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La strage di Pontelandolfo e Casalduni

Posted by on Ott 23, 2018

La strage di Pontelandolfo e Casalduni

Nell’agosto del 1861, a pochi mesi dalla nascita ufficiale dello Stato Unitario, si verificò un evento, nelle terre del Beneventano, rimasto quasi del tutto sotto silenzio per circa 150 anni: la cosiddetta strage di Pontelandolfo e Casalduni. Sono, queste, due piccole cittadine del Sannio; Pontelandolfo è oggi probabilmente maggiormente conosciuta e famosa per i festeggiamenti del Carnevale, festeggiamenti che culminano con il noto gioco della ruzzola.

All’epoca, entrambe le cittadine erano molto più grandi ed abitate di oggi; si pensi, ad esempio, che Pontelandolfo contava circa 5.000 abitanti ed era, quindi, per l’epoca un centro di medie dimensioni.
Nell’agosto del 1861 era appena iniziata la guerra contro i “briganti”, guerra che poi tenne in scacco per parecchi anni l’esercito unitario, costringendo il governo di Torino a mandare e a tenere impegnati nelle nostre terre contingenti armati di diverse decine di migliaia di uomini e ad adottare provvedimenti legislativi estremamente restrittivi dei diritti civili nei confronti delle popolazioni meridionali.
I fatti accaduti sembrerebbero essere, almeno nella loro dinamica, ormai accertati; non è invece chiara la quantizzazione delle vittime umane.
Proviamo, nell’ordine, prima a riassumere gli avvenimenti, poi a proporre il pensiero di tre scrittori che hanno affrontato l’argomento da angolazioni diverse, ed, infine, proveremo a tirare le nostre conclusioni.

La strage di Pontelandolfo e Casalduni: i fatti

Ad inizio dell’agosto 1861 le due cittadine erano passate, con spargimento di sangue, nelle mani dei “briganti” o, comunque, erano state sottratte al controllo governativo piemontese. Un reparto di circa 40 soldati era stato pertanto inviato in zona; fu bloccato e disarmato a Casalduni; tutti i soldati, tranne uno che riuscì a scappare, furono barbaramente uccisi.
Non appena informato dell’accaduto, il comandante delle truppe italiane, il generale Cialdini, decise un’immediata rappresaglia e ne affidò l’incarico attuativo al generale De Sonnaz, tristemente noto, per la ferocia delle sue campagne, come Requiescat; la colonna, di diverse centinaia di bersaglieri, inviata su Pontelandolfo era, in particolare, guidata, come si è appreso solo in questi ultimi anni, da un ufficiale di Vicenza, il colonnello Negri (per la cronaca, ogni anno a Vicenza si celebra una cerimonia in onore di questo signore e delle sue glorie militari; e tale usanza è continuata anche dopo che si è potuto accertare, nel 2004, che il Negri era stato il principale responsabile dell’eccidio). Negri raggiunse Pontelandolfo e qui scatenò letteralmente l’inferno. Non fu fatta alcuna selezione di cose e persone riconducibili o meno ai “briganti”; i militari misero letteralmente a ferro e fuoco l’intera cittadina; tutte le case furono bruciate e, la povera gente, man mano che scappava dagli edifici in fiamme, venne fatta oggetto di tiro al bersaglio da parte dei soldati (per chi ama i film di Sergio Leone, una scena simile è proposta in Per un pugno di dollari). Furono violentate tantissime donne della cittadina ( qui il riferimento cinematografico è famosissimo, La ciociara), in gran parte poi uccise. Furono trucidate anche persone che notoriamente avevano appoggiato il movimento unitario.
Questi i fatti certi, come da confessioni di soldati poi pentitisi e anche da dichiarazioni e denuncie fatte in Parlamento a Torino. Il dubbio resta sul numero delle vittime; qui le cifre sono “ballerine”: furono assassinate tra le 160 e le 1000 persone, secondo alcuni anche di più. Casalduni fu più fortunata, in quanto i suoi abitanti riuscirono a mettersi in salvo avendo saputo dei fatti di Pontelandolfo. La cittadina, invece, fu anch’essa totalmente distrutta.
Ai morti, in numero ricordiamo non accertato, va aggiunto un vero e proprio “esercito” di profughi, costituito da chi aveva salvato la pelle ma era rimasto senza casa, senza il proprio paese, senza nulla.

 

La strage di Pontelandolfo e Casalduni: le opinioni degli scrittori Pino Aprile, Giordano Bruno Guerri, Marco De Marco

 

Pino Aprile, nel suo best-seller Terroni, ha dedicato un grande spazio al tragico evento; Aprile, tra gli scrittori che hanno dedicato la propria attenzione ai fatti di quegli anni, può essere considerato tra i più convinti della necessità di una revisione completa di quel periodo storico, in chiave meridionalista. Aprile propone il confronto con un’altra famosa rappresaglia, ben più conosciuta e ben più condannata: parliamo delle Fosse Ardeatine, rappresaglia tedesca a seguito dell’attentato di via Rasella. In quel caso i nazisti uccisero 10 italiani (e tra questi molti ebrei) per ogni soldato tedesco perito nell’attentato. Ne ammazzarono però cinque in più, e questo rese più semplice la condanna all’ergastolo del comandante Kappler. Ebbene, dopo aver osservato che a Pontelandolfo molto probabilmente furono uccisi molto più di 10 cittadini per ciascuna vittima piemontese, Aprile sottolinea:
Ma a Roma, i nazisti (oltre alla strage delle Fosse Ardeatine) non ebbero poi il coraggio di distruggere anche il quartiere (Quirinale incluso) in cui era avvenuto l’attentato, come pure avevano ipotizzato. A Pontelandolfo e Casalduni si fece.” .

