pagine 71, 72 e 73. Il lettore può eziandio rinvenirli in quasi tutti i giornali dell’epoca. La missiva del conte Cavour porta la data del 7 settembre: la risposta d’Antonelli quella dell’11 stesso mese.

(240) Vedi il proclama di Lamoricière fra i documenti inglesi (sezione 1861) al N. 91, pag. 78 e seg.

(241) Vedi l’articolo 8 del suddetto proclama: esso è cosi concepito: — «Dal momento che un individuo verrà tra«dotto davanti al Consiglio di guerra tutti i suoi beni im«mobili e mobili — saranno ipso facto sottoposti ad un’ipoteca generale a favore del Fisco, — sotto sequestro.».

(242) Vedi il proclama suddetto art. 4 e 9.

(243) Articoli 16 dello stesso proclama.

(244) Proclama, ecc., art. 34.

(245) Questo documento merita essere riferito per intiero come saggio della prolissità e della vuota verbosità con la quale si redigono i documenti papali. Eccolo.

Roma, 13 Settembre, 1860.

Al Venerabile Fratello Vincenzo, Arcivescovo di Nisibl, Cappellano Maggiore delle Truppe Pontificie, Pius Papa IX.

Venerabile Fratello, salute e benedizione Apostolica!

SIAMO compresi da profonda tristezza nel vedere tempi i più aspri per la Cristiana repubblica e i danni gravissimi che empiamente e nefariamente arrecarono e che ogni giorno arrecano a Noi e a questa Sede Apostolica i nemici più accaniti della medesima, e della stessa civil società. Nelle estreme Nostre angustie siamo da non leggero sollievo compensati quando veggiamo con quanta alacrità e premura moltissimi uomini e giovani illustri anche per nobile lignaggio, dalle varie regioni dell’orbe Cristiano ógni giorno affluiscono nel Nostro Stato per associarsi nel Nostro esercito sotto la guida del suo Supremo comandante, personaggio chiarissimo e invittissimo, per difendere coraggiosamente e con forza la causa Nostra, che è causa della Sede Apostolica e della Cattolica Chiesa. Noi certamente non cessiamo mai di porgere nella umiltà del Nostro cuore fervidissime preci a Dio, affinché voglia concedere a tutti la pace desideratissima. Ma uomini empi, de’ quali ora si serve L’Altissimo per punire i peccati di tutti, per disperderli poi nel giorno del suo furore e punirli, conculcando la legge di Dio, bestemmiando la voce del Santo d’Israello, non cessano di far guerra acerbissima contro la Chiesa e questa Sede Apostolica. Infatti costoro presi dallo spirito di Satanno, eccitati i popoli d’Italia a ribellione, discacciati per somma ingiustizia i legittimi Principi, confuse e turbate tutte le cose umane e divine, irrompendo già nello scorso anno nel Nostro Stato, con sacrilega mano occupandone alcune provincie, tentano ora agitare, invadere ed usurpare le altre parti del medesimo. E ciò vogliono fare coll’intendimento perverso, che, cioè, manomesso e rovesciato il Principato civile Nostro e della Santa Sede, sian valevoli a distruggere, se tanto potesse mai accadere, la Cattolica Chiesa ed il Supremo suo Pontificato, come, per tante empie scritture e abbominevoli fatti, chiaro ed aperto non arrossiscono di dichiarare.

