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La storia è la descrizione degli eventi con le parole che i vincitori scelgono di imporre

Posted by on Apr 21, 2025

La storia è la descrizione degli eventi con le parole che i vincitori scelgono di imporre

Giuseppe Gangemi

Dopo il ritorno dei Borbone sul trono di Napoli, nel 1799 e nel 1816, la Repubblica Napoletana viene definita il periodo dell’anarchia. L’anarchia è giacobina. Con il ritorno dei Francesi e, soprattutto, dopo il 1860, la narrazione del 1798-1799 viene ribaltata: anarchici diventano i periodi precedente e successivi alla Repubblica e l’anarchia è sanfedista. Più precisamente: una prima anarchia segue alla fuga del re e finisce con l’occupazione francese; poi, per quattro mesi e mezzo, “Giacobini miti” governano una “Repubblica amabile”; una seconda anarchia comincia con l’arrivo a Napoli di Fabrizio Ruffo e finisce con la sua esautorazione di fatto; una terza anarchia segue alla violazione del capitolato voluta, contrario Ruffo, dal re e da Nelson.

Uno storico serio e credibile, Francesco Mario Agnoli, nega che la Repubblica sia stata “amabile” e i Giacobini “miti”. Conta 1.563 morti per così dire “legali”, ma non lascia scritto da quali testimonianze ricavi un numero così preciso. Da me richiesto, per interposta persona, risponde di non ricordarlo più. Certamente la cifra non proviene da documenti istituzionali causa editto di Ferdinando IV del 24 gennaio 1800 che prescrive di “condannare all’oblio finanche la memoria dell’estinta anarchia, che intendeva distruggere la religione e lo Stato” e dispone che “sia proscritta ogni carta, ogni editto, manifesto, proclama e collezione di esso formate nel tempo della battuta anarchia”. Antonio Della Rossa, direttore generale di polizia, ordina che “in base alla sovrana determinazione … tutte le carte [vengano] pubblicamente bruciate”. Infine, Luigi Ruffo, dal 1802 arcivescovo di Napoli, ancora nel periodo murattiano, entra nell’Archivio diocesano della città per raccogliere e bruciare i sopravvissuti documenti repubblicani.

Non potendo accreditare per fede la  cifra di Agnoli, l’unica possibilità per cambiare il dizionario dei vincitori è quella di centrare l’attenzione più che sul numero di uccisioni “legali”, sugli eventi  o sulle parole che più appaiono in contrasto con l’idea di mitezza e amabilità.

A questo scopo, ricorro a quanto ricavabile da due fonti di parte avversa (il Diario del Realista critico Carlo De Nicola e il giornale della Giacobina irriducibile Eleonora Fonseca Pimentel) e a un episodio accaduto ad Altamura e confermato da più fonti.

Dal Diario Napoletano 1798-1825 di De Nicola: 1) la Guardia Civica, che controlla il rispetto del coprifuoco, esagera, nell’uso della violenza e spara a vista, senza tentennamenti o scrupoli, a chi non risponde al “Chi vive?”. In particolare, il 2 marzo spara in mezzo alla folla mentre insegue un ladro, con il risultato di uccidere due innocenti e il 2 giugno comincia ad arrestare e uccidere indiscriminatamente, senza ordine ufficiale, istigata a questo dalla Sala Patriottica; 2) la Repubblica somministra con durezza la pena capitale: il 27 gennaio condanna a morte tre ladri; il 31 gennaio giustizia tre soldati e tre civili che hanno rubato, al Carmine Maggiore, un panno con l’immagine del Crocifisso; il 18 maggio il sacerdote Giovanni di Napoli viene giustiziato per aver gridato, in osteria, dopo avere abbondantemente bevuto, “viva Ferdinando e Carolina!”; con lui vengono giustiziati altri tre, Nicola Napolitano, Nunzio Raja e Santolo Schettini, per reati non noti; giorno 13 giugno, con i Sanfedisti già dentro la città, vengono giustiziati i 2 fratelli Beccher e altri 5 che hanno partecipato allo stesso complotto fallito; quello stesso giorno la cavalleria spara su un gruppo di persone disarmate che grida “Ben venga ‘O RRe nuosto!”, uccidendone sedici; la ferocia, fomentata dalla Sala Patriottica, aumenta a tal punto che i Giacobini si vanno preparando a organizzare “il massacro da doversi estendere agl’indifferenti, ed a tutti coloro che avevano ricusato scriversi per attivi nella guardia civica” (i renitenti alla leva repubblicana); 3) la spontanea violenza giacobina continua anche dopo la sconfitta: giorno 15 giugno, viene “proibito il saccheggio, ma in un punto si sta saccheggiando la casa di d. Giovanni Torre … perché [hanno] fatto fuoco dalle finestre, giacché per Napoli da molte case particolari si fa disperatamente fuoco dalle finestre e balconi”; il 21 giugno si verifica un “fatto che conferma la ferocia Giacobina. Un ragazzo, vendendo le coccarde Regie, è stato chiamato in una casa, ove due Giacobini lo hanno preso per appenderlo ad una fune, ai gridi è corsa gente, e lo ha liberato, arrestando i due furiosi”; 4) mancanza di rispetto per i morti è mostrata nel caso di Antonio d’Onofrio, ucciso a fine gennaio da un colpo di cannone e lasciato per strada per due giorni; 5) parole pesanti vengono pronunciate il 29 maggio quando vengono inviati nelle Puglie in rivolta 3.000 uomini della Guardia “per atterrire col ferro e col fuoco i luoghi in insorgenza” (i fatti che ne seguono sono coerenti con quelle parole).

Da Il Monitore Napoletano: il 23 febbraio, Giuseppe Petrucci, autore di un tumulto, viene attaccato nudo ad un palo e fucilato; consimile sorte incontrarono due suoi complici Francesco Buono e Luigi d’Amato; il 5 marzo, vengono fucilati a Nocera 5 uomini e 3 donne; il 9  aprile l’Alta Commissione Militare giudica 11 uomini e ne condanna a morte 10 (Eleonora Pimentel riferisce solo del primo giorno di attività dell’Alta Commissione Militare e la sensazione è che questa operi, ogni giorno che si riunisce, con percentuali di condanne a morte del 90% circa).

Durante l’assedio di Altamura, appena prima di fuggire dalla città, i Repubblicani fucilano quanti si trovano in prigione per reati politici, più due ingegneri sanfedisti catturati mentre erano in perlustrazione e un parlamentare inviato, disarmato, dal Cardinale per negoziare la resa. Conquistata la città, vengono ritrovate 48 persone seppellite legate, a coppia, spesso un ferito con un morto. Vari, disseppelliti, muoiono tra le braccia dei soccorritori. Tre si salvano perché hanno ferite leggere.

Tutte queste descrizioni confermano che la mitezza dei Giacobini e l’amabilità della Repubblica Napoletana sono state solo una favola inventata e imposta dai vincitori e che l’anarchia, che ha caratterizzato i periodi in cui impazzavano Sanfedisti e Lazzari, ha caratterizzato altrettanto, se non di più, anche il periodo repubblicano.

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