Altro scrittore che ha dedicato molta attenzione ai fatti di quel periodo è Giordano Bruno Guerri, con il suo Il sangue del sud. A dispetto del titolo, il Guerri è molto meno deciso dell’Aprile nel portare avanti un’operazione revisionista di quel periodo storico; diciamo che è molto ma molto più moderato di Pino Aprile; ebbene, sulla strage di Pontelandolfo e Casalduni, non ha alcun dubbio e le pagine che dedica all’evento sono veramente drammatiche ed ad alta intensità emotiva. Ecco alcune delle tante storie che ci racconta: “Una ragazza di sedici anni, legata a un palo in una stanza, fu oltraggiata da dieci bersaglieri, davanti agli occhi del padre, e poi uccisa. Due giovani, i fratelli Rinaldi, che durante un soggiorno napoletano si erano imbevuti di idee liberali, increduli di quella mattanza, ebbero il coraggio di presentarsi al cospetto di Negri chiedendo spiegazioni. Per tutta risposta, furono portati nella chiesa di San Donato, derubati di ciò che avevano indosso, bendati e fucilati“.

Infine, ricordiamo il libro Terronismo di Marco De Marco, attuale direttore del Corriere del Mezzogiorno. Se Pino Aprile rappresenta l’ala più estremista e “calda” nella rivisitazione dei fatti e Guerri è uno scrittore moderato, in grado maggiomente di valutare con serenità i vari fatti, De Marco è estremamente severo nei confronti di chi, in questi ultimi anni, sta cercando di portare avanti logiche “localistiche”, siano essi i leghisti del nord o i meridionali malati di nostalgia. Ebbene De Marco ci tiene a sottolineare che la reazione piemontese avvenne a seguito della feroce strage dei 40 soldati (nella nostra pagina, peraltro ben sottolineata); ecco cosa ci dice:
Fu appunto questa ferocia , il 14 agosto, a scatenare la rappresaglia. Ora, sebbene non sia mai giusto rispondere a una strage con una nuova strage moltiplicata per cento, per dieci o anche solo per due, resta il fatto che una guerra è una guerra.”.

La strage di Pontelandolfo e Casalduni: alcune riflessioni

Alcune considerazioni:

– è molto difficile rimanere sereni e obiettivi nel valutare avvenimenti come la strage di Pontelandolfo e Casalduni. In primo luogo perchè è naturale sentirsi coinvolti in quanto meridionali; poi, perchè, almeno sino a qualche anno fa, le ideologie “costringevano” chi era di una certa parte politica a ritenere come buona la versione ufficiale dei fatti, accaduti in quell’epoca, quella cioè studiata nelle scuole e da noi tutti ben conosciuta. Era appannaggio esclusivo dell’altra parte politica ritenere che molte cose probabilmente non si erano verificate così come tramandatoci;

– una cosa è certa: gli avvenimenti di Pontelandolfo e Casalduni erano stati completamente dimenticati, o fatti dimenticare. Colpisce che anche la popolazione locale non abbia tramandato i fatti. Questo forse si spiega con l’osservazione che nei confronti delle popolazioni locali si arrivò a una vera e propria “soluzione finale”, e che rimasero ben poche persone in grado e desiderose di raccontare gli eventi. Nel libro di Guerri si sottolinea, infatti, come i cognomi degli abitanti delle cittadine ricostruite siano completamente “nuovi”, diversi dai cognomi storici della zona, segno di un ripopolamento effettuato con una migrazione da altre zone.

– a conferma della gravità degli eventi, nell’ambito delle manifestazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia, Giuliano Amato, presidente del Comitato dei Garanti delle Celebrazioni, ha dichiarato agli abitanti di Pontelandolfo:
A nome del presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, vi chiedo scusa per quanto qui è successo e che è stato relegato ai margini dei libri di storia“.
Si tratta di un riconoscimento ufficiale di quanto avvenuto e, soprattutto, una conferma di quanto su sottolineato, in relazione a come nelle scuole sono stati riportati tanti avvenimenti.

– un commento alle osservazioni di De Marco. La famosa e popolare espressione “La guerra è guerra” va bene come simpatico argomento portato a giustificazione di comportamenti tenuti nella vita quotidiana. Non ha alcun valore etico e storico se utilizzata per giustificare stragi e crimini di guerra: non si parla di “la guerra è guerra” quando si giudicano i comportamenti tenuti dai nazisti, non si parla di “la guerra è guerra” quando si ragiona degli eccidi perpetuati dal tenente Calley in Vietnam; in quest’ultimo caso, ad esempio, la democrazia americana ha avuto il coraggio di perseguire un suo soldato per i crimini commessi, non coprendo il tutto con un “la guerra è guerra”. Non si puà parlare, pertanto, di “la guerra è guerra” per giusticare la strage di Pontelandolfo.

– infine, non bisogna poi dimenticare un particolare molto importante: carnefici e vittime non facevano parte di due nazioni diverse; erano tutti cittadini dello stesso stato, dell’Italia unita.

fonte

http://www.quicampania.it/ilregno/strage-di-pontelandolfo.html

 

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