Adunque fra la sfrenata perversità di siffatti empii uomini, ed in cosi lagrimevole condizione e stretta necessità, quantunque non sia per niente da dubitare del trionfo della Chiesa, tuttavia con incredibile dolore dell’animo Nostro conosciamo che il Nostro esercito, i suoi molto bene animati duci e soldati debbono e incontrare gravissimi pericoli, e azzuffarsi e combattere con audacissimi nemici, architetti peritissimi nelle scelleratezze e nelle frodi. Per la qual cosa Noi abbiam creduto che con ogni premura questo Nostro esercito, valorosamente guerreggiante per la causa della Chiesa e di questa Apostolica Sede, si debbe afforzare e corroborare eziandio cogli ajuti Spirituali. Perciò, o Venerabile Fratello, Noi ti scriviamo questa lettera, con la quale a te, ed a tutti e singoli i Sacerdoti e Cappellani di quel Nostro esercito, con l’Apostolica Nostra autorità concediamo la facoltà di dare, nell’atto stesso della Sagramentale confessione, la plenaria indulgenza in articulo morite a tutti e singoli i duci e soldati di quel nostro esercito. Inoltre, per la stessa autorità Nostra, concediamo che gli stessi duci e soldati, quante volte nell’estremo punto della vita non possano avere l’ajuto presente del Sacro Ministro, conseguano la stessa plenaria indulgenza, invocando con la bocca, se lo possono, o altrimenti almeno col cuore, i potentissimi e dolcissimi nomi di Gesù e di Maria. Noi abbiamo per fermo che le causa della Chiesa e della giustizia sarà per riportare, come sempre, una gloriosa vittoria sopra i suoi nemici. Imperciocché il giusto e misericordioso Iddio, o si degnerà di ricondurre tante migliaia di perduti uomini sul sentiero della salute, come per continue e calde preghiere Noi abbiamo da lui dimandato e dimandiamo: ovvero percuoterà, schiaccierà e sterminerà nella indignazione del suo furore questi novelli Sennacherib. E cotal nostra persuasione e fiducia ha il suo fermo sostegno prima nelle comuni preghiere di tutta intera la Chiesa, le quali nella fragranza della soavità ascendono ogni giorno come incenso al trono della grazia; poi ancora nella provata religione, virtù, sapienza, e consiglio di| tanti specchiatissimi seguaci di Gesù Cristo, figliuoli zelantissimi della Cattolica Chiesa e di questa Sede Apostolica, i quali ripongono la gloria loro nel difendere con ogni studio e di tutte le guise i diritti della medesima Chiesa e Sede; eziandio nella meravigliosa pietà di quegli stessi figliuoli, i quali non si ristanno dal sollevare con le proprie ricchezze le gravissime angustie Nostre e di questa Santa Sede. Né dubitiamo punto che le fervidissime preghiere di quegli stessi fedeli, e il loro zelo egregio e degno di ogni encomio, e le generose pie largizioni ed i soccorsi non siano per durare costantemente finché al Padre clementissimo delle misericordie non piaccia di comandare ai venti ed al mare perché cessi cotanto furiosa tempesta, ed alla Chiesa sua conceda la desideratissima pace e tranquillità. Il Dio poi degli Eserciti, nella cui mano sta tutta intera la vittoria, e che in Davidde infuse prodigiose forze per conquidere il rubelle Golia, e a Giuda Maccabeo fe’ riportare trionfo sullo accanimento delle genti, colla celestiale sua pietà, al Supremo Condottiero dell’esercito Nostro ed agli altri duci e soldati conceda grazie e virtù di guerreggiare alla difesa propria e della Santa Chiesa di Dio e di questa Sede Apostolica, ed a scorno dei nemici della Croce di Cristo e della Cattolica fede e religione.

Ecco, o Venerabile Fratello, quali cose abbiam giudicato di doverti significare; e come auspice di tutti i doni celestiali, e come pegno della precipua Nostra benevolenza, di tutto cuore a te, o Venerabile Fratello, al Supremo Duce del Nostro esercito, e a tutti e singoli gli uffiziali e i soldati l’Apostolica benedizione amorevolmente impartiamo.

Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 10 Settembre 1860; del nostro Pontificato, anno 5.

(Firmato) PIUS PP. IX.

(246) Ecco il proclama di Garibaldi a cui qui si allude.

ITALIA E VITTORIO EMANUELE

Il Dittatore delle Due Sicilie ai Militi volontari

Quando l’idea della patria in Italia era la dote di pochi, si cospirava. Ora si combatte e si vince. I patriotti sono abbastanza numerosi da formare degli eserciti e dare ai nemici battaglia. Ma U vittoria nostra non fu intera. L’Italia non è ancora libera tutta, e noi siamo ben lungi dalle Alpi, meta nostra gloriosa. Il più prezioso frutto di questi primi successi è di potere armarci e procedere. Io vi trovai pronti a seguirmi, ed ora vi chiamo tutti a me, affrettatevi alla generale rassegna di quell’esercito che deve essere la Nazione armata per far libera ed una l’Italia, piaccia o no ai prepotenti della terra.

