Alta Terra di Lavoro

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LA STORIA DI TURI GIULIANU cantata da Ciccio Busacca

Posted by on Nov 23, 2017

LA STORIA DI TURI GIULIANU cantata da Ciccio Busacca

LA “BRUCIANTE PASSIONE” DI CICCIU BUSACCA

Il cantastorie di Paternò nelle pagine di un articolo de “L’Illustrazione Italiana” del 1959 

“Stavo in mezzo al fango fino alla cintola. 

Vedevo passare ogni giorno dei cantastorie che si spostavano da un paese all’altro per fare il loro spettacolo. 
Io non volevo fare il cantastorie, volevo non fare solo più il cavatore di pozzolana. 
Così decisi di cambiare mestiere, e, in bicicletta, portando con me solo una seggiola, raggiunsi il primo paese dove non mi conoscevano.
Misi la seggiola per terra, e, solo, senza nessuno intorno, incominciai a cantare un fatto di sangue che avevo inventato e imparato a memoria. 
Subito arrivò della gente e alla fine tutti piangevano. 
Da allora incominciai a cantare e sempre veniva della gente. 
Io sono riuscito a fare piangere la madre e la sorella di Giuliano a Montelepre cantando una storia.

Il cantastorie di Paternò nelle pagine di un articolo de “L’Illustrazione Italiana” del 1959 

“Stavo in mezzo al fango fino alla cintola. 

Vedevo passare ogni giorno dei cantastorie che si spostavano da un paese all’altro per fare il loro spettacolo. 
Io non volevo fare il cantastorie, volevo non fare solo più il cavatore di pozzolana. 
Così decisi di cambiare mestiere, e, in bicicletta, portando con me solo una seggiola, raggiunsi il primo paese dove non mi conoscevano.
Misi la seggiola per terra, e, solo, senza nessuno intorno, incominciai a cantare un fatto di sangue che avevo inventato e imparato a memoria. 
Subito arrivò della gente e alla fine tutti piangevano. 
Da allora incominciai a cantare e sempre veniva della gente. 
Io sono riuscito a fare piangere la madre e la sorella di Giuliano a Montelepre cantando una storia”.

Il ricordo autobiografico dell’ex cavatore di pozzolana, nato a Paternò nel 1925 e morto nel 1989 a Busto Arsizio, venne pubblicato nell’opera “Coste d’Italia – Sicilia”, edita nel 1968 dall’Eni.
Luigi Lombardi Satriani e Annabella Rossi – che firmarono il capitolo etnologico del testo – scrivevano:

“I cantastorie ebbero nel passato una funzione di informazione, di trasmissione di notizie mediante tecniche, volte anche, a suscitare emozioni negli ascoltatori. 
Oggi, caduta la prima funzione, informativa, è rimasta solamente la seconda.
Ed è su questa che si basa il mestiere di Cicciu Busacca, cantastorie di Paternò, famoso tra le classi popolari siciliane e tra gli intellettuali del Nord per avere inserito nel suo repertorio non solo la morte di Kennedy, Papa Giovanni ed il terremoto del Belice, ma anche pezzi scritti da intellettuali”.

Già da anni, in verità, la notorietà di Cicciu Busacca aveva superato i confini della Sicilia grazie all’esibizione in piazze e teatri di tutta Italia.
La sua fama, sia pure limitata ad un pubblico di festival e spettacoli teatrali, andava ben oltre i confini degli ambienti ‘intellettuali’ descritti dai due etnologi.