Raccoglietevi nelle piazze delle vostre città ordinandovi con quel popolare istinto di guerra che basta a farvi assalire uniti il nemico.

I capi dei corpi così formati avvertiranno anticipatamente del loro arrivo in Napoli il Direttore del Ministero della guerra, perché appronti l’occorrente. Per quei corpi che più convenientemente potrebbero venir qui per via di mare, saranno date le opportune disposizioni.

Italiani, il momento è supremo. Già fratelli nostri combattono lo straniero nel cuore d’Italia. Andiamo ad incontrarli in Roma per marciare di là insieme sulle Venete terre. Tutto ciò che è dover nostro e dritto, potremo fare, se forti. Armi dunque ed armati. Generoso cuore, ferro e libertà.

Napoli, 10 settembre 1860.

Dittatore, firmato G. Garibaldi.

(247) Dal Quartiere Gen. di Rimini, 11 settembre 1860.

ORDINE DEL GIORNO

Soldati del Quarto Corpo d’Armata!

Vi conduco contro una masnada di briachi stranieri che sete d’oro e vaghezza di saccheggio trasse nei nostri paesi.

Combattete, disperdete inesorabilmente quei compri sicari, e per mano vostra sentano l’ira di un popolo che vuole la sua nazionalità e la sua indipendenza.

Soldati! L’inulta Perugia domanda vendetta, e benché tarda, 1 avrà.

Il Generale Comandante il 4.° Corpo d’Armata

Enrico Cialdini.

(248) Ai volontari si ponno applicare i seguenti versi attribuiti a P. Virgilio:

……… tulit alter honorem:

Sic vos, non vobis, nidificatis, aves,

Sic vos, non vobis, vellera fertis, oves,

Sic vos, non vobis, mellificatis, apes,

Sic vos, non vobis, fertis aratra, boves.

(249) Il presidio di Perugia si componeva di 1,700 uomini di tutte le armi, con due pezzi da campagna e quattro da fortezza oltre i magazzini, ecc.

(250) Questo fatto era stato rilevato da varii dispacci telegrafici intercettati in que’ giorni dai nostri soldati.

(251) Vedi il suddetto manifesto tra i documenti inglesi più volte citati N. 13, pag. 97 e seg. ed i giornali di quel tempo

(252) Ecco l’ordine del giorno del l.° ottobre:

«Soldati e fratelli!

«Oggi fu una giornata tremenda di sangue e di gloria, pure noi vincemmo; riposate per pochi istanti le vostre deboli membra, e mangiate un pane, ma in fretta, mentre io, dando mano ai piani che far dobbiamo, vi chiamerò all’appello avanti l’oscurità della notte.

«Garibaldi..

(253) Si fu dopo la battaglia del 1.° ottobre che Garibaldi pubblicava il seguente bellissimo

ORDINE DEL GIORNO

Combattere e vincere è il motto dei valorosi che vogliono ad ogni costo la libertà dell’Italia: e voi l’avete provalo in questi due giorni di pugna.

Jeri su tutta la linea la vittoria vi coronava. Oggi in Caserta e sulle sue alture si compiva uno di que’ fatti d’armi che la storia registrerà fra i più fortunali…

Caserta, 2 ottobre 1860.

Firm. G. GARIBALDI.

(254) La presente narrazione venne compilata sui rapporti ufficiali di Bixio, Dezza, Turr, Mirri, ecc., e sui Diarii mns.

(255) I lettori che amassero leggere le lettere del marchese Giorgio Pallavicino-Trivulzio a Giuseppe Macini e di Manini al Pallavicino potranno trovarle nel libro azzurro, più volte citato, del 801, N. Il 8, pag. 103, 104 e 105.

(256)

(257) Ecco l’ordine del giorno che Garibaldi dirigeva all’armata all’atto di partir per Caprera.

Ai miei compagni d’arme

Penultima tappa del risorgimento nostro, noi dobbiamo considerare il pericolo che sta per finire, e prepararci ad ultimare splendidamente lo stupendo concetto degli eletti di venti generazioni, il di cui compimento assegnò la provvidenza a questa generazione fortunata.

Si, Giovani! l’Italia deve a voi un’impresa che meritò il plauso del mondo.

Voi vinceste; — e voi vincerete — perché voi siete ormai fatti alla tattica che decide delle battaglie.

Voi non siete degeneri da coloro che entravano nel fitto profondo delle falangi macedoniche e squarciavano il petto ai superbi vincitori dell’Asia.

A questa pagina stupenda della storia del nostro paese ne seguirà una più gloriosa ancora, e lo schiavo mostrerà finalmente al libero fratello un ferro arruolato che appartenne agli anelli delle sue catene.

All’armi tutti! — tutti: e gli oppressori — i prepotenti sfumeranno come la polvere.

Voi, Donne, rigettate lontani i codardi — e voi figlie della terra della bellezza volete prole prode e generosa!

Che i paurosi dottrinari se ne vadano a trascinare altrove il loro servilismo, le loro miserie.

Questo popolo è padrone di sé. Egli vuol essere fratello degli altri popoli, ma guardare i protervi colla fronte alta: non rampicarsi, mendicando la sua libertà — egli non vuoi essere a rimorchio d’uomini a cuore di fango. No! No!No!

La provvidenza fece il dono all’Italia di Vittorio Emanuele. Ogni Italiano deve rannodarsi a Lui — serrarsi intorno a Lui. Accanto al Re Galantuomo ogni gara deve dissiparsi!

Anche una volta io vi ripeto il mio grido: all’armi tutti! tutti! Se il marzo del 61 non trova un milione d’Italiani, povera libertà, povera vita italiana… Oh! no: lungi da me un pensiero che mi ripugna come un veleno. Il marzo del 61, e se fa bisogno il febbraio, ci troverà tutti al nostro posto.

Italiani di Calatafimi, di Palermo, del Volturno, di Ancona, di Castelfidardo, d’Isernia, e con noi ogni uomo di questa terra non codardo, non servile: lutti, tutti serrati intorno al glorioso soldato di Palestre, daremo l’ultima scossa, l’ultimo colpo alla crollante tirannide.

Accogliete, giovani volontari, resto onorato di dieci battaglie, una parola d’addio! Io ve la mando commosso d’affetto dal profondo della mia anima. Oggi io devo ritirarmi, ma per pochi giorni. L’ora della pugna mi ritroverà con voi ancora — accanto ai soldati della libertà Italiana.

Che ritornino alle loro case quelli soltanto chiamati da doveri imperiosi di famiglia, e coloro che gloriosamenta mutilati hanno meritato la gratitudine della patria. Essi la serviranno ancora nei loro focolari col consiglio e coll’aspetto delle nobili cicatrici che decorano la loro maschia fronte di venti anni. All’infuori di questi, gli altri restino a custodire le gloriose bandiere.

Noi ci ritroveremo fra poco per marciare insieme al riscatto dei nostri fratelli, schiavi ancora dello straniero, noi ci ritroveremo fra poco per marciare insieme a nuovi trionfi.

Napoli, 8 novembre 860.

G. GARIBALDI.

(258) Ecco l’ordine del giorno del 1.° ottobre:

«Soldati e fratelli!

«Oggi fu una giornata tremenda di sangue e di gloria, pure noi vincemmo; riposale per pochi istanti le vostre deboli membra, e mangiale un pane, ma in fretta, mentre io, dando mano ai piani che far dobbiamo, vi chiamerò all’appello avanti l’oscurità della notte.

«GARIBALDI.»

(259) Si fu dopo la battaglia del 1.° ottobre che Garibaldi pubblicava il seguente bellissimo

ORDINE DEL GIORNO

Combattere e vincere è il motto dei valorosi che vogliono ad ogni costo la libertà dell’Italia: e voi l’avete provato in questi due giorni di pugna.

Jeri su tutta la linea la vittoria vi coronava. Oggi in Caserta e sulle sue alture si compiva uno di que’ fatti d’armi che la storia registrerà fra i più fortunati…

Caserta, 2 ottobre 1860.

Firm. G. GARIBALDI.

(260) La presente narrazione venne compilata sui rapporti officiali di Bixio, Dezza, Turr, Mirri, ecc., e sui Diarii mss.

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