Lontano dall’isola – ad esempio a Torino, nel 1965, in occasione del Folk Festival – Busacca aveva cantato la “Vita di Turiddu Carnivali” e “Lu trenu di lu soli” di Ignazio Buttitta, opere cardine nella sua vita di cantastorie.
Finiti i tempi degli spostamenti in bicicletta – poi sostituita in Sicilia da una Seicento Multipla – il cantastorie catanese aveva vinto nel 1958 a Gonzaga il premio “Trovatore d’Italia”.
Fu probabilmente anche grazie a quel riconoscimento che nel febbraio del 1959 la rivista “L’Illustrazione Italiana” gli dedicò parte di un articolo intitolato “Gli ultimi cantastorie”, a firma dell’etnomusicologo Roberto Leydi.
Nel reportage – accompagnato dalla fotografia di Cicciu Busacca riproposta da ReportageSicilia – Leydi scriveva fra l’altro:“Busacca è giovane, violento, animato da quel sacro fuoco diabolico che Garcia Lorca definisce ‘duende’ e dice proprio dei grandi cuori di Spagna.
Rappresentante perfetto del Mediterraneo, Busacca anima il suo gesto e la sua voce di una passione bruciante, più forte di ogni regola e d’ogni legge.
Il suo repertorio di cantastorie è assai vasto ma poggia su alcuni testi ormai ‘classici’ che costituiscono il fondamento della sua fama.
La storia di Giuliano, ad esempio, composta di oltre venti episodi e lunga, nella sua versione completa di canto e spiegazioni, quasi sei ore, oppure quella di Michele Terranova, o quella di Turi Firranti, o ancora quella indimenticabile di Salvatore Carnevale.
Legato alle vicende della cronaca, il cantastorie adegua i suoi testi ai fatti sempre nuovi di criminalità.
E’ inevitabile che in questa misura non possa mancare l’accenno diretto ai delitti della mafia, alla dura storia della lotta politica.
E’ appunto il caso di questa stupenda ballata che, scritta da Ignazio Buttitta, costituisce uno dei ‘numeri’ più fortunati ed efficaci di Ciccio Busacca. Col volto chiuso nel segno di un austero dolore, Busacca annuncia la storia di Turiddu Carnivali, il ‘picciotto’ che morì a Sciara ammazzato dalla mafia. 
‘Per Turiddu Carnivali’, dice Busacca, ‘piange sua madre e piangono tutti i poveretti della Sicilia, perché Turiddu morì ammazzato per il pane dei poveretti’.
Poi comincia a cantare:Ancilu era e nun avia l’ali,
santu nun era e miraculi facia,
ncelu acchianava senza cordi e scala
e senza appidamenti nni scinnia,
era l’amuri lu sò capitali
e sta ricchezza a tutti la spartia.
Turiddu Carnivali nnuminatu
e comu Cristu muriu ammazzatu…Angelo era e non aveva le ali,
santo non era e faceva cose straordinarie,
saliva al cielo senza corde e scala
e senza ostacoli ne scendeva,
era l’amore il suo tesoro 
e questa ricchezza la divideva con tutti.
Salvatore Carnevale faceva di nome    
e come Cristo morì ammazzato…

Nei versi della ‘Morti di Turiddu Carnivali’ passano tutti i fatti e tutti i sentimenti della lotta politica siciliana.
Ecco l’occupazione delle terre ‘sutta la russìa di li banneri’, ecco l’intervento dei carabinieri, ecco le intimidazioni della mafia, ecco infine il delitto a tradimento, all’alba, in aperta campagna…

Sidici maju l’arba ncelu luci
e lu casteddu aautu di Sciara
taliava lu mari chi stralluci
comu n’artaru supra di na vara;
tra stu mari e casteddu na gran cruci
si vitti dda matina all’aria chiara,
sutta dda cruci un mortu, e cu l’aceddi
lu chiantu ruttu di li puvireddi

Il sedici maggio, la luce dell’alba nel cielo

e l’alto castello di Sciara
guardava il mare pieno di luci
come un’altare sopra una vara ( carro trionfale );
tra questo mare ed il castello una grande croce
si vide quella mattina nell’aria chiara,
sotto quella croce un morto, e con quello degli uccelli
il pianto disperato dei poveri
  

Sei anni dopo il reportage dedicatogli da “L’Illustrazione Italiana”, Cicciu Busacca avrebbe vinto il Festival dei Cantastorie a Siracusa.

Curiosamente, proprio la Procura di questa città gli aveva riservato nel 1962 anche una sorprendente denuncia per avere diffuso particolari sulla morte di Salvatore Giuliano “tali da potere turbare il comune sentimento della morale e di potere provocare il diffondersi di delitti”. 
In quegli anni, Busacca non rinunciò alla militanza politica, partecipando ad alcuni festival dell’Unità e prendendo parte a manifestazioni sindacali, occupazioni di terre e marce per la pace.
Nel 1970, il cantastorie di Paternò accettò l’invito della cantante toscana folk Daisy Lumini ad esibirsi con Rosa Balistreri nello spettacolo “Sicilia amara”.
Il tour toccò anche il teatro La Ringhiera a Roma, e sembra che in quel periodo fosse solito cantare che “la mafia e la Sicilia sono due cose, una puzza, l’altra profuma”.
Quindi Cicciu Busacca venne in contatto a Milano da Dario Fo, entrando presto a far parte del Collettivo della Comune Teatrale.
Il nome di Busacca comparve così sulle locandine de “La Giullarata”, di “Ci ragiono e ci canto numero 3” e di “Cuntrastu tra la morti e lu miliardariu”.
L’esperienza con Fo coinvolse anche le figlie Pina e Concetta, regalando all’ex cavatore di pozzolana anche un certo benessere economico.

Le sue esibizioni teatrali furono tuttavia il segno che l’epoca del cantastorie di strada era finita per sempre, messo in disparte nei gusti del pubblico dalla televisione e dal cinema.
Con amarezza, Cicciu Busacca smise di esibirsi ed il suo trasferimento in Lombardia, pur non distaccandolo del tutto da Paternò, fu quasi il segno del distacco da un’attività artistica tramontata per sempre.

fonte

siciliatrastoriaemito.